lunedì 31 agosto 2015

10 cose che cerco di dire ogni giorno alle mie figlie

           Ogni giorno, ecco le 10 cose che cerco di dire alle mie figlie, a volte con maggior successo a volte meno, ma sempre con la forte convinzione che siano tutte importanti per la loro crescita e per il rapporto che voglio costruire con loro.

1. Ti racconto la mia giornata

           Ho imparato che questa è un’ottima tecnica per stimolare le mie figlie a raccontarmi le loro giornate. Se esordisco con la classica domanda Come è andata oggi? le risposte sono sempre alquanto sintetiche: tutto bene mamma, tutto a posto, nulla di ché, sì normale, come al solito. Così ho iniziato a raccontare io per prima la mia giornata, cosa ho fatto e chi ho visto, magari quell’aneddoto divertente che mi è capitato e loro, oltre che ascoltare con curiosità, si lasciano poi andare con più facilità ai loro racconti.

2. Mi sei mancata e ti ho pensata quando stavo facendo questo e quello

           L’educazione ai sentimenti, alle emozioni, è uno dei principali doni che possiamo fare ai nostri figli. Ma come in tante altre cose, il modo migliore per educarli è dare il buon esempio parlando dei nostri sentimenti. Così ricordo loro che di giorno mi mancano spesso e cerco di contestualizzare i momenti in cui sento la loro mancanza così da renderli più concreti.

3. È normale essere arrabbiati o tristi ma se ne parliamo magari poi ti sentirai meglio

           Questa è una frase che ripeto spesso, desidero far capire alle mie figlie - specie ora che sono ancora piccole - che possono confidarsi con me sempre e in particolar modo quando si sentono ferite, deluse, arrabbiate. I problemi, se condivisi, sembrano più piccoli e superabili, desidero che lo ricordino a vita!

4. Questa cosa l’hai fatta davvero bene, complimenti!

           Ho imparato che i genitori devono dosare i complimenti ai figli e soprattutto contestualizzarli. Quindi invece che dei Brava! troppo generici, è più efficace un Brava, hai fatto questa cosa davvero bene! Sostenere l’autostima dei nostri figli è un compito molto importante, troppe lodi senza reali motivazioni rendono insicuri, un complimento legato a un’azione o a un contesto preciso invece aiuta nostro figlio ad aumentare la stima che ha di sé stesso.

5. Se vuoi io ti ascolto

           È come lasciare una porta sempre aperta, dare loro la possibilità di varcarla e trovare un rifugio sicuro. Io sono qui, se vuoi ti ascolto. Anche ora, da adulta, è una delle cose più belle che le persone che ho accanto possano dirmi.

6. Grazie, prego, per favore

           Pare banale ma non lo è. Noi siamo il loro esempio, il modello a cui guardano. Se non siamo noi i primi a utilizzare parole gentili e buona educazione è davvero impensabile che riusciremo a pretenderla da loro.

7. “Nessuno nasce imparato”, se ti impegni e ci provi vedrai che imparerai a fare quello che ora non sai fare

           Questo è un altro concetto fondamentale per sostenere l’autostima dei nostri bambini. Nessuno è in grado di far bene cose che non ha mai fatto, tutti devono impegnarsi, provare e imparare come fare qualcosa. Con l’impegno e la tenacia si raggiungono gli obiettivi. E anche noi genitori impariamo e proviamo ogni giorno a fare cose nuove, anche questo è un buon esempio per loro.

8. Anche io sbaglio e ti chiedo scusa

           Diciamoglielo, che anche noi sbagliamo, che non siamo perfetti. E quando accade, chiediamo scusa. Insegniamo loro che non si può essere perfetti, insostituibili, impeccabili. Insegniamo che noi non siamo supereroi ma che per loro ci impegniamo ogni giorno a essere i migliori genitori possibili.

9. Sono felice di essere la tua mamma

           Lo dico spesso alle mie bambine, sì, sono convinta che sia una di quelle frasi che fanno proprio bene al cuore. Al mio e al loro.

10. Ti voglio bene, sempre e comunque

           È quel “sempre e comunque” la parte più importante di questa dichiarazione d’amore. Due semplici paroline in più, ma che cerco di non dimenticare mai.

Fonte http://www.alfemminile.com/essere-genitori/10-cose-da-dire-ai-tuoi-figli-s1394840.html

Vomito bambini neonati

Sono tante le cause che possono causare il vomito:

  • se un bambino sta bene e vomita una piccola quantità è perché o ha mangiato oppure ha bevuto troppo;
  • spesso il vomito è associato alla diarrea; in questo caso ci può essere un'infezione virale;
  • se ad un bimbo subentra un'otite, un'infezione delle vie urinarie,appendicite, mal di gola e febbre, può avere anche il vomito;
  • a scuola ci sono stati casi di bambini sotto stress che hanno risposto con manifestazioni di vomito. Se il tutto accade spesso, bisognerà rivolgersi al medico.

Cosa fare in caso di vomito nei bambini?

  • Un bambino dopo che ha vomitato dev'essere invitato a fare degli sciacqui con acqua e lavarsi i denti.
    Il vomito lascia le sostanze acide in bocca che bisogna eliminarle;
  • ai bimbi piccoli viene data dell'acqua;
  • nella maggior parte dei casi, chi vomita ha la fronte sudata ed è molto stanco. Non bisogna fare altro che asciugare il viso e riposare;
  • chi allatta può continuare a farlo, ma se il vomito non cessa bisogna rivolgersi al medico;
  • se si tratta di un ragazzo che vomita, bisogna evitare di fargli assumere, latte, prodotti caseari e cibi grassi;
  • il bambino dev'essere idratato, se neonato col latte materno, se più grande con acqua e succhi di frutta diluiti;
  • ovviamente l'idratazione non può avvenire subito dopo il vomito, bisogna far riposare il paziente e magari dargli da sorseggiare un cucchiaino da caffè ogni tanto;
  • piccoli dosi di acqua con un cucchiaino anche ai neonati;
  • l'ideale è usare acqua a temperatura ambiente.

Come si può prevenire la disidratazione?

  • se il vomito con diarrea dura un paio di giorni, la situazione non è grave, ma se è un periodo maggiore, bisogna subito chiamare il medico;
  • per idratare si possono acquistare soluzioni a base di carboidrati ed elettroliti, che assicurano al bambino una reidratazione;
  • ci sono poi dei rimedi casalinghi: limonata oppure la semplice acqua e zucchero ed un pizzico di sale.
    Per un litro di acqua, occorrono 8 cucchiaini di zucchero ed uno di sale. Anche in questo caso se passano più di 2 giorni, rivolgersi al medico.

Come si può capire che bisogna reidratare?

  • Prima cosa controllare la frequenza dei viaggi in bagno;
  • prestare attenzione ai pannolini dei bambini;
  • se il bambino piange e non ha lacrime, è segno di disidratazione;
  • verificare la bocca: le labbra e l'interno della bocca devono essere umide e rosa e sulla lingua ci dev'essere la saliva.

Si può definire il vomito come malattia grave?

      Se in un bambino di 3 o 5 settimane si verificano episodi vomito molto forte e ravvicinati, potrebbe avere uno stenosi pilorica, altro non è che una forma di chiusura dello bocca dello stomaco. In questo caso la soluzione è chirurgica ed il recupero è completo.
Fonte http://www.inerboristeria.com/vomito-bambini-neonati.html

Divezzamento: divezzamento naturale neonati

INIZIARE IL DIVEZZAMENTO:

         Prima di iniziare il divezzamento è buona regola rivolgersi ad un pediatra, che indicherà il momento, le modalità e gli alimenti, tenendo conto dello stato di salute del bambino e del suo accrescimento. Egli avrà cura che la dieta sia varia, equilibrata e che venga incontro alle esigenze generiche e specifiche del bambino, assicurandosi che non ci siano carenze né eccessi, ma che siano garantiti al bambino i fabbisogni dei vari nutrienti, ovvero le quantità minime perché ci sia un normale accrescimento. La dieta didivezzamento, per questo, dovrà essere variata nel tempo, a seconda delle esigenze del bambino.

QUANDO INIZIARE IL DIVEZZAMENTO DEL NEONATO

  • Il divezzamento deve essere condotto senza fretta e “proposto” al bambino, piuttosto che “imposto”, nel senso che si dovrà dare al piccolo la possibilità di abituarsi lentamente al passaggio da un'alimentazione di solo latte ad un'alimentazione variata, che propone quindi più gusti e consistenze diverse.
  • Il divezzamento non dovrebbe aver luogo prima della fine del quarto mese, o meglio ancora del quinto, quando le esigenze nutrizionali del bambino sono cresciute e l'alimentazione con il solo latte non è in grado di fornire quanto necessario all'organismo, ormai in grado di digerire i nuovo cibi. Secondo il parere degli specialisti, sembra che anche a livello psicologico il periodo tra il quarto e il quinto mese sia il più favorevole al divezzamento.

Un divezzamento tardivo potrebbe però causare dei problemi di salute quali:

  • scarso accrescimento di statura;
  • scarso aumento di peso;
  • carenza di calcio, ferro, zinco, rame;
  • deficit immunitario legato a malnutrizione

COME PROCEDERE CON IL DIVEZZAMENTO

         È opportuno cominciare il divezzamento con buon senso e moderazione, sostituendo un solo pasto per volta e introducendo ogni volta un solo alimento nuovo.

Gli alimenti con cui solitamente si inizia il divezzamento sono:

  • semolino o altre farine
  • minestrine di pastina in brodo vegetale (patate, carote e verdure di stagione)
  • usare come condimento un cucchiaio di olio di oliva ed uno di formaggio parmigiano
  • omogeneizzati
  • liofilizzati di carne
  • mela grattugiata
Verso il sesto mese si introducono nell'alimentazione le carni, tutte frullate e tritate
  • carni bovine
  • pollo
  • coniglio
A sette mesi si può introdurre
  • il tuorlo d'uovo, mentre l'albume non prima dei dodici mesi per evitare il rischio di allergie.
Nel nono mese è opportuno proporre al bambino
  • legumi senza buccia
Dal decimo mese il bambino è pronto per mangiare anche il pesce.
Si raccomanda:
  • pesce fresco bollito e condito con olio e limone
  • sono da evitare i molluschi ed i crostacei.
         Dopo il primo anno di vita non ha più importanza seguire rigidi schemi dietetici, mentre è importante tener conto dei gusti personali del bambino, delle abitudini familiari e regionali, nonché degli aspetti relazionali dell'alimentazione. Nelle prime fasi dl divezzamento è consigliato utilizzare prodotti industriali, i quali sono più controllati, e quindi sicuri, sotto l'aspetto igienico sanitari, privi di additivi chimici, conservanti e coloranti e mantengono, grazie al procedimento industriale l'originale contenuto minerale e proteico del prodotto naturale.

Comunque per una sana alimentazione del bambino vanno sempre tenute presenti alcune regole:

  • consumare quattro pasti al giorno: i due principali (pranzo e cena) più un'abbondante e nutriente prima colazione e una piccola merenda a metà pomeriggio. Importante che i pasti siano consumati ad orari regolari per tutta l'età evolutiva.
  •  Almeno fino al quinto anno evitare cibi piccanti o fritti e i salumi.
  • Evitare l'eccesso di sale, che già a questa età andrebbe ad influire sulla pressione arteriosa.
  • Evitare di assumere zuccheri in eccesso, essi si assorbono, infatti, rapidamente e il loro eccesso, come avviene per il sale, pone le basi per alcune malattie dell'età adulta, come malattie metaboliche tipo diabete, obesità, aterosclerosi, iperucemia.
  • Evitare alimenti contenenti additivi chimici, conservanti o coloranti.
  • Far capire ai bambini che cioccolato, caramelle, gelati e dolciumi vari sono dei veri e propri alimenti e quindi non vanno consumati fuori pasto, ma considerati nel pasto stesso.
  • Quanto prima abituare il bambino ad un consumo regolare di latte, yogurth, frutta e verdura.
Fonte http://www.inerboristeria.com/divezzamento-divezzamento-naturale-neonati.html

Fattore rh: genetica del fattore rh

Storia del fattore rh:

       Nel 1939 Levis e Stetson descrissero una grave reazione emolitica avvenuta in seguito ad una trasfusione di sangue da un marito alla moglie che aveva partorito all'ottavo mese di gravidanzaun feto morto e la cosa era strana in quanto sia il ricevente sia il donatore erano dello stesso gruppo sanguigno: 01.

Le ricerche che furono subito eseguite portarono alla scoperta di un fatto nuovo:

       Il siero della donna agglutinava, specialmente se tenuto ad incubare a 37°, le emazie del marito e di circa altri 80 individui su 204 pure di gruppo 01.
       Contemporaneamente Landsteiner e Weiner nel ricercare i sieri anti M, iniettando in cavia ed in coniglio sangue di Macacus Rhesus ottennero un immunosiero che agglutinava, oltre i globuli rossi del Macacus Rhesus, anche le emazie dell'85% della popolazione bianca di New York.
       Si venne così a stabilire che:
  • esistono individui i cui globuli rossi sono agglutinati da siero anti Rh, poiché contengono l'antigene o fattore Rh e sono perciò detti Rh positivi;
  • esistono individui i cui globuli rossi non sono agglutinati dal siero anti-Rh, essi cioè non hanno l'antigeno o fattore Rh e sono detti perciò Rh negativi.
       Circa l'85% degli europei sono Rh positivi, questo antigene è un polisaccaride che si trova nei globuli rossi e certamente è pure presente nel fegato, nella milza e nelle ghiandole salivari. Esso è ereditato con carattere dominante mendeliano.
       Anche se è importante conoscere il proprio sanguigno è ancora più importante sapere il proprio fattore Rh. Non sarebbe opportuno trasfondere ad un individuo Rh negativo sangue Rh positivo; ma oltre a questo motivo la conoscenza del proprio Rh è utile alle donne incinta. Infatti se una donna Rh negativa è portatrice di un feto Rh positivo, si immunizza contro il sangue del figlio con il seguente meccanismo: nel corso della gravidanza, per lesione della placenta, piccole quantità di globuli rossi fetali si porterebbero nel circolo materno.
       Il sangue della madre, in presenza di questi globuli rossi Rh positivi produrrebbe delle sostanze dette anticorpi anti Rh positivi. Questi anticorpi passerebbero nel circolo fetale, determinando emolisi di globuli rossi fetali con conseguente ittero, anemia e nei casi più gravi anasarca.
       Molto probabilmente ciò avviene con lo stesso meccanismo con il quale si ha la isoimmunizzazione in seguito trasfusione sanguigna tra individui Rh negativi e positivi.
       Nelle regioni italiane si può affermare che su 20 madri Rh negative, circa 17-18 non si immunizzarono ed i bambini nascono normali. Quelle che si immunizzano sono una piccola parte, ma una volta immunizzate il potere anticorpale aumenterà con il succedersi delle gravidanze sempre però tenendo presente la bassa incidenza. Pertanto è cosa utile che ogni donna in gravidanza sappia il suo gruppo sanguigno ed il suo fattore Rh. Se la donna risulta Rh negativa, sarà opportuno, specialmente se si tratta della seconda o successiva gravidanza che si sottopongono alla determinazione del Test di Coombs indiretto. Questa ricerca ci dirà se nel siero della donna si sono formati anticorpi, provocati dalla presenza del feto presupposto Rh positivo. Se questo Test di Coombs risultasse positivo si farà la titolazione degli anticorpi e se questi fossero presenti in quantità eccessiva si prenderanno tutti quei provvedimenti atti a salvaguardare il feto.
       Avvenuto il parto, i globuli rossi del bambino verranno sottoposti al Test di Coombs diretto, qualora il suo Rh fosse positivo si procederà alla determinazione della bilirubinermia per vedere se nel sangue del bambino vi sono prodotti dovuti alla distruzione dei globuli rossi. Se questo esame supera certi limiti si procederà alla exsanguinotrasfusione che consiste nel sostituire parte del sangue del bambino con sangue privo di anticorpi.
Fonte http://www.inerboristeria.com/fattore-rh-genetica-del-fattore-rh.html

Duo test

Duo test: significato clinico

        Nei casi di trisomia 21 (altro nome della sindrome di Down), durante il primo trimestre la concentrazione sierica della frazione β-hCG è più elevata rispetto alle gravidanze con feto euploide (non affetto da sindrome di Down), mentre la PAPP-A risulta inferiore alla norma. Quindi, al diminuire della PAPP-A e all'aumentare della β-HCG, sale il rischio che il feto sia interessato dalle suddette malattie cromosomiche.

Duo-test come metodica di screening

        Il duo test non ha finalità diagnostiche ma di "semplice" screening; permette infatti di individuare le gestanti con un "alto" rischio di portare in grembo un feto interessato dalla sindrome di down o da altre anomalie cromosomiche, come la trisomia 18. L'aggettivo alto è stato posto tra virgolette, perché nella maggioranza dei casi le probabilità che il feto sia malato sono veramente esigue, ma comunque meritevoli di ulteriori approfondimenti diagnostici.
        La parola "screening" significa "scegliere attentamente". Infatti, il duo test rappresenta una sorta di filtro, da utilizzare nella popolazione ostetrica per individuare le gravidanza a rischio di trisomia 21 (altro nome della sindrome di down). Lo scopo del duo test non è quindi porre diagnosi di malattia, bensì identificare le gravidanze a maggior rischio in modo da eseguire ulteriori indagini a fini diagnostici.
        Di fronte ad un profilo di rischio meritevole di approfondimenti, l'unico modo per escludere o confermare il sospetto di anomalia cromosomica è quello di sottoporsi ad esami invasivi, come la villocentesi o l'amniocentesi. A questo punto è lecito chiedersi come mai le gestanti non vengano direttamente sottoposte a questi esami, evitando le varie analisi preliminari di screening, come appunto il duo test. La risposta è legata al rischio intrinseco di abortività che accompagna queste procedure invasive; infatti, le probabilità di perdere il feto a seguito delle suddette manovre diagnostiche sono contenute, ma non certo trascurabili (0,5-1%). Al contrario, il duo test e gli altri esami di screening, non essendo invasivi, non comportano rischi per la madre o per il feto.

        Il rischio legato all'esecuzione di un'indagine invasiva come il prelievo dei villi coriali o l'amniocentesi, è considerato accettabile per le donne con più di 35 anni, ma non per le gestanti più giovani. Il rischio di dare alla luce un figlio affetto da sindrome di Down, infatti, aumenta all'aumentare dell'età materna, secondo l'andamento illustrato in figura. Tra i venti ed i trent'anni, quindi, l'aumento del rischio è piuttosto modesto, mentre diviene rilevante dopo i trentacinque anni.
        Di seguito, riportiamo un semplice modulo di calcolo per quantificare il rischio teorico di dare alla luce un figlio affetto da sindrome di Down, in relazione all'età materna.
Se è vero che le donne con più di 35 anni sono quelle esposte al maggior rischio di avere figli affetti da sindrome di Down, è altrettanto vero che la maggior parte (70% circa) dei bambini con trisomia 21 nasce da donne più "giovani", quindi considerate a basso rischio.                       Quest'apparente contraddizione si basa sull'evidenza statistica che la maggior parte delle gravidanze interessa donne di età inferiore a 35 anni; di conseguenza, facendo molti più figli, in termini assoluti le fasce più giovani della popolazione danno alla luce un maggior numero di bambini affetti da mongolismo ed altre anomalie cromosomiche. Come fare, allora, per identificare prima della nascita le gravidanze a rischio tra le donne giovani? Scartata a priori - a causa del già ricordato rischio abortivo e per gli alti costi sanitari - l'ipotesi di estendere villocentesi ed amniocentesi a tutta la popolazione ostetrica, i medici hanno i dato vita ai primi test di screening. Tra questi rientra appunto il duo test, che quantifica il rischio di trisomia 21 o 18 sulla base delle concentrazioni sieriche di β-HCG e PAPP-A, ma anche di altri fattori, come variabilità soggettiva per epoca gestazionale, età materna, razza, peso corporeo, abitudine al fumo, tendenza alla minaccia d'aborto e precedenti figli con anomalie cromosomiche. Tutti questi elementi vengono elaborati da un apposito software, realizzato dalla Fetal Medicine Foundation (Londra), che esprime i risultati del duo test in termini statistici percentuali (ad esempio 1 caso patologico possibile su 1000 o un caso patologico possibile su 50). Se il numero è compreso tra 1/1 e 1/350 la probabilità che il bambino sia affetto da Trisomia 21 è considerata elevata. Nonostante l'ultimo estremo (una probabilità su 350) mostri un rischio tutto sommato contenuto, lo si considera comunque meritevole di ulteriori approfondimenti. Di fronte ad un alto profilo di rischio, quindi, è bene evitare eccessive ansie e preoccupazioni, perché nella maggior parte dei casi un rischio considerato elevato è comunque modesto in termini statistici, per cui la grande maggioranza delle donne avviate ad amniocentesi e villocentesi scoprirà di portare in grembo un feto perfettamente sano.

Duo test : quanto è affidabile?

        Trattandosi di un test di screening, nell'interpretazione del referto del duo test occorre considerare che:
  • un rischio di malattia elevato non implica necessariamente che il feto sia affetto da anomalia cromosomica; piuttosto, significa che il rischio è abbastanza elevato da giustificare un esame invasivo chiarificatore (villocentesi o amniocentesi).
  • purtroppo, se il rischio di malattia è ridotto non significa che sia nullo.
        Inoltre, bisogna considerare che il duo test è lontano dall'essere un esame di screening perfetto. La sua esecuzione, infatti, permette di individuare soltanto l'ottanta percento dei feti interessati da sindrome di Down. Significa quindi, che tra tutte le gravidanze complicate da trisomia ventuno, solamente l'80% viene considerata a rischio, quindi inviata ad amniocentesi o villocentesi. Al contrario queste indagini invasive riescono a riconoscere la presenza di anomalie praticamente nella totalità (>99%) dei feti esaminati.
        Visto che l'unico modo per conoscere con certezza se il feto è affetto o meno da un'anomalia cromosomica, consiste nell'esecuzione di un'indagine invasiva come il prelievo dei villi coriali o l'amniocentesi, il duo test non è indicato per le coppie che vogliono avere un risultato certo; in questo caso conviene sottoporsi direttamente all'amniocentesi o alla villocentesi, assumendosi il rischio di abortività dello 0,5-1%. Il duo test, inoltre, di regola non è indicato nelle donne con età superiore a 35 anni, per le quali la carta di identità è già di per sé sufficiente a classificarle come "ad alto rischio", rendendole quindi meritevoli di accertamenti invasivi.
        La capacità del duo-test di individuare le gravidanze a rischio di sindrome di Down può essere ulteriormente aumentata (fino al 90%) associandolo ad un esame ecografico chiamato translucenza nucale; in questo caso si parla di test combinato. Un ulteriore aumento della sensibilità (fino al 95%) si ottiene affiancando duo-test, translucenza nucale e quad-test. Duo test e translucenza nucale vengono eseguiti tra la 11a e la 14a settimana di gravidanza, mentre il quad-test viene eseguito più tardi, tra la quindicesima e la ventesima settimana di gestazione.

Fonte http://www.my-personaltrainer.it/salute/duo-test.html

<p style="display: none;"><cite><a href="http://www.my-personaltrainer.it/salute/duo-test.html">Duo test in gravidanza</a></cite> da http://www.my-personaltrainer.it/salute/duo-test.html</p>

<p style="display: none;"><cite><a href="http://www.my-personaltrainer.it/salute/duo-test.html">Duo test in gravidanza</a></cite> da http://www.my-personaltrainer.it/salute/duo-test.html</p>

<p style="display: none;"><cite><a href="http://www.my-personaltrainer.it/salute/duo-test.html">Duo test in gravidanza</a></cite> da http://www.my-personaltrainer.it/salute/duo-test.html</p>

<p style="display: none;"><cite><a href="http://www.my-personaltrainer.it/salute/duo-test.html">Duo test in gravidanza</a></cite> da http://www.my-personaltrainer.it/salute/duo-test.html</p>

Sterilità maschile: oligospermia ed azoospermia

Cause di sterilità maschile non ostruttive

         ALTERAZIONI DELLA PRODUZIONE DI SPERMATOZOI: in condizioni normali, un millilitro di sperma contiene tra i 60 ed i 120 milioni di spermatozoi (l'eiaculato medio ha un volume di 3 ml). Questi numeri, apparentemente esorbitanti, sono essenziali per garantire la fecondazione della cellula uovo femminile. Basti pensare che dei milioni di spermatozoi presenti nello sperma e riversati in vagina, solo un centinaio riesce a raggiungere l'ovocita.          Dopo questo incontro, per riuscire a penetrare al suo interno, gli spermatozoi devono rilasciare una serie di enzimi capaci di distruggerne i rivestimenti esterni (tra cui la zona pellucida); solamente il primo di loro che riuscirà ad aprirsi una breccia avrà l'onore di fecondare l'uovo.
         Appare dunque evidente che un'alterazione qualiquantitativa degli spermatozoi rappresenta una causa determinante di sterilità maschile.

OLIGOSPERMIA ED AZOOSPERMIA

         Un ridotto numero di spermatozoi nell'eiaculato, inferiore ai 40 milioni per ml, viene indicato con il termine medico oligospermia. In questo caso le probabilità di fecondazione sono tanto minori quanto più basso è il numero di spermatozoi prodotto.
         Tra le cause di oligospermia ricordiamo l'abuso di alcol e di sostanze stupefacenti, l'assunzione di alcuni farmaci, le infezioni delle vie genitali, alcune malattie sistemiche, diverse disfunzioni ormonali e l'esposizione a condizioni ambientali sfavorevoli (radiazioni, inquinanti industriali, eccessiva esposizione dei testicoli al calore). Una causa comune di oligospermia è rappresentata dal varicocele, cioè dallo sviluppo di vene varicose in prossimità dei testicoli.
         Più che di sterilità, l'oligospermia è considerata causa di fertilità ridotta (ipofertilità). La terapia farmacologica si basa pertanto sulla somministrazione di ormoni capaci di stimolare la spermatogenesi.
         In alcuni uomini il numero di spermatozoi nell'eiaculato risulta addirittura pari a zero (azoospermia); in questo caso si comprende facilmente come la sterilità sia totale e spesso irreversibile. E' il caso, ad esempio, del criptorchidismo, vale a dire della mancata discesa dei testicoli nella sacca scrotale all'epoca dello sviluppo. Si riconoscono anche cause di natura traumatica (particolarmente pericolosi i danni subiti nei primi anni di vita), genetica, infettiva (perlopiù malattie a trasmissione sessuale - come gonorrea, clamidie, sifilide e micoplasmi - parotite severa contratta in età adulta o malattie sistemiche come la tubercolosi), endocrina (ridotta sintesi di ormoni coinvolti nella spermatogenesi) e iatrogena (derivante, cioè, dall'utilizzo di determinati farmaci).

Il problema della sterilità maschile

         Degno di nota è il fatto che, in accordo con i risultati di numerosi studi, il numero di spermatozoi nell'eiaculato maschile è andato progressivamente riducendosi negli ultimi decenni (fino ad oltre il 50%), a testimoniare l'incidenza negativa dell'inquinamento, delle malattie infettive a trasmissione sessuale e di altri fattori tipici delle società industrializzate (alimentazione scorretta, stress, inattività fisica ed obesità ). La diffusione del problema è talmente elevata -più di un italiano su dieci è sterile- da essere considerata una vera e propria malattia sociale.
         Dal momento che la maggior parte degli uomini con problemi di fertilità non è sterile, ma "semplicemente" ipofertile, è molto importante adottare norme comportamentali adeguate, da affiancare a quelle terapeutiche prescritte dall'andrologo. Tali regole, utili anche in ottica preventiva, comprendono l'astensione dal fumo, la moderazione dell'alcol, l'utilizzo di indumenti e biancheria intima traspirante e non troppo stretta, il rispetto di una dieta equilibrata (eventualmente supplementata con zinco) e l'adozione di uno stile di vita più attivo.Non si tratta dei soliti consigli di routine; basti pensare, ad esempio, all'effetto positivo dell'attività fisica sui livelli circolanti di testosterone - fondamentali per la spermatogenesi -; all'alto grado di correlazione tra disfunzione erettile ed aterosclerosi o agli innumerevoli effetti dannosi dell'alcol e del fumo.
         Anche se in misura nettamente inferiore rispetto al sesso femminile, la fertilità maschile è influenzata negativamente dall'età avanzata. Il lento declino dei livelli di testosterone a partire dai 30 - 35 anni può infatti accrescere il problema dell'oligospermia o sommarsi ad altre cause di ipofertilità proprie o della partner.

Fonte http://www.my-personaltrainer.it/salute/sterilita-maschile.html

<p style="display: none;"><cite><a href="http://www.my-personaltrainer.it/salute/sterilita-maschile.html">Sterilità maschile: oligospermia ed azoospermia</a></cite> da http://www.my-personaltrainer.it/salute/sterilita-maschile.html</p>

<p style="display: none;"><cite><a href="http://www.my-personaltrainer.it/salute/sterilita-maschile.html">Sterilità maschile: oligospermia ed azoospermia</a></cite> da http://www.my-personaltrainer.it/salute/sterilita-maschile.html</p>

domenica 30 agosto 2015

Papa Francesco: mamme e papà meritano il Nobel

        "Il tempo in famiglia è spesso complicato, affollato, preoccupato, occupato. Ci sono tante cose da fare". Ma i genitori spesso riescono a risolvere "un'equazione che neanche i più grandi matematici riescono a fare: in 24 ore riescono a far stare il doppio del tempo". Per questo "ci sono mamme e papà che potrebbero vincere il Premio Nobel tanto lavoro hanno in famiglia".
Lo ha detto ieri papa Francesco nel corso dell'udienza generale in piazza San Pietro. Il Pontefice si è rivolto ad oltre 10 mila fedeli raccolti nel grande emiciclo dopo la pausa estiva per quella che è stata la centesima udienza generale di Francesco.

        Il Papa ha, quindi, invitato le famiglie a ritrovare il senso della preghiera anche nelle mura domestiche invitando tutti a leggere una pagina del Vangelo tutti i giorni. "Il Vangelo letto e meditato in famiglia - ha infatti detto - è come un pane buono".

        Infine, parlando a braccio, ha espresso il suo stupore per aver constatato come, in alcuni casi, i bambini non sanno neppure più fare il segno della Croce. "Ho visto che in alcune città ci sono bimbi che non lo hanno imparato. Ma tu, mamma e papà, insegna ai bambini a pregare - ha detto papa Bergoglio - e a fare il segno della Croce...".

Fonte http://www.nostrofiglio.it/news/papa-francesco-mamme-e-papa-meritano-il-nobel

Glutine e celiachia: il momento del primo assaggio non influenza il rischio di ammalarsi

          Pasta, pane, biscotti: in genere ai bambini piacciono molto. Ma qual è il momento giusto per farglieli assaggiare? Il punto è che tutti questi alimenti contengono glutine e c'è la preoccupazione che, introducendoli al momento sbagliato, aumenti il rischio di celiachia.

         Gli ultimi studi in proposito, però, rassicurano: il momento di introduzione del glutine durante lo svezzamento non influenza la probabilità di ammalarsi. Si tratta dello studio europeo PreventCD e dello studio italiano Celiprev, condotti su gruppi di bambini già ad alto rischio (per esempio perché avevano genitori malati). I dati, pubblicati nell'ottobre 2014 sul New England Journal of Medicine, parlano chiaro: che il glutine sia proposto presto, tra i quattro e i sei mesi, oppure tardi, dopo i dodici mesi, non fa differenza rispetto al rischio di sviluppare la malattia.

         L'unica differenza riguarda la presentazione dei sintomi: sembra infatti che inserendo il glutine dopo l'anno di età se ne rallenti la comparsa. Dunque: per bambini ad alto rischio (e solo per loro) potrebbe avere senso proporre il glutine un po' più tardi, ma servono altre conferme: è presto per una raccomandazione ufficiale. 

Fonte http://www.nostrofiglio.it/neonato/svezzamento/glutine-e-celiachia-il-momento-del-primo-assaggio-non-influenza-il-rischio-di-ammalarsi

Mese di nascita e salute del bambino

         
         Esiste una vasta letteratura sulla relazione tra mese del parto, gestazione e peso alla nascita. Alcuni ipotizzano un’influenza di fattori ambientali e stagionali, altri invece puntano il dito sui fattori socioeconomici, correlati anche al periodo di concepimento e quindi al mese del parto.
         Due economisti del Center for Health and Wellbeing della Princeton University, Janet Currie e Hannes Schwandt, hanno analizzato l’impatto della stagionalità sulla salute di 1.435.213 bambini (647.050 gruppi di fratelli e sorelle) partoriti negli Stati di New Jersey, New York e Pennsylvania tra 1994 e 2006.
         È emerso che maggio è il mese meno indicato per concepire un bambino: questi neonati “invernali” hanno un 13% di probabilità in più di nascere prematuri, e una gestazione media inferiore di una settimana. In termini di peso alla nascita del neonato, l’estate secondo questo studio pubblicato su “Proceedings of the National Academy of Sciences” sarebbe la stagione ideale per concepire, perché garantisce una media di 8 grammi in più. Incrociando i loro dati con i database dei Centers for Disease Control and Prevention, Currie e Schwandt hanno notato una evidente correlazione tra l’andamento della durata della gestazione e le epidemie di influenza stagionale: a quanto pare il contagio da virus influenzale è correlato a una gestazione più breve. “Questo fornisce un forte supporto all’indicazione del vaccino antinfluenzale nelle donne incinte”, afferma la Currie.
         Commenta Douglas Almond della Columbia University: “Si tratta di un’analisi imponente. Forse non sarà quella che si chiama in gergo una pistola fumante, ma è un’evidenza molto più forte di quella che avevamo a disposizione finora”. “Una differenza anche di pochi giorni nella durata della gestazione è significativa”, spiega Hyagriv Simhan, ginecologo alla University of Pittsburgh School of Medicine. “Sebbene i neonati prematuri di meno di un mese non subiscano di solito conseguenze gravi sulla loro salute, il dato diventa importante quando prendiamo in esame una popolazione vasta”.

Fonte: Currie J, Schwandt H. Within-mother analysis of seasonal patterns in health at birth. PNAS 2013; DOI: 10.1073/pnas.1307582110

Eccessiva salivazione in gravidanza, come curare la scialorrea

        L'eccessiva salivazione durante la gravidanza può rendere ancora più fastidiosi altri disturbi tipici della gestazione, come le nausee mattutine e il malessere generale che colpisce non appena le donne incinte si alzano dal letto. Durante i primi mesi di gravidanza la scialorrea è accompagnata anche da nausea e vomito e il disturbo aumenta dopo mangiato e la sera.
        Da cosa è provocata l'eccessiva salivazione in gravidanza? E' sempre colpa dell'alterazione dei livelli ormonali, per questo è molto frequente durante il primo e il terzo trimestre, quando c'è una vera e propria rivoluzione ormonalenel corpo femminile.
        Quali sono i rimedi migliori per la scialorrea e l'eccessiva salivazione in gravidanza? Quando notiamo questo disturbo possiamo assumere dei biscotti o dei cracker secchi. Anche fare piccoli pasti regolari può aiutare a regolare il disturbo. Il farmaco Biochetasi, che si prende per le nausee mattutine, è stato definito molto utile anche da donne che soffrono di scialorrea in gravidanza. Tra i rimedi omeopatici, possiamo citare il mercurius solubilis o il veratrum album.
        Di solito il disturbo comincia a regredire intorno alla 12esima-14esima settimana di gravidanza, quando le nausee cominciano ad attenuarsi.
Fonte http://www.bebeblog.it/post/168692/eccessiva-salivazione-in-gravidanza-come-curare-la-scialorrea

Il monitoraggio cardiotocografico fetale in gravidanza

INTRODUZIONE AL MONITORAGGIO CARDIOTOCOGRAFICO

         Gli ultimi due mesi di gravidanza vengono vissuti dalla donna con particolare attenzione. Inizia infatti una sorta di conto alla rovescia tutto finalizzato al momento cruciale della gravidanza: la nascita del bambino.         Oltre ai preparativi logistici (acquisto di tutto cio' che servirà al neonato, dai vestitini alla culletta e passeggino), la futura mamma comunemente vive l'attesa del parto, specie se si tratta del primo, come un grande punto interrogativo. Le domande piu' frequenti riguardano il periodo del travaglio (saro' in grado di affrontare la fase espulsiva?, e' meglio praticare l'anestesia epidurale?...) e da un punto di vista medico, la gestione di questa ultima fase della gravidanza e' finalizzata a garantire e monitorizzare il benessere fetale.

CHE COS'E' IL BENESSERE FETALE E SUA VALUTAZIONE

         Il benessere fetale e' sostanzialmente la condizione di regolare crescita del feto e la sua valutazione consente di evitare quelle rare condizioni che possono portare allo svilupparsi di danni neurologici irreversibili, fino alla morte endouterina del feto. Si tratta quindi di prevenire ed individuare eventuali segni di sofferenza fetale attraverso alcune indagini strumentali che sono diventate di routine nella gestione delle ultime fasi della gravidanza.          Analizzeremo solo alcune di queste indagini riservate a monitorizzare la gravidanza fisiologica ed in normale evoluzione, tralasciando le tecniche meno comuni utilizzate nella gestione della gravidanza patologica ed a rischio.         Il benessere fetale e' sostanzialmente correlato ad una adeguata ossigenazione del sangue fetale attraverso la placenta, che consente una regolare crescita ed attività del feto. Queste ultime vengono monitorizzate attraverso l'ecografia e la flussimetria fetale.

ECOGRAFIA E FLUSSIMETRIA

         L'ecografia eseguita intorno alla 32-34 settimana di gravidanza consente di osservare il profilo biofisico e comportamentale del feto, osservandone quindi lo stato di benessere.         L'ecografia permette di osservare:
  • 1. i movimenti respiratori fetali;
  • 2. i movimenti del corpo fetale;
  • 3. il tono fetale, ossia la posizione in flessione degli arti superiori, di quelli inferiori sull'addome e della testa sul tronco;
  • 4. i movimenti fetali oculari;
  • 5. il volume del liquido amniotico, calcolando il volume delle sacche localizzate sui 4 quadranti addominali materni;
  • 6. il grado di maturità placentare;
  • 7. le misurazioni fetali associate al peso.
         La flussimetria fetale e' un'indagine che si esegue contemporaneamente all'ecografia descritta.         Consente di studiare il flusso sanguigno a livello dei vasi ombelicali e cerebrali del poligono di Willis.         Dall'analisi di questi fattori (rapporto sistole-diastole, indice di pulsatilità P.I., rapporto di Pourcelot P.R.) associato talora allo studio delle resistenze vascolari delle arterie uterine, e' possibile confermare lo stato di benessere fetale o individuare condizioni di iniziale sofferenza fetale.         La flussimetria fetale e' infatti in grado di evidenziare la cosiddetta centralizzazione del circolo, ossia una condizione di ipoossigenazione che privilegia i distretti nobili cardiaco e cerebrale con riduzione del circolo nel distretto addominale. Questa condizione rischia di portare il feto in sofferenza.         L'ultimo mese di gravidanza (dalla 36 settimana in poi) e' caratterizzato, da un punto di vista medico, dall'esecuzione dei monitoraggi cardiotocografici fetali (CTG)

IL MONITORAGGIO CARDIOTOCOGRAFICO FETALE (CTG)

         Esso individua 2 fattori:
  • 1. la frequenza cardiaca fetale (Cardio);
  • 2. la contrattilità uterina (Toco).
         Viene utilizzato uno strumento che si avvale di ultrasuoni per il rilevamento del battito cardiaco fetale ed un sistema di variazione di pressione per il rilevamento delle contrazioni uterine.         Queste due sonde vengono applicate sull'addome della donna e mantenute in posizione mediante delle fasce elastiche.         La cardiotocografia fetale in condizioni normali viene denominata "non stress test" (NST), sotto stimolo di ossitocina viene definita "stress test", ma e' riservata a particolari condizioni eseguibili in ambiente ospedaliero.         Il monitoraggio CTG mette in evidenza quindi se vi e' un'attività contrattile dell'utero, ma analizza soprattutto le variazioni di frequenza cardiaca del feto.

Durante 20 minuti circa di tracciato si registra:
  • 1.la linea di base, ossia la linea di frequenza cardiaca basale media;
  • 2.la variabilità, ossia la differenza fra la frequenza massima e minima;
  • 3.la presenza di accelerazioni, ossia un aumento della frequenza cardiaca media;
  • 4.la presenza di decelerazioni, ossia una netta riduzione della frequenza cardiaca;
  • 5.i movimenti attivi fetali (MAF), ossia la presenza dei movimenti percepiti dalla gestante.
In un tracciato normale, queste variabili devono avere queste caratteristiche:
  • 1. linea di base: la frequenza cardiaca deve oscillare tra 120 e 160 battiti/minuto. Si definisce bradicardia se la frequenza e' inferiore a 120, tachicardia se superiore a 160;
  • 2. variabilità: normalmente e' intorno a 10/15 battiti/minuto, identificandosi un tracciato tipo 0 silente (inferiore a 5), tipo 1 ondulatorio ristretto (tra 5 e 10), tipo 2 ondulatorio (tra 10 e 25), tipo 3 saltatorio (superiore a 25);
  • 3. accelerazioni: devono essere presenti, superare i 5 battiti/minuto rispetto alla linea di base e durare piu' di 15 secondi;
  • 4. decelerazioni: non devono essere presenti in un tracciato normale. Se presenti possono denotare uno stato di ipoossigenazione e centralizzazione del circolo;
  • 5. movimenti fetali: devono essere presenti in un tracciato normale.
In base all'analisi di questi fattori si identificano 4 tipi di tracciato CTG:
  • 1. tipo A: tracciato poco variabile, senza accelerazioni, puo' esprimere una condizione patologica;
  • 2. tipo B: tracciato variabile con accelerazioni e movimenti fetali;
  • 3. tipo C: tracciato variabile senza movimenti fetali;
  • 4. tipo D: tracciato molto variabile di difficile interpretazione.

CONCLUSIONI

In conclusione, il monitoraggio cardiotocografico e' un esame da eseguire settimanalmente a partire dalla 36 settimana fino al parto ed e' un'utile indagine diagnostica volta a garantire un controllo dell'evoluzione della gravidanza.
Una eventuale alterazione di uno dei monitoraggi porterà il ginecologo ad attuare tutte le misure finalizzate alla realizzazione della nascita di un bambino sano.
Fonte http://www.medicitalia.it/minforma/ginecologia-e-ostetricia/49-monitoraggio-cardiotocografico-fetale-gravidanza.html