I ricercatori hanno preso in esame i dati raccolti attraverso la valutazione ecografica della plica nucale fetale, una regione della testa del feto il cui spessore generalmente viene indagato e misurato nel corso del primo trimestre di gravidanza attraverso l’esame della translucenza nucale (11-14 settimane). Di norma, la rilevazione ecografica di un suo ispessimento induce l’esecuzione di ulteriori accertamenti: infatti, tanto maggiore è lo spessore di quest’area e dei tessuti molli circostanti, tanto maggiore viene considerata la probabilità che il nascituro sia portatore di anomalie cromosomiche o di alcune specifiche malformazioni, cardiache o a carico di altri organi. In ogni caso, nonostante il suo importante ruolo in qualità di screening per la trisomia 21, l’uso della translucenza nucale è ancora considerato controverso a causa dell’alto tasso di falsi positivi ad essa associati.
L’indagine si è avvalsa di un campione di 3.716 gravide (dai 18 ai 39 anni) di età gestazionale compresa tra 11 e 13 settimane, recatesi per lo screening ecografico presso un centro medico di Roma; le mamme sono state suddivise in due gruppi, coloro che erano in terapia con progesterone esogeno (1.090 soggetti) e un gruppo di controllo (2.626 soggetti).
A priori, sono state escluse dal campionamento tutte le donne in gravidanza gemellare o che seguivano una specifica terapia farmacologica per il trattamento di patologie croniche, come ad esempio ipertensione e diabete mellito; anche la presenza di malformazioni fetali già note è stata motivo di esclusione dallo studio.
L’analisi dei dati ha mostrato l’esistenza di una chiara associazione (risultata statisticamente significativa) tra l’uso di progesterone esogeno e l’aumento di spessore della plica nucale fetale per ciascuna età gestazionale considerata, con un più alto grado di significatività in caso di gestazione compresa tra 11 settimane + 0 giorni e 11 settimane + 6 giorni.
Il fenomeno si è verificato indipendentemente dall’età materna, dal BMI, dalla provenienza e dalle abitudini delle donne esaminate, nonché dal sesso del feto; inoltre, il dosaggio, la tipologia e la diversa modalità di somministrazione della preparazione ormonale a base di progesterone assunta dalle mamme non ha influenzato in modo significativo lo spessore della plica nucale.
Anche se da tempo sono noti i potenziali effetti vasoattivi e mutageni che il progesterone può avere sul nascituro, lo studio condotto a Roma è unico nel suo genere in quanto dimostra i possibili effetti sul feto dell’introduzione supplementare dell’ormone nel corso del primo trimestre di gravidanza.
Tra i due gruppi di donne osservate, i ricercatori non hanno rilevato differenze statisticamente significative nel tasso di incidenza di anomalie fetali/neonatali, sottolineando che la constatazione dell’aumento dello spessore della plica nucale non sempre è legato alla presenza di difetti cromosomici; infatti, il meccanismo fisiopatologico che ne è alla base non è ancora stato compreso del tutto.
A fronte dei risultati ottenuti, gli autori dello studio hanno esplicitato che il trattamento con progesterone riduce il valore diagnostico della translucenza nucale e mette quindi in dubbio l’effettiva necessità di eseguire ulteriori accertamenti nel caso in cui la madre sia in terapia con questo ormone.
Alla luce dei possibili effetti della terapia, gli autori auspicano che avvenga una revisione dei protocolli di somministrazione del progesterone in gravidanza, riservandone l’uso ai soli casi di effettiva necessità.
Fonte Effects of exogenous progesterone on fetal nuchal translucency: an observational prospective study
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