Centinaia, migliaia, forse milioni di coppie in questo momento stanno cercando di avere un figlio. Alcune sono più fortunate di altre e riescono quasi immediatamente nel loro intento, senza troppi sacrifici, problemi o complicazioni. Altre continuano a tentare per anni, ma senza arrivare a coronare il loro sogno. Per queste coppie spesso si aprono giorni carichi di angoscia e ansie, la speranza si affievolisce sempre più, e spesso si decide di ricorrere a trattamenti medici come la fecondazione in vitro. E qui si apre subito un grande dibattito: si sente spesso parlare di problemi neurologici infantili legati a questi trattamenti per la fertilità femminile, di un rischio più elevato di problemi di sviluppo per questi bimbi nati da fecondazioni assistite…ma chi è il vero responsabile?
Uno degli ultimi studi su questo argomento è quello pubblicato online sulla rivista Archives of Disease in Childhood, in cui i ricercatori riferiscono la loro opinione: questi trattamenti possono essere in gran parte responsabili delle differenze neurologiche documentate tra i bimbi nati naturalmente e quelli nati grazie ai trattamenti per la fertilità femminile. Si tratta di uno studio relativamente piccolo, che coinvolge solo 209 bambini nati da coppie che hanno lottato per averli e sono ricorse ai trattamenti. I risultati, tuttavia, supportano i dati raccolti dai precedenti studi, che hanno provato un collegamento tra le tecniche di fecondazione e problemi di sviluppo, sicuramente lievi, ma esistenti.
Quali sono stati i risultati di questo studio?
I ricercatori si sono concentrati su un grippo di coppie considerate “subfertili”, cioè che non sono riuscite a concepire dopo 12 mesi di rapporti non protetti. Da queste coppie, dopo vari tentativi, sono nati 209 bambini. Al raggiungimento dei 2 anni, i bambini sono stati osservati, concentrandosi sui possibili problemi neurologici e sullo sviluppo, compreso il movimento, la postura, il tono muscolare e la coordinazione occhio-mano. Su 209 bimbi, 17 hanno mostrato problemi neurologici minori, di movimento o di coordinazione. Il tempo medio che ha portato alle gravidanze di questi bimbi è stato di 4 anni, mentre i genitori di bimbi sani hanno impiegato 2/3 anni per concepire. Questo studio mostra che un tempo relativamente lungo per riuscire a rimanere incinta grazie ai trattamenti per la fertilità femminile, è associato al 30% di rischio in più di riscontrare piccoli problemi neurologici nei bimbi. Tale dato è il risultato anche di altri fattori base, come l’età dei genitori.
Gli autori dello studio sottolineano che i problemi di sviluppo riscontrati non sono assolutamente debilitanti, e non giocano un ruolo nel futuro del bambino, sia in termini di relazioni che di qualità di vita.
“Le condizioni neurologiche non pienamente ottimali che abbiamo riscontrato in una piccola percentuale di bambini non creerà problemi evidenti nella loro vita quotidiana. Tuttavia, indicano una maggiore vulnerabilità nello sviluppo, di conseguenza problemi di apprendimento o comportamentali. Questo significa che i nostri risultati non hanno una rilevanza a livello individuale, ma hanno un significato per la popolazione in generale”, dice l’autore dello studio Mijna Hadders-Algra, professore di neurologia e dello sviluppo presso l’Ospedale Pediatrico di Beatrix e all’ Università di Groningen Medical Center in Olanda. Hadders-Algra spera che i suoi risultati inculchino la consapevolezza che tentativi di concepimento ripetuti nel tempo grazie ai trattamenti per la fertilità femminile possono essere associati a condizioni problematiche del bambino. Questo dovrebbe essere ricordato sempre anche dai medici che spingono su questi trattamenti. Tutti dovrebbero essere informati dei risultati di questi studi: nel Regno Unito, ad esempio, il Servizio Sanitario Nazionale ha rivisto le sue linee guida, permettendo alle donne che non riescono a rimanere incinta di sottoporsi ai trattamenti per la fertilità femminile dopo soli due anni di tentativi falliti. Ha inoltre fissato un limite massimo di età per queste tecniche, dai 39 anni ai 42. Studi come quello del professore Hadders-Algra dovrebbero essere disponibili a tutti, soprattutto a politici e medici, così da rivedere le linee guida e adattarle alle esigenze dei futuri genitori, ma soprattutto dei futuri bambini.
Ripeto sempre che io non sono un medico, ma solo una donna e una mamma…penso, però, che questi trattamenti dovrebbero essere l’ultima spiaggia, l’ultimo tentativo, perchè possono provocare lievi problemi ai bimbi, ma anche alle mamme che vi si sottopongono. Esistono tanti altri sistemi, naturali, non invasivi, che rispettano l’organismo e il normale funzionamento del corpo. Se vuoi saperne di più su questi trattamenti naturali per la fertilità femminile, dai un’occhiata agli articoli che trovi subito sotto!
Buona fortuna a tutte le future mamme!
Gli autori dello studio sottolineano che i problemi di sviluppo riscontrati non sono assolutamente debilitanti, e non giocano un ruolo nel futuro del bambino, sia in termini di relazioni che di qualità di vita.
“Le condizioni neurologiche non pienamente ottimali che abbiamo riscontrato in una piccola percentuale di bambini non creerà problemi evidenti nella loro vita quotidiana. Tuttavia, indicano una maggiore vulnerabilità nello sviluppo, di conseguenza problemi di apprendimento o comportamentali. Questo significa che i nostri risultati non hanno una rilevanza a livello individuale, ma hanno un significato per la popolazione in generale”, dice l’autore dello studio Mijna Hadders-Algra, professore di neurologia e dello sviluppo presso l’Ospedale Pediatrico di Beatrix e all’ Università di Groningen Medical Center in Olanda. Hadders-Algra spera che i suoi risultati inculchino la consapevolezza che tentativi di concepimento ripetuti nel tempo grazie ai trattamenti per la fertilità femminile possono essere associati a condizioni problematiche del bambino. Questo dovrebbe essere ricordato sempre anche dai medici che spingono su questi trattamenti. Tutti dovrebbero essere informati dei risultati di questi studi: nel Regno Unito, ad esempio, il Servizio Sanitario Nazionale ha rivisto le sue linee guida, permettendo alle donne che non riescono a rimanere incinta di sottoporsi ai trattamenti per la fertilità femminile dopo soli due anni di tentativi falliti. Ha inoltre fissato un limite massimo di età per queste tecniche, dai 39 anni ai 42. Studi come quello del professore Hadders-Algra dovrebbero essere disponibili a tutti, soprattutto a politici e medici, così da rivedere le linee guida e adattarle alle esigenze dei futuri genitori, ma soprattutto dei futuri bambini.
Ripeto sempre che io non sono un medico, ma solo una donna e una mamma…penso, però, che questi trattamenti dovrebbero essere l’ultima spiaggia, l’ultimo tentativo, perchè possono provocare lievi problemi ai bimbi, ma anche alle mamme che vi si sottopongono. Esistono tanti altri sistemi, naturali, non invasivi, che rispettano l’organismo e il normale funzionamento del corpo. Se vuoi saperne di più su questi trattamenti naturali per la fertilità femminile, dai un’occhiata agli articoli che trovi subito sotto!
Buona fortuna a tutte le future mamme!
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