NESSUN aumento di rischio per le donne che hanno avuto un tumore al seno e che vogliono affrontare la gravidanza. Neanche per quelle che sono portatrici della cosiddetta “mutazione Jolie”, quella nei geni BRCA 1 e 2, che aumenta significativamente la probabilità di ammalarsi. È quanto emerge da un ampio e lungo studio, che ha coinvolto 30 centri nel mondo, condotto dal giovane oncologo italiano Matteo Lambertini dell'Irccs Policlinico San Martino di Genova e che sarà presentato lunedì 3 giugno al meeting dell'Asco, il congresso di oncologia medica più atteso dell'anno.
Lambertini si dedica da anni al tema della gravidanza dopo il tumore. Dopo aver dimostrato – insieme, tra gli altri, a Lucia Del Mastro dello stesso Policlinico San Martino e a Fedro Peccatori dell'Istituto europeo di oncologia di Milano – che avere un figlio dopo la fine delle terapie non incide sulla prognosi e sul rischio di recidive per chi ha avuto un carcinoma di tipo “ormonale”, i ricercatori si sono ora concentrati in modo specifico sulle pazienti BRCA-mutate.
Le paure degli oncologi
“Fino a non molto tempo fa i medici sconsigliavano di avere una gravidanza dopo il tumore al seno”, spiega Lambertini: “C'erano – e ci sono tutt'ora – molte preoccupazioni che possa peggiorare la prognosi, un evento ritenuto possibile da circa il 30% degli oncologi. Poche settimane fa, in un altro studio abbiamo rivelato che la percentuale sale al 45% se si parla di donne BRCA-mutate. Quasi la metà degli oncologi, quindi, sconsiglierebbe a queste pazienti di avere dei figli. In realtà non c'è un razionale per cui in questa popolazione di donne le cose debbano essere diverse, ma non avevamo dati per affermare che la gravidanza fosse ugualmente sicura”. E i risultati mostrano che è così. Ma andiamo con ordine.
Lo studio
La ricerca, condotta a livello internazionale, ha incluso più di 1.252 donne tutte sotto i 40 anni e tutte con mutazione ereditaria BRCA (811 BRCA1, 430 BRCA2, 11 BRCA1 e 2), che avevano avuto un tumore al seno (stadio I-III) diagnosticato tra il 2000 e il 2012. Il 16% di questo campione ha avuto una gravidanza alla fine dei trattamenti (in media dopo 4,5 anni dalla diagnosi): 150 donne hanno infatti avuto 170 bambini.
Il contributo italiano più numeroso è arrivato dalla Breast Unit dalla Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, grazie alla collaborazione con l'associazione aBRCAdaBRA Onlus, l'associazione che riunisce le donne mutate sul territorio nazionale: molte associate sono state infatti reclutate nello studio dalla dottoressa Alberta Ferrari.
I risultati
“Il primo messaggio è che il 16% è una percentuale più alta di quella che ci attendevamo, visto che negli altri studi era stata del 5-10%”, spiega Lambertini. “Soprattutto, dopo un follow up mediano di oltre 8 anni, non abbiamo osservato differenze nella prognosi tra le donne che avevano avuto un figlio e le altre. Inoltre, altrettanto importante, non vi è stato alcun effetto negativo sui bambini ascrivibile alle cure. L'incidenza degli aborti, delle complicanze e dei problemi, infatti, è stata inferiore a quella della popolazione generale”. Per verificare la correttezza dei dati, sono state condotte due analisi indipendenti con metodi diversi. “È importante avere risultati solidi – conclude l'oncologo – e ora la speranza è che questo studio, insieme agli altri, possa avere una ricaduta sui counseling che vengono fatti alle giovani donne con una mutazione BRCA che desiderano avere figli”.
Lambertini si dedica da anni al tema della gravidanza dopo il tumore. Dopo aver dimostrato – insieme, tra gli altri, a Lucia Del Mastro dello stesso Policlinico San Martino e a Fedro Peccatori dell'Istituto europeo di oncologia di Milano – che avere un figlio dopo la fine delle terapie non incide sulla prognosi e sul rischio di recidive per chi ha avuto un carcinoma di tipo “ormonale”, i ricercatori si sono ora concentrati in modo specifico sulle pazienti BRCA-mutate.
Le paure degli oncologi
“Fino a non molto tempo fa i medici sconsigliavano di avere una gravidanza dopo il tumore al seno”, spiega Lambertini: “C'erano – e ci sono tutt'ora – molte preoccupazioni che possa peggiorare la prognosi, un evento ritenuto possibile da circa il 30% degli oncologi. Poche settimane fa, in un altro studio abbiamo rivelato che la percentuale sale al 45% se si parla di donne BRCA-mutate. Quasi la metà degli oncologi, quindi, sconsiglierebbe a queste pazienti di avere dei figli. In realtà non c'è un razionale per cui in questa popolazione di donne le cose debbano essere diverse, ma non avevamo dati per affermare che la gravidanza fosse ugualmente sicura”. E i risultati mostrano che è così. Ma andiamo con ordine.
Lo studio
La ricerca, condotta a livello internazionale, ha incluso più di 1.252 donne tutte sotto i 40 anni e tutte con mutazione ereditaria BRCA (811 BRCA1, 430 BRCA2, 11 BRCA1 e 2), che avevano avuto un tumore al seno (stadio I-III) diagnosticato tra il 2000 e il 2012. Il 16% di questo campione ha avuto una gravidanza alla fine dei trattamenti (in media dopo 4,5 anni dalla diagnosi): 150 donne hanno infatti avuto 170 bambini.
Il contributo italiano più numeroso è arrivato dalla Breast Unit dalla Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, grazie alla collaborazione con l'associazione aBRCAdaBRA Onlus, l'associazione che riunisce le donne mutate sul territorio nazionale: molte associate sono state infatti reclutate nello studio dalla dottoressa Alberta Ferrari.
I risultati
“Il primo messaggio è che il 16% è una percentuale più alta di quella che ci attendevamo, visto che negli altri studi era stata del 5-10%”, spiega Lambertini. “Soprattutto, dopo un follow up mediano di oltre 8 anni, non abbiamo osservato differenze nella prognosi tra le donne che avevano avuto un figlio e le altre. Inoltre, altrettanto importante, non vi è stato alcun effetto negativo sui bambini ascrivibile alle cure. L'incidenza degli aborti, delle complicanze e dei problemi, infatti, è stata inferiore a quella della popolazione generale”. Per verificare la correttezza dei dati, sono state condotte due analisi indipendenti con metodi diversi. “È importante avere risultati solidi – conclude l'oncologo – e ora la speranza è che questo studio, insieme agli altri, possa avere una ricaduta sui counseling che vengono fatti alle giovani donne con una mutazione BRCA che desiderano avere figli”.
Fonte https://www.repubblica.it/dossier/salute/saluteseno/2019/05/30/news/_mutazione_jolie_brca_la_gravidanza_dopo_il_tumore_e_sicura_per_mamma_e_bambino-227552847/?ref=search
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