Grazie alle nuove strategie terapeutiche antitumorali, negli ultimi anni, si è registrato un progressivo aumento della sopravvivenza media delle giovani donne affette da neoplasie, in quanto è forte l´attenzione sugli effetti a lungo termine delle terapie oncosoppressive e sulla qualità di vita delle pazienti dopo trattamento.
Tuttavia, nonostante il significativo miglioramento dei tassi di sopravvivenza, viene comunque riscontrato un danno al potenziale riproduttivo, variabile e dipendente dalla singola paziente. Non va poi trascurato come, sul piano psicologico, la prospettiva della perdita del potenziale riproduttivo, possa generare nella donna stress e altri correlati emotivi.
La preservazione della fertiltà è utile ed importante anche in quelle donne che devono sottoporsi a terapie chirurgiche per trattare l’endometriosi severa, per rimuovere formazioni cistiche o solide alle ovaie, o in quelle donne a rischio di fallimento ovarico prematuro (POF) che hanno in famiglia casi di menopausa molto precoce.
Le condizioni citate espongono la donna al rischio di forte riduzione o esaurimento della funzione ovarica anche in giovanissima età.
Il progetto di maternità viene sempre più spesso posticipato per motivi economici, sociali e professionali. Con il 34,7% l’Italia ha conquistato il podio per la percentuale più alta di donne che ha avuto il primo figlio dopo i 35 anni.
La crioconservazione degli ovociti, rappresenta per molte donne una soluzione efficace per la preservazione della loro fertilità, in quanto permette di pianificare la gravidanza nei diversi scenari e contesti sociali e in relazione alle scelte e al vissuto della singola donna.
Gli agenti chemioterapici e i trattamenti radioterapici non agiscono tutti con la stessa aggressività. Il rischio di perdere la fertilità dipende da fattori quali:
- età al momento dell’inizio della terapia;
- tipo e dosaggio del chemioterapico;
- intensità dell'esposizione alla radioterapia;
- dimensione iniziale della riserva follicolare ovarica.
Il rischio di scomparsa del ciclo mestruale, viene stimato essere del 40% a 35 anni e del 80% a 40 anni. Il potenziale riproduttivo è invece fortemente compromesso nella quasi totalità delle pazienti
Diverse procedure di preservazione della fertilità femminile impiegano tecniche quali la crioconservazione degli ovociti ottenuti dopo stimolazione ovarica con ormoni e prelievo, oppure il congelamento di embrioni ottenuti inseminando gli ovociti prelevati.
Il prelievo ovocitario prevede una terapia di stimolazione ormonale ovarica che è normalmente eseguita con la somministrazione dello stesso ormone che viene prodotto naturalmente dall’ipofisi, l’ormone follicolo stimolante (FSH), che fisiologicamente permette lo sviluppo di un follicolo.
Sia il congelamento degli ovociti che quello degli embrioni, sono tecniche già applicate comunemente nel campo della fecondazione assistita. Queste soluzioni richiedono però che la paziente abbia già raggiunto la pubertà e, nel caso del congelamento degli embrioni, che abbia un compagno o coniuge. Inoltre, è indispensabile che il quadro tumorale e le cure che esso richiede permettano la realizzazione di un ciclo di stimolazione ovarica, cosa non possibile quando la chemioterapia deve essere avviata immediatamente o quando la stimolazione è controindicata per il tipo di neoplasia.
Se la stimolazione ormonale dell’ovaio è possibile, si può procedere alla crioconservazione degli ovociti. L’efficacia di questa procedura è oggi favorita dal recente perfezionamento della tecnica di vitrificazione, una tecnica di congelamento ancora più avanzata della crioconservazione tradizionale o “lenta”.
Per le pazienti nelle quali la chemioterapia non può essere rinviata, la crioconservazione del tessuto ovarico è l’unica alternativa possibile. Questa metodologia di preservazione della fertilità prevede la crioconservazione di una parte dell’ovaio, prima dell’esposizione del soggetto agli agenti che potranno danneggiarlo.
L’obiettivo finale di questa procedura è quello di reimpiantare la parte di ovaio rimossa (di solito quella più superficiale o “corticale”) che è stata crioconservata, dopo la fine del trattamento chemioterapico.
Il reimpianto può avvenire in:
- sede Ortotopica, cioè nella stessa sede dell’area anatomica dove è situato l’ovaio;
- sede Eterotopica, cioè in zone anatomiche diverse da quella propria dell’ovaio, ma molto ricche di vasi, in quanto la parte di ovaio che viene reimpiantata funzionerà solo se sarà adeguatamente irrorata dal sangue. Alcune delle localizzazioni scelte sono superficiali, come i muscoli del braccio o dell’avambraccio, altre profonde come la capsula renale.
Le nuove metodologie di congelamento utilizzate, come la vitrificazione, assicurano percentuali di sopravvivenza e d’impianto del tutto sovrapponibili a quelle degli embrioni freschi. Anche nel caso degli ovociti, per le giovani donne, le percentuali di sopravvivenza, di fecondazione e d’impianto sono notevolmente incoraggianti.
E’ quindi consigliabile per le donne in età riproduttiva congelare ovociti prima di sottoporsi ai trattamenti radio-chemioterapici.
Per le pazienti non in età riproduttiva sarebbe idoneo il congelamento del tessuto ovarico da trapiantare successivamente al trattamento chemioterapico.
Oggi il congelamento del tessuto ovarico è in fase sperimentale ed ancora oggetto di ricerca; pochi sono i successi ottenuti in questa direzione, ma ci sono già i primi nati in donne alle quali è stato trapiantato il proprio tessuto ovarico crioconservato prima delle terapie antitumorali.
La preservazione della fertilità per le donne a rischio di perdere la loro capacità riproduttiva è una prerogativa indispensabile di un sistema sanitario polifunzionale che si faccia carico della qualità della vita futura delle pazienti.
Dal blog raffaeleferraro.it
Tuttavia, nonostante il significativo miglioramento dei tassi di sopravvivenza, viene comunque riscontrato un danno al potenziale riproduttivo, variabile e dipendente dalla singola paziente. Non va poi trascurato come, sul piano psicologico, la prospettiva della perdita del potenziale riproduttivo, possa generare nella donna stress e altri correlati emotivi.
La preservazione della fertiltà è utile ed importante anche in quelle donne che devono sottoporsi a terapie chirurgiche per trattare l’endometriosi severa, per rimuovere formazioni cistiche o solide alle ovaie, o in quelle donne a rischio di fallimento ovarico prematuro (POF) che hanno in famiglia casi di menopausa molto precoce.
Le condizioni citate espongono la donna al rischio di forte riduzione o esaurimento della funzione ovarica anche in giovanissima età.
Il progetto di maternità viene sempre più spesso posticipato per motivi economici, sociali e professionali. Con il 34,7% l’Italia ha conquistato il podio per la percentuale più alta di donne che ha avuto il primo figlio dopo i 35 anni.
La crioconservazione degli ovociti, rappresenta per molte donne una soluzione efficace per la preservazione della loro fertilità, in quanto permette di pianificare la gravidanza nei diversi scenari e contesti sociali e in relazione alle scelte e al vissuto della singola donna.
Gli agenti chemioterapici e i trattamenti radioterapici non agiscono tutti con la stessa aggressività. Il rischio di perdere la fertilità dipende da fattori quali:
- età al momento dell’inizio della terapia;
- tipo e dosaggio del chemioterapico;
- intensità dell'esposizione alla radioterapia;
- dimensione iniziale della riserva follicolare ovarica.
Il rischio di scomparsa del ciclo mestruale, viene stimato essere del 40% a 35 anni e del 80% a 40 anni. Il potenziale riproduttivo è invece fortemente compromesso nella quasi totalità delle pazienti
Diverse procedure di preservazione della fertilità femminile impiegano tecniche quali la crioconservazione degli ovociti ottenuti dopo stimolazione ovarica con ormoni e prelievo, oppure il congelamento di embrioni ottenuti inseminando gli ovociti prelevati.
Il prelievo ovocitario prevede una terapia di stimolazione ormonale ovarica che è normalmente eseguita con la somministrazione dello stesso ormone che viene prodotto naturalmente dall’ipofisi, l’ormone follicolo stimolante (FSH), che fisiologicamente permette lo sviluppo di un follicolo.
Sia il congelamento degli ovociti che quello degli embrioni, sono tecniche già applicate comunemente nel campo della fecondazione assistita. Queste soluzioni richiedono però che la paziente abbia già raggiunto la pubertà e, nel caso del congelamento degli embrioni, che abbia un compagno o coniuge. Inoltre, è indispensabile che il quadro tumorale e le cure che esso richiede permettano la realizzazione di un ciclo di stimolazione ovarica, cosa non possibile quando la chemioterapia deve essere avviata immediatamente o quando la stimolazione è controindicata per il tipo di neoplasia.
Se la stimolazione ormonale dell’ovaio è possibile, si può procedere alla crioconservazione degli ovociti. L’efficacia di questa procedura è oggi favorita dal recente perfezionamento della tecnica di vitrificazione, una tecnica di congelamento ancora più avanzata della crioconservazione tradizionale o “lenta”.
Per le pazienti nelle quali la chemioterapia non può essere rinviata, la crioconservazione del tessuto ovarico è l’unica alternativa possibile. Questa metodologia di preservazione della fertilità prevede la crioconservazione di una parte dell’ovaio, prima dell’esposizione del soggetto agli agenti che potranno danneggiarlo.
L’obiettivo finale di questa procedura è quello di reimpiantare la parte di ovaio rimossa (di solito quella più superficiale o “corticale”) che è stata crioconservata, dopo la fine del trattamento chemioterapico.
Il reimpianto può avvenire in:
- sede Ortotopica, cioè nella stessa sede dell’area anatomica dove è situato l’ovaio;
- sede Eterotopica, cioè in zone anatomiche diverse da quella propria dell’ovaio, ma molto ricche di vasi, in quanto la parte di ovaio che viene reimpiantata funzionerà solo se sarà adeguatamente irrorata dal sangue. Alcune delle localizzazioni scelte sono superficiali, come i muscoli del braccio o dell’avambraccio, altre profonde come la capsula renale.
Le nuove metodologie di congelamento utilizzate, come la vitrificazione, assicurano percentuali di sopravvivenza e d’impianto del tutto sovrapponibili a quelle degli embrioni freschi. Anche nel caso degli ovociti, per le giovani donne, le percentuali di sopravvivenza, di fecondazione e d’impianto sono notevolmente incoraggianti.
E’ quindi consigliabile per le donne in età riproduttiva congelare ovociti prima di sottoporsi ai trattamenti radio-chemioterapici.
Per le pazienti non in età riproduttiva sarebbe idoneo il congelamento del tessuto ovarico da trapiantare successivamente al trattamento chemioterapico.
Oggi il congelamento del tessuto ovarico è in fase sperimentale ed ancora oggetto di ricerca; pochi sono i successi ottenuti in questa direzione, ma ci sono già i primi nati in donne alle quali è stato trapiantato il proprio tessuto ovarico crioconservato prima delle terapie antitumorali.
La preservazione della fertilità per le donne a rischio di perdere la loro capacità riproduttiva è una prerogativa indispensabile di un sistema sanitario polifunzionale che si faccia carico della qualità della vita futura delle pazienti.
Dal blog raffaeleferraro.it
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