Capita spesso alle adolescenti di avere un ciclo mestruale molto abbondante e doloroso. Il mio, però, lo era un po’ troppo, e spesso accompagnato da un gonfiore addominale insolito, considerate le tante ore di danza che facevo, già a 16 anni, e considerato il regime alimentare sano che seguivo, mantenendomi quindi molto magra e asciutta.
Eppure ogni visita dal ginecologo si risolveva in una diagnosi di colite, o addirittura di appendicite, visto che i sintomi erano praticamente quelli, e si concludeva con la prescrizione di qualche calmante.
Eppure ogni visita dal ginecologo si risolveva in una diagnosi di colite, o addirittura di appendicite, visto che i sintomi erano praticamente quelli, e si concludeva con la prescrizione di qualche calmante.
Che io, per la verità, non ho mai preso, contraria come sono all’uso dei farmaci al di fuori dello stretto necessario: piuttosto optavo per tisane di finocchio sgonfianti. Soltanto il movimento fisico dovuto ai miei allenamenti riusciva a placare quei dolori lancinanti nella parte bassa della pancia, ma bastava anche solo una piccola preoccupazione, magari per un’interrogazione scolastica, e si ripresentavano più acuti di prima, soprattutto nel momento dell’ovulazione, o appena prima del ciclo.
Nessuno, fino ad allora, si era accorto che il mio problema si chiamava endometriosi, una malattia che colpisce molte donne ed è dovuta alla presenza anomala di cellule dell’endometrio, vale a dire il tessuto che riveste la parete interna dell’utero, in organi come le ovaie, le tube, la vagina o il peritoneo, provocando sanguinamenti interni, infiammazioni e aderenze durante il ciclo mestruale.
L’ho scoperto soltanto qualche anno dopo: mi trovavo a Milano per motivi di lavoro e un attacco ancora più acuto del solito, che quasi non mi consentiva di reggermi in piedi, mi ha costretta a precipitarmi in ospedale, dove mi sono state diagnosticate alcune cisti endometriosiche, da operare con urgenza. Non ero mai stata sotto i ferri prima di allora e il pensiero dell’anestesia mi terrorizzava. Così, ho rifiutato l’intervento.
Ma, rientrata a Roma, un nuovo controllo ha confermato la necessità del bisturi: nel giro di una settimana sono stata operata con un intervento di laparoscopia dal ginecologo Enrico Zupi, che mi ha tuttora in cura, e dopo una sola notte trascorsa in ospedale sono letteralmente rinata.
Basta con gli spettacoli in teatro o in televisione portati a termine tra gli spasmi, faticando perfino a reggermi in piedi, sorretta soltanto dal desiderio di fare al meglio il mio lavoro, per il rispetto che ho della danza, che è un’arte così rigorosa e pura! Di colpo, quelle fitte che una volta al mese mi colpivano con inaudita violenza si sono trasformate in un ricordo. Il problema è che dopo sette anni, a tradimento, sono ritornate.
Attraversavo uno dei periodi più intensi della mia vita, lavoravo moltissimo e in più stavo affrontando la separazione dal mio ex marito. Accumulavo stress e lo scaricavo tutto sulle mie povere ovaie, massacrandole: la conseguenza è stata il riformarsi non solo delle cisti, ma addirittura di un fibroma talmente grande da sentirlo addirittura con le dita, quando mi toccavo l’addome.
Dimensioni che mi hanno costretto a un secondo intervento molto più pesante, sempre eseguito da Zupi, con tre giorni di ricovero e convalescenza non semplice, a causa dei punti di sutura che davano sensazioni sgradevoli e mi costringevano a stare quasi sempre seduta.
Ma ormai avevo capito che stava anche in me la chiave per il superamento di tutto. Con la mia voglia di reagire poco a poco mi sono ristabilita. Resto sempre sotto controllo medico, e metto in atto tutti gli accorgimenti necessari: faccio tantissimo movimento grazie ai miei allenamenti quotidiani di danza, mi massaggio molto l’addome, pratico yoga e mi concentro sulla respirazione per scaricare le tensioni al di fuori, invece che sulle mie ovaie.
So bene che l’endometriosi è cronica, ma non mi lascio abbattere da questo pensiero. Tanto che, con il mio compagno, stiamo addirittura cercando di avere un figlio, nonostante la malattia comporti anche un rischio di infertilità. Io ci spero, ma non me ne faccio una fissazione: che le cose originino spesso dalla testa ormai l’ho capito».
Rossella Brescia
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