Un tempo la probabilità di successo per chi faceva ricorso alla procreazione assistita era del 15%, oggi siamo passati al 50-60% grazie ai progressi degli ultimi anni nel settore. Il dato, molto incoraggiante, è emerso dal recente congresso annuale dell’Accademia Internazionale della Riproduzione Umana, ma va interpretato. “Grazie alla stimolazione ovarica personalizzata, oggi possiamo ottimizzare la raccolta di ovociti utilizzabili per la fecondazione”, spiega Antonio Pellicer, ordinario di ginecologia e ostetricia dell’Università di Valencia, in Spagna, e fondatore dell’Istituto Valenciano di Infertilità (IVI), attivo anche in Italia. “Abbiamo tecniche per valutare la loro qualità e per individuare gli embrioni che hanno la maggiore probabilità di attecchire correttamente e dare avvio a una gravidanza. Con il test di recettività endometriale possiamo individuare il momento migliore per impiantare l’embrione. Tutti questi strumenti fanno sì che per una donna che ricorre alla PMA oggi le probabilità di successo siano maggiori di un tempo. Tuttavia, la buona riuscita dell’intervento è legata alle condizioni dell’utero e alle condizioni degli ovociti disponibili”.
L’età conta
L’età media della ricerca del primo figlio si è spostata progressivamente in avanti per le donne italiane. Il lasso di tempo tra la prima mestruazione e la prima gravidanza si è allungato a 15-20 anni. “Anni in cui possono accadere molte cose”, osserva Andrea Genazzani, ginecologo dell’Università di Pisa e segretario dell’Accademia. “Possono insorgere fibromi, endometriosi, infezioni genitali e malattie a trasmissione sessuale che riducono la fertilità”.
La quantità di ovociti disponibili si riduce col passare degli anni e anche la loro qualità ne risente. “L’invecchiamento dell’ovocita aumenta il rischio di anomalie genetiche dell’embrione che sono la prima causa di fallimento dei tentativi di procreazione spontanea o assistita”, dice Pellicer.
La probabilità di riuscita di un intervento di PMA, dunque, è massima per la donna giovane e in buona salute, minore dopo i 38-40 anni e in presenza di patologie come l’endometriosi o i fibromi uterini, ma la ricerca sta lavorando per rimuovere anche questi ostacoli.
Procreazione assistita: su cosa possiamo contare oggi
“Se l’embrione è normale, non presenta anomalie genetiche, la probabilità di un corretto avvio della gravidanza è del 66%”, dice Antonio Pellicer. “Che cosa possiamo fare in questo ambito? La genetica è quella che è: non siamo in grado correggere eventuali difetti a carico dell’embrione, ma possiamo produrne un certo numero e poi selezionare quello che ha maggiori possibilità di farcela”.
In Italia la selezione degli embrioni al fine di impiantare quelli sani è consentita, a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo l’articolo della legge 40 che la vietava.
“Un altro 14% di probabilità di riuscita della PMA è legato alle condizioni dell’endometrio”, spiega Pellicer. “Fino a pochi anni fa si credeva che l’impianto dell’embrione avvenisse a 5 giorni dall’evoluzione. Oggi sappiamo che questa regola non è assoluta e non vale per tutte le donne. Dipende dalle condizioni dell’endometrio, cioè il tessuto che riveste la cavità interna dell’utero dove l’embrione deve attecchire. Esiste una finestra temporale entro cui la recettività dell’endometrio all’impianto è massima e varia da 4 giorni a 6-7 giorni dopo l’ovulazione.
Il test di recettività endometriale, messo a punto dall’IVI nel 2011, permette di determinare la finestra di recettività di ciascuna donna attraverso una biopsia dell’endometrio, cioè il prelievo di un piccolo campione di tessuto, da effettuare in un ciclo precedente rispetto a quello del trattamento di PMA. La finestra di recettività di una donna rimane la stessa, da un ciclo all’altro, dunque una volta individuata sappiamo quando impiantare per avere la massima probabilità di attecchimento”.
Se l’aspirante mamma è sana, l’embrione è normale e i tempi dell’impianto sono corretti, la probabilità di riuscita è dell’80%. “C’è ancora un 20% su cui non abbiamo alcun controllo”, dice Pellicer.
Nel futuro, tecniche per combattere l’invecchiamento delle ovaie
È al momento il maggiore ostacolo al successo della procreazione assistita. “All’aumentare dell’età della donna, le probabilità di avvio di una gravidanza si riducono, sia che tenti il concepimento naturale, sia con l’aiuto della PMA”, osserva Andrea Genazzani. “Al di là delle raccomandazioni degli esperti di fare figli in giovane età, quando la fertilità è massima, esiste oggi una possibilità per tentare di ingannare il tempo. È il cosiddetto social freezing: prelevare gli ovociti dopo stimolazione ovarica, possibilmente prima dei 34 anni di età, e congelarli in attesa delle condizioni sociali propizie per mettere in cantiere una gravidanza. La tecnica è già ampiamente consolidata”.
E la ricerca va oltre. “Col passare degli anni le ovaie perdono follicoli, si riduce cioè il numero di ovociti che possono maturare”, spiega Pellicer. “Sono in atto sperimentazioni per frenare questa perdita somministrando ormone anti-Mulleriano”. L’ormone in questione, prodotto dalle ovaie dalla nascita alla menopausa della donna, è un indicatore della riserva ovarica: la sua concentrazione nel sangue cala con l’avanzare dell’età e il diminuire del numero di ovociti disponibili.
“Un altro intervento in corso di sperimentazione consiste nel produrre piccole incisioni sull’ovaio per stimolarne la vascolarizzazione”, prosegue il ginecologo. “È una tecnica che ha dato qualche risultato promettente nei casi di menopausa precoce. C’è poi l’impianto di cellule staminali da midollo in prossimità delle ovaie. I fattori di crescita prodotti da queste cellule stimolano i follicoli. Sono tutte ricerche in fase ancora precoce, ma che un giorno potrebbero aumentare ultreriormente le probabilità di successo della PMA anche per le donne non più giovanissime”.
Fonte http://www.dolceattesa.com/rimanere-incinta/tecniche-sempre-piu-sofisticate_fecondazione-assistita/
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