Ma ci siamo mai chiesti quando è nata l’assistenza alle partorienti e alle donne durante tutto il loro percorso di vita? L’ostetricia si è sviluppata in parallelo con l’evoluzione dell’uomo, è nata con lo svilupparsi delle prime collettività e con la manifestazione dei primi atti di aiuto reciproco e di solidarietà. Come si nasceva in un’epoca tanto remota? Le donne erano aiutate e supportate da chi stava loro vicino, solitamente da altre donne che avevano già fatto esperienza di nascita.
Troviamo traccia delle prime ostetriche in moltissime culture, dagli egizi ai romani, dai greci agli ebrei. In ogni cultura l’ostetrica, pur avendo nomi diversi, era una figura femminile esperta deputata al parto e alla assistenza della donna. Nasce con Socrate e la cultura greca, l’arte maieutica, cioè l’arte della levatrice; la maiai (ostetrica) è una donna particolarmente sensibile che conosce la natura umana, riflessiva, paziente e intelligente, oltre che abile.
Nel Medioevo le levatrici tramandano il loro sapere e la loro arte alle figlie e per la prima volta una donna laureata in medicina, Trotula, scrive un manuale di ostetricia e ginecologia in cui spiega le tecniche del parto e dell’accudimento del neonato, con una panoramica dei disturbi ginecologici più comuni. L’arte ostetrica rimane di dominio femminile fino al 1545, quando il Concilio di Trento stabilisce un legame tra donna che cura e stregoneria: inizia la caccia alle streghe e le levatrici vengono poste sotto il controllo della Chiesa. Nello stesso periodo sorgono le prime scuole di ostetricia e le prime cliniche del parto; ma si diffondono anche gli studi di chirurgia e di anatomia aperti agli uomini. Inizia la medicalizzazione del parto e la figura dell’ostetrica entra in crisi. Nel 1700 gli uomini, chirurghi o barbieri, iniziano ad assistere ai parti e introducono nell’assistenza il forcipe e gli uncini; l’arte ostetrica diventa di dominio maschile. Il parto e l’evento nascita iniziano ad essere studiati con la razionalità tipica dell’illuminismo e le levatrici vengono chiamate in causa solo se “patentate” e in caso di parti esclusivamente fisiologici. Si diffonde la posizione supina per il parto, che permette una visione maggiore del perineo da parte del medico chirurgo, e con essa inizia la medicalizzazione. Le donne ora partoriscono in case di cura a loro destinate, con la supervisione e l’intervento di uomini esperti.
Proprio in questo contesto il medico ungherese Semmelweis scopre l’asepsi e impone a tutti i chirurghi di lavarsi le mani dopo ogni visita; grazie a lui la mortalità materna crolla. Tra il 1860 e il 1890 una serie di interventi legislativi ha provveduto a definire e regolamentare l’istruzione e l’esercizio della levatrice trasformando così il suo mestiere in una vera professione. Nel 1900 l’ostetrica condotta assicura l’assistenza domiciliare alle donne su tutto il territorio; la bicicletta e la borsa ostetrica diventano il simbolo di queste professioniste che assistono gratuitamente le partorienti.
Le nuove levatrici si fecero portavoce della salute pubblica. Ma, necessariamente, per svolgere questo compito, dovettero accettare via via la gerarchizzazione implicita nel processo di medicalizzazione. In quegli anni si assistette ad una perdita del senso del mistero e di ritualità che accompagnava l’evento nascita, cancellando la concezione di assistenza al parto fondata sul rispetto della donna, dei suoi tempi e dei suoi bisogni. La nuova cultura ridusse sì la mortalità da parto ma cancellò un patrimonio culturale che si era perpetuato per secoli
Negli ultimi anni le ostetriche stanno pian piano riacquistando un ruolo cruciale nella vita delle donne, la medicalizzazione dell’evento nascita che ha caratterizzato il secolo scorso sta facendo spazio ad un’assistenza incentrata sulla donna, sulla coppia e sul loro bambino; un’assistenza che ascolta i bisogni e le esigenze della partoriente o della puerpera e che riduce l’intervento medico alla sola patologia ostetrica. Un’assistenza ostetrica che torna alle origini, con professioniste della salute della donna e della collettività che agiscono nel rispetto dell’altro.
Troviamo traccia delle prime ostetriche in moltissime culture, dagli egizi ai romani, dai greci agli ebrei. In ogni cultura l’ostetrica, pur avendo nomi diversi, era una figura femminile esperta deputata al parto e alla assistenza della donna. Nasce con Socrate e la cultura greca, l’arte maieutica, cioè l’arte della levatrice; la maiai (ostetrica) è una donna particolarmente sensibile che conosce la natura umana, riflessiva, paziente e intelligente, oltre che abile.
Nel Medioevo le levatrici tramandano il loro sapere e la loro arte alle figlie e per la prima volta una donna laureata in medicina, Trotula, scrive un manuale di ostetricia e ginecologia in cui spiega le tecniche del parto e dell’accudimento del neonato, con una panoramica dei disturbi ginecologici più comuni. L’arte ostetrica rimane di dominio femminile fino al 1545, quando il Concilio di Trento stabilisce un legame tra donna che cura e stregoneria: inizia la caccia alle streghe e le levatrici vengono poste sotto il controllo della Chiesa. Nello stesso periodo sorgono le prime scuole di ostetricia e le prime cliniche del parto; ma si diffondono anche gli studi di chirurgia e di anatomia aperti agli uomini. Inizia la medicalizzazione del parto e la figura dell’ostetrica entra in crisi. Nel 1700 gli uomini, chirurghi o barbieri, iniziano ad assistere ai parti e introducono nell’assistenza il forcipe e gli uncini; l’arte ostetrica diventa di dominio maschile. Il parto e l’evento nascita iniziano ad essere studiati con la razionalità tipica dell’illuminismo e le levatrici vengono chiamate in causa solo se “patentate” e in caso di parti esclusivamente fisiologici. Si diffonde la posizione supina per il parto, che permette una visione maggiore del perineo da parte del medico chirurgo, e con essa inizia la medicalizzazione. Le donne ora partoriscono in case di cura a loro destinate, con la supervisione e l’intervento di uomini esperti.
Proprio in questo contesto il medico ungherese Semmelweis scopre l’asepsi e impone a tutti i chirurghi di lavarsi le mani dopo ogni visita; grazie a lui la mortalità materna crolla. Tra il 1860 e il 1890 una serie di interventi legislativi ha provveduto a definire e regolamentare l’istruzione e l’esercizio della levatrice trasformando così il suo mestiere in una vera professione. Nel 1900 l’ostetrica condotta assicura l’assistenza domiciliare alle donne su tutto il territorio; la bicicletta e la borsa ostetrica diventano il simbolo di queste professioniste che assistono gratuitamente le partorienti.
Le nuove levatrici si fecero portavoce della salute pubblica. Ma, necessariamente, per svolgere questo compito, dovettero accettare via via la gerarchizzazione implicita nel processo di medicalizzazione. In quegli anni si assistette ad una perdita del senso del mistero e di ritualità che accompagnava l’evento nascita, cancellando la concezione di assistenza al parto fondata sul rispetto della donna, dei suoi tempi e dei suoi bisogni. La nuova cultura ridusse sì la mortalità da parto ma cancellò un patrimonio culturale che si era perpetuato per secoli
Negli ultimi anni le ostetriche stanno pian piano riacquistando un ruolo cruciale nella vita delle donne, la medicalizzazione dell’evento nascita che ha caratterizzato il secolo scorso sta facendo spazio ad un’assistenza incentrata sulla donna, sulla coppia e sul loro bambino; un’assistenza che ascolta i bisogni e le esigenze della partoriente o della puerpera e che riduce l’intervento medico alla sola patologia ostetrica. Un’assistenza ostetrica che torna alle origini, con professioniste della salute della donna e della collettività che agiscono nel rispetto dell’altro.
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