Daniela, mamma oltre il diabete
Daniela ha 41 anni, fa la giornalista e ha due bambine, di 5 e di 6 anni e mezzo. Ha il diabete di tipo 1 dall'età di nove anni, ma questa malattia non le ha impedito di diventare mamma. "La cosa più importante è farsi seguire da un buon diabetologo, esperto anche di gravidanza diabetica", racconta Daniela. "Io sono stata seguita da due diabetologhe, entrambe molto in gamba, che mi hanno incoraggiato e aiutato. Non tutti sanno, infatti, che per chi desidera una gravidanza è fondamentale un parametro: l'emoglobina glicata, che misura la media della glicemia degli ultimi tre mesi. È fortemente sconsigliato concepire se questo valore non è inferiore a 7, perché vi sono rischi molto alti per il feto, anche di malformazione". "All'inizio è abbastanza faticoso - continua Daniela - soprattutto perché è necessario controllare la glicemia durante il giorno molto più spesso della norma: prima della colazione e una o due ore dopo; prima di pranzo, e una o due ore dopo; prima di cena e, di nuovo, una o due ore dopo. Io la misuravo anche una volta durante la notte. Questo per tutta la gestazione, soprattutto durante i primi tre mesi: la glicemia non deve salire, e se sale bisogna abbassarla anche con aggiunte di insulina. I valori da rispettare sono gli stessi di una buona gestione del diabete, solo che qui la posta in gioco è altissima, perché si tratta della salute di un figlio. Se si riesce a tenere il ritmo per questa fase iniziale, poi la gravidanza procede come tutte le altre. Con un vantaggio per noi mamme diabetiche: quello di aver imparato come nessun altro il perfetto autocontrollo della glicemia. Una capacità che mi porto dietro nella vita di tutti i giorni anche a distanza di anni, e ormai si sa che una buona gestione della glicemia previene o rallenta i rischi di complicanze. In fondo, l'alimentazione di un diabetico è quella sana ed equilibrata che dovrebbero avere tutti. E diventare mamme per noi non è più una chimera. Anche sulla possibilità di trasmettere il diabete ai figli mi sento di tranquillizzare le aspiranti mamme perché, sebbene vi sia una familiarità per questa malattia, il rischio di ereditarla per via parentale è di appena il 3%".
Simona, mamma oltre la sclerosi multipla Anche Simona ha 41 anni e due bambine, una di 11 anni e l'altra di 6. Ha scoperto di avere la sclerosi multipla una settimana dopo la nascita della seconda figlia, quando ha avuto una crisi molto forte. Se infatti la gravidanza è un periodo abbastanza "protetto" (cioè a ridotto rischio di ricadute, e il feto non corre alcun rischio), finita la gestazione il pericolo di recidive aumenta. "Fare la mamma con la sclerosi multipla non è facile. Molti mi chiedono cosa avrei fatto se avessi saputo di essere malata. Ma le mie figlie non sono una possibilità, sono reali, quindi è ovvio che posso solo rispondere che avrei scelto di essere mamma", dice Simona. "Con loro ho sempre avuto un rapporto molto schietto: quando un bambino di 5 anni non vede la mamma tornare perché è in ospedale, la prima cosa che pensa è 'mamma muore'. Per questo è importante parlare con loro, per non lasciarli da soli con questo pensiero e non permettere che crescano con paure infondate". A complicare la situazione è l'inconstanza della malattia, che ti obbliga a vivere giorno per giorno: "Le bambine lo capiscono, ma fanno fatica. Inoltre, la malattia mi influenza anche dal punto di vista umorale. La chiave di tutto è spiegare: il dialogo è ciò che ci ha sempre salvato. Per il resto, stiamo crescendo un po' tutti insieme. Bisogna sempre trovare nuovi modi per fare le cose".
Insieme a un'altra mamma, Daniela si occupa del servizio dell'Associazione italiana sclerosi multipla (Aism) "Tutto parla di te", proprio dedicato alle donne con la malattia che stanno pensando a una gravidanza e hanno bisogno di confrontarsi: "La maggior parte delle donne vorrebbe una risposta, un 'sì, stai tranquilla', o un 'no, non farlo nel tuo caso', e ci chiedono se si peggiora dopo la gravidanza. Ma non esistono risposte certe: noi cerchiamo di essere sempre molto oggettive e spieghiamo che per ciascuna è diverso. Dico a tutte di parlare a fondo con il proprio partner e di essere sicure di poter contare sulle persone che sono vicine: sono essenziali, perché lo Stato è completamente assente. Se hai una crisi e devi andare in ospedale, deve esserci qualcuno che pensa ai bambini di cui ti fidi. E devono sapere che man mano che i figli - e le loro esigenze - crescono, le cose si complicano. Io, per esempio, non posso guidare, quindi non posso accompagnarle se devono andare dalle amiche o in palestra. La preoccupazione di tutte le donne, poi, è di non poter essere la mamma migliore per il proprio figlio. A loro dico che nessuna lo può essere, in ogni caso. E ho imparato che ciò che noi mamme riteniamo importantissimo - come essere presente a una gara sportiva - spesso per i bambini non lo è affatto. Credo che i figli vengano al contrario arricchiti da questa esperienza. Tutto dipende da come tu affronti le cose: loro seguiranno il tuo comportamento" (si può scrivere a Simona all'indirizzo tuttoparladite@aism.it).
Valentina, mamma oltre il tumore Cinque anni fa Valentina ha avuto un tumore al seno. Ha affrontato l'intervento e tutte le lunghe cure. Ora però sta bene. Ha 37 anni e aspetta un bambino, grazie alle tecniche di fecondazione assistita. "Il mio tumore era di tipo ormonale - racconta Valentina - per cui, dopo l'intervento e la chemioterapia, ho dovuto prendere un altro farmaco che induce la menopausa precoce. Non c'erano certezze che, una volta finita la terapia, mi sarebbe tornato il ciclo mestruale. Inoltre, la chemio avrebbe potuto compromettere la mia fertilità. Ma ero giovane e anche se non avevo ancora un compagno, sentivo forte il desiderio di diventare mamma. Di pensare che in futuro, quando tutto sarebbe passato, avrei ancora potuto avere un figlio. Ne ho parlato con il mio oncologo, che mi ha capita e aiutata. Mi ha messo in contatto con il reparto di Pma dell'ospedale in cui ero in cura e, prima che cominciassi la chemio, sono stati prelevati alcuni ovociti, che sono poi stati congelati. Ammetto di sentirmi molto fortunata: le cure sono state pesanti, ma sono passate e ormai sono considerata completamente guarita, e nel frattempo ho anche incontrato la persona della mia vita. Appena è tornato il ciclo, mi sono sottoposta alla fecondazione assistita, usando gli ovoiciti che erano stati prelevati. Sono rimasta incinta al secondo tentativo".
Sono circa 1500 le donne che ogni anno sperano di diventare mamme dopo un tumore. Se ne è parlato lo scorso 16 dicembre al Senato, in un convegno sulla prevenzione della sterilità nelle under 40 colpite dal cancro. "Le tecniche consolidate per prevenire l'infertilità da chemioterapia sono la raccolta di ovociti prima dei trattamenti chemioterapici e la loro crioconservazione, e l'utilizzo di farmaci che proteggono le ovaie durante i trattamenti", spiega Fedro Peccatori, direttore dell'Unità di Fertilità e Procreazione dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo): "Queste tecniche hanno un tasso di successo relativamente elevato, con possibilità di gravidanza dopo la guarigione tra il 30 e il 50% a seconda dell'età della donna, dei trattamenti chemioterapici ricevuti e del numero di ovociti crioconservati" (guarda anche il video con l'intervista ad Aurelia, una giovane donna che ha conservato il suo tessuto ovarico, su Salute Seno).
Cristina, mamma oltre la fibrosi cistica Non è un'incosciente e non avrebbe mai messo a repentaglio la sua vita. Se Cristina, 36 anni, ha potuto avere un bambino, è perché le sue condizioni glielo hanno permesso. Per le donne che hanno la fibrosi cistica, infatti, è oggi possibile pensare anche alla maternità. Tutto dipende dallo stato di salute di partenza: la funzionalità respiratoria deve essere almeno discreta, la malattia deve essere stabile e non vi devono essere particolari complicanze. I rischi di una gravidanza sono legati ai cambiamenti fisiologici, come l'aumento del volume dell'addome, che comporta la riduzione della capacità respiratoria. Inoltre, le donne devono essere seguite da un ginecologo che ha esperienza di pazienti con fibrosi cistica e da un'équipe di specialisti in un centro di riferimento per la malattia. In questo modo si riduce al minimo il rischio che le condizioni peggiorino.
Cristina aveva 30 anni quando si è rivolta al suo medico del Centro di riferimento per la fibrosi cistica del Policlinico Umberto I di Roma per capire se poteva tentare, e la sua storia è raccontata sul sito dell'Osservatorio Malattie Rare(O. Ma. R). Si è sottoposta a terapie preventive e oggi ha un bimbo di 5 anni. Come ricorda su O. Ma. R Barbara Messore, pneumologa del Centro di riferimento regionale per Piemonte e Valle d'Aosta, è importante immaginarsi mamme anche dopo la gravidanza, soppesando la fatica che comporta prendersi cura di un figlio, e la possibilità che la malattia potrebbe complicarsi e portare a una morte prematura. Per questo è importante sapere fin da subito di poter contare sulle persone vicine e crearsi una rete di supporto. Anche quando la malattia è stabile, infatti, la sua gestione può essere impegnativa e richiede ore di fisioterapia e aerosol. Presso il centro in cui lavora Messore, sono attualmente seguite più di 20 donne con fibrosi cistica che hanno avuto uno o più figli.
Fonte http://d.repubblica.it/benessere/2015/01/13/news/diventare_madri_nonostante_la_malattia-2438290/?ref=fbpd
Daniela ha 41 anni, fa la giornalista e ha due bambine, di 5 e di 6 anni e mezzo. Ha il diabete di tipo 1 dall'età di nove anni, ma questa malattia non le ha impedito di diventare mamma. "La cosa più importante è farsi seguire da un buon diabetologo, esperto anche di gravidanza diabetica", racconta Daniela. "Io sono stata seguita da due diabetologhe, entrambe molto in gamba, che mi hanno incoraggiato e aiutato. Non tutti sanno, infatti, che per chi desidera una gravidanza è fondamentale un parametro: l'emoglobina glicata, che misura la media della glicemia degli ultimi tre mesi. È fortemente sconsigliato concepire se questo valore non è inferiore a 7, perché vi sono rischi molto alti per il feto, anche di malformazione". "All'inizio è abbastanza faticoso - continua Daniela - soprattutto perché è necessario controllare la glicemia durante il giorno molto più spesso della norma: prima della colazione e una o due ore dopo; prima di pranzo, e una o due ore dopo; prima di cena e, di nuovo, una o due ore dopo. Io la misuravo anche una volta durante la notte. Questo per tutta la gestazione, soprattutto durante i primi tre mesi: la glicemia non deve salire, e se sale bisogna abbassarla anche con aggiunte di insulina. I valori da rispettare sono gli stessi di una buona gestione del diabete, solo che qui la posta in gioco è altissima, perché si tratta della salute di un figlio. Se si riesce a tenere il ritmo per questa fase iniziale, poi la gravidanza procede come tutte le altre. Con un vantaggio per noi mamme diabetiche: quello di aver imparato come nessun altro il perfetto autocontrollo della glicemia. Una capacità che mi porto dietro nella vita di tutti i giorni anche a distanza di anni, e ormai si sa che una buona gestione della glicemia previene o rallenta i rischi di complicanze. In fondo, l'alimentazione di un diabetico è quella sana ed equilibrata che dovrebbero avere tutti. E diventare mamme per noi non è più una chimera. Anche sulla possibilità di trasmettere il diabete ai figli mi sento di tranquillizzare le aspiranti mamme perché, sebbene vi sia una familiarità per questa malattia, il rischio di ereditarla per via parentale è di appena il 3%".
Simona, mamma oltre la sclerosi multipla Anche Simona ha 41 anni e due bambine, una di 11 anni e l'altra di 6. Ha scoperto di avere la sclerosi multipla una settimana dopo la nascita della seconda figlia, quando ha avuto una crisi molto forte. Se infatti la gravidanza è un periodo abbastanza "protetto" (cioè a ridotto rischio di ricadute, e il feto non corre alcun rischio), finita la gestazione il pericolo di recidive aumenta. "Fare la mamma con la sclerosi multipla non è facile. Molti mi chiedono cosa avrei fatto se avessi saputo di essere malata. Ma le mie figlie non sono una possibilità, sono reali, quindi è ovvio che posso solo rispondere che avrei scelto di essere mamma", dice Simona. "Con loro ho sempre avuto un rapporto molto schietto: quando un bambino di 5 anni non vede la mamma tornare perché è in ospedale, la prima cosa che pensa è 'mamma muore'. Per questo è importante parlare con loro, per non lasciarli da soli con questo pensiero e non permettere che crescano con paure infondate". A complicare la situazione è l'inconstanza della malattia, che ti obbliga a vivere giorno per giorno: "Le bambine lo capiscono, ma fanno fatica. Inoltre, la malattia mi influenza anche dal punto di vista umorale. La chiave di tutto è spiegare: il dialogo è ciò che ci ha sempre salvato. Per il resto, stiamo crescendo un po' tutti insieme. Bisogna sempre trovare nuovi modi per fare le cose".
Insieme a un'altra mamma, Daniela si occupa del servizio dell'Associazione italiana sclerosi multipla (Aism) "Tutto parla di te", proprio dedicato alle donne con la malattia che stanno pensando a una gravidanza e hanno bisogno di confrontarsi: "La maggior parte delle donne vorrebbe una risposta, un 'sì, stai tranquilla', o un 'no, non farlo nel tuo caso', e ci chiedono se si peggiora dopo la gravidanza. Ma non esistono risposte certe: noi cerchiamo di essere sempre molto oggettive e spieghiamo che per ciascuna è diverso. Dico a tutte di parlare a fondo con il proprio partner e di essere sicure di poter contare sulle persone che sono vicine: sono essenziali, perché lo Stato è completamente assente. Se hai una crisi e devi andare in ospedale, deve esserci qualcuno che pensa ai bambini di cui ti fidi. E devono sapere che man mano che i figli - e le loro esigenze - crescono, le cose si complicano. Io, per esempio, non posso guidare, quindi non posso accompagnarle se devono andare dalle amiche o in palestra. La preoccupazione di tutte le donne, poi, è di non poter essere la mamma migliore per il proprio figlio. A loro dico che nessuna lo può essere, in ogni caso. E ho imparato che ciò che noi mamme riteniamo importantissimo - come essere presente a una gara sportiva - spesso per i bambini non lo è affatto. Credo che i figli vengano al contrario arricchiti da questa esperienza. Tutto dipende da come tu affronti le cose: loro seguiranno il tuo comportamento" (si può scrivere a Simona all'indirizzo tuttoparladite@aism.it).
Valentina, mamma oltre il tumore Cinque anni fa Valentina ha avuto un tumore al seno. Ha affrontato l'intervento e tutte le lunghe cure. Ora però sta bene. Ha 37 anni e aspetta un bambino, grazie alle tecniche di fecondazione assistita. "Il mio tumore era di tipo ormonale - racconta Valentina - per cui, dopo l'intervento e la chemioterapia, ho dovuto prendere un altro farmaco che induce la menopausa precoce. Non c'erano certezze che, una volta finita la terapia, mi sarebbe tornato il ciclo mestruale. Inoltre, la chemio avrebbe potuto compromettere la mia fertilità. Ma ero giovane e anche se non avevo ancora un compagno, sentivo forte il desiderio di diventare mamma. Di pensare che in futuro, quando tutto sarebbe passato, avrei ancora potuto avere un figlio. Ne ho parlato con il mio oncologo, che mi ha capita e aiutata. Mi ha messo in contatto con il reparto di Pma dell'ospedale in cui ero in cura e, prima che cominciassi la chemio, sono stati prelevati alcuni ovociti, che sono poi stati congelati. Ammetto di sentirmi molto fortunata: le cure sono state pesanti, ma sono passate e ormai sono considerata completamente guarita, e nel frattempo ho anche incontrato la persona della mia vita. Appena è tornato il ciclo, mi sono sottoposta alla fecondazione assistita, usando gli ovoiciti che erano stati prelevati. Sono rimasta incinta al secondo tentativo".
Sono circa 1500 le donne che ogni anno sperano di diventare mamme dopo un tumore. Se ne è parlato lo scorso 16 dicembre al Senato, in un convegno sulla prevenzione della sterilità nelle under 40 colpite dal cancro. "Le tecniche consolidate per prevenire l'infertilità da chemioterapia sono la raccolta di ovociti prima dei trattamenti chemioterapici e la loro crioconservazione, e l'utilizzo di farmaci che proteggono le ovaie durante i trattamenti", spiega Fedro Peccatori, direttore dell'Unità di Fertilità e Procreazione dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo): "Queste tecniche hanno un tasso di successo relativamente elevato, con possibilità di gravidanza dopo la guarigione tra il 30 e il 50% a seconda dell'età della donna, dei trattamenti chemioterapici ricevuti e del numero di ovociti crioconservati" (guarda anche il video con l'intervista ad Aurelia, una giovane donna che ha conservato il suo tessuto ovarico, su Salute Seno).
Cristina, mamma oltre la fibrosi cistica Non è un'incosciente e non avrebbe mai messo a repentaglio la sua vita. Se Cristina, 36 anni, ha potuto avere un bambino, è perché le sue condizioni glielo hanno permesso. Per le donne che hanno la fibrosi cistica, infatti, è oggi possibile pensare anche alla maternità. Tutto dipende dallo stato di salute di partenza: la funzionalità respiratoria deve essere almeno discreta, la malattia deve essere stabile e non vi devono essere particolari complicanze. I rischi di una gravidanza sono legati ai cambiamenti fisiologici, come l'aumento del volume dell'addome, che comporta la riduzione della capacità respiratoria. Inoltre, le donne devono essere seguite da un ginecologo che ha esperienza di pazienti con fibrosi cistica e da un'équipe di specialisti in un centro di riferimento per la malattia. In questo modo si riduce al minimo il rischio che le condizioni peggiorino.
Cristina aveva 30 anni quando si è rivolta al suo medico del Centro di riferimento per la fibrosi cistica del Policlinico Umberto I di Roma per capire se poteva tentare, e la sua storia è raccontata sul sito dell'Osservatorio Malattie Rare(O. Ma. R). Si è sottoposta a terapie preventive e oggi ha un bimbo di 5 anni. Come ricorda su O. Ma. R Barbara Messore, pneumologa del Centro di riferimento regionale per Piemonte e Valle d'Aosta, è importante immaginarsi mamme anche dopo la gravidanza, soppesando la fatica che comporta prendersi cura di un figlio, e la possibilità che la malattia potrebbe complicarsi e portare a una morte prematura. Per questo è importante sapere fin da subito di poter contare sulle persone vicine e crearsi una rete di supporto. Anche quando la malattia è stabile, infatti, la sua gestione può essere impegnativa e richiede ore di fisioterapia e aerosol. Presso il centro in cui lavora Messore, sono attualmente seguite più di 20 donne con fibrosi cistica che hanno avuto uno o più figli.
Fonte http://d.repubblica.it/benessere/2015/01/13/news/diventare_madri_nonostante_la_malattia-2438290/?ref=fbpd
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