martedì 2 agosto 2016

Perché incinta naturalmente dopo la PMA?

PMA
         Queste gravidanze inaspettate, fanno riflettere sulla possibilità di una donna di riuscire a concepire, seppur in presenza di problemi, senza far ricorso alla PMA. La ricerca, condotta dagli specialisti della Monash University di Melbourne, è la prima ad avere esaminato gli inattesi tassi di concepimento nelle donne australiane che hanno avuto un primo figlio mediante la PMA. I ricercatori dell’università, istituzione scientifica presente anche con una sede in Italia, hanno preso in esame i casi clinici di 236 donne che hanno concepito un bambino grazie a trattamenti di procreazione assistita e hanno rilevato che un terzo del campione ha poi concepito un secondo figlio nel volgere di due anni, con modalità assolutamente naturale.
           Lo studio è stato pubblicato in Australia e Nuova Zelanda sul Journal of  Obstetrics and Gynaecology. In molti di questi casi, hanno rilevato i ricercatori, la sterilità delle donne prese in esame dalla ricerca era stata diagnosticata come dovuta a cause sconosciute. Questa tipologia di “infertilità” dalle origini sconosciute, potrebbe in realtà celare patologie che potrebbero essere curate, benché non sempre in modo risolutivo e definitivo. Lo sostiene, il dottor Karen Wynter, ricercatore dell’equipe dello studio:  ha infatti ipotizzato che le gravidanze impreviste in alcune delle donne del campione esaminato, potrebbero derivare da casi di infertilità non diagnosticata, in particolare da endometriosi.
          La mancata diagnosi di questa malattia, per la quale non esistono cure  risolutive, potrebbe in sostanza essere il motivo che ha convinto medici e assistite a ricorrere alla PMA. Se la malattia fosse stata trattata, la coppia avrebbe procreato in maniera del tutto naturale. La tesi di fondo, sostenuta dal ricercatore, è che la gravidanza rappresenti una sorta di cura per l’endometriosi e i suoi sintomi, al punto da rendere successivamente possibile una seconda, inaspettata gravidanza. Ma all’ipotesi del ricercatore si potrebbe muovere qualche rilievo, riconoscendo nelle motivazioni del risultato altri meccanismi e ben altre soluzioni.
          La maternità e il suo evidente impegno psicofisico si prestano a risolvere efficacemente tutte quelle situazioni ansiogene che da ogni parte sono riconosciute come cause o concause dell’infertilità. Affrontare le vicissitudini quotidiane del corpo e della vita, in qualche modo, come lo definiscono i terapeuti il “ri-centrarsi”, potrebbe avere effetti positivi e inaspettati sulla funzionalità del sistema riproduttivo umano. E’ infatti parere unanime, nonché analisi epidemiologica di molte ricerche, che la vita con un quid molto significativo di aspettative e tensioni sia poi accompagnata da disordini ormonali che altri non sono che, le prime conseguenze delle influenze sull’articolato e complesso sistema della PNEI psiconeuroendocrinoimmunologia. Le influenze conseguenti che si esprimono nei mammiferi, sono meccanismi alquanto semplici che hanno da sempre caratterizzato le specie viventi dalla notte dei tempi, tra queste: evitare la fecondità durante le situazioni ambientali sfavorevoli per tutelare madre e bambino. A favore dell’ipotesi della risoluzione dello stress, potremmo considerare che analoga situazione si riscontra nelle coppie infertili che adottano un figlio e a cui fa seguito con una certa frequenza una gravidanza successiva spontanea. Sarebbe pertanto utile, per poter ragionare con modalità scientifiche, poter disporre di dati statistici in merito e le associazioni di famiglie adottive potrebbero venire in soccorso con numeri e casi. 

Fonti Monash University 
Journal of Obstetrics and Gynaecology 

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