domenica 5 marzo 2017

Disastri procreativi: il primo figlio arriva dopo i 30 anni, ed aumenta il tasso di infertilità

      L’ultimo rapporto Eurostat sui dati relativi alla natalità, vede l’Italia al primo posto in Europa per le mamme “over 30”.      Il rapporto Eurostat - l’ufficio che si occupa delle indagini statistiche dell’Unione Europea - non ci da buone notizie: l’Italia ha un tasso di natività bassissimo - meno della media europea - ed i figli vengono concepiti decisamente in ritardo rispetto all’età consona alla fertilità.
      Di mamme ne abbiamo viste tante: attendiste, surrogate o in affitto, biologiche o genetiche, ed ancora omosessuali o single. Ma il percorso che porta alla maternità è spesso irto di ostacoli e di dossi o rallentatori.
Chi aspetta il principe azzurro, o è al secondo giro di boa dell’affettività.
Chi il lavoro ben remunerato o - preferibilmente - longevo.
Chi invece ha paura e demorde.
E chi ancora, decide più o meno consapevolmente di non volerne proprio, le “childfree”.
Prima l’attesa, poi il partner giusto, e quando sembra che tutto sia finalmente in ordine, ecco la deriva della procreazione.
La riserva ovocitaria non è più in grado di far diventare madri queste donne, trasgredendo il loro destino biologico.
Un incontro davvero doloroso tra desiderio ed aspettative di genitorialità, tra sogno nel cassetto e realtà clinica, e tra una mente piena ed un utero vuoto.
Qualche dato del rapporto Eurostat
Nel 2014 nell’Unione Europea sono nati 5.132.000 bambini.
Il nostro paese si classifica al quarto posto tra gli stati membri per numero di nascite (502.596), dopo a Francia (819.328), Regno Unito (775.908) e Germania (714.927) e seguita da Spagna (426.076) e Polonia (375.160).
In Bulgaria invece, l’età media delle neo mamme è intorno ai 25 anni (25.8).
      La situazione è però ben più grave: non solo abbiamo “primipare attempate”, ma abbiamo anche un tasso elevato di problemi di infertilità rispetto agli altri paesi, con un numero medio di figli per donna di 1.37.
Qualche riflessione
      Anticamente la donna seguiva pedissequamente il proprio destino biologico, anche a discapito della realizzazione professionale.
Prima moglie e poi madre; tutto il resto veniva molto dopo ed era davvero opzionale.
Oggi, le priorità sono diverse e, soprattutto, l’identità della donna non viene esclusivamente rappresentata dalla dimensione della maternità, ma da tantissimo altro.

Sorgono però svariate difficoltà, in quanto questo attendismo procreativo non corrisponde all’attendismo ovocitario.      La riserva ovocitaria è a termine, e non sempre l'attesa del calendario corrisponde all'attesa degli ovociti.
      Il tempo dell'attesa sembra essere diventato un vero compagno di viaggio per le donne che desiderano diventare madri: attesa di un lavoro adeguato - o adeguatamente remunerato - attesa dell'amore, attesa di sentirsi pronte, comunque attesa!
Ed ecco il dramma, la rabbia, la frustrazione.
      Il corpo diventa un estraneo, il peggior nemico della donna e della coppia, tradisce quell’atavico - e profondamente intersecato con l’identità femminile - progetto di generatività.
Uomo e donna reagiscono a questa diagnosi così lapidaria con modalità e vissuti differenti.
La donna, identificandosi sin da bambina nel ruolo di mamma, giocando con le bambole o a mamma e figlia, vivrà l’infertilità come un attacco acuto alla sua identità di donna, e svilupperà una probabile sindrome depressiva.
L’uomo invece, confonde il piano della fecondità con la potenza sessuale, sentendosi sminuito e compromesso nell’ambito fallico-fecondante, con una probabile ripercussione sulla salute psichica e sulla salute sessuale.
      L’infertilità per la sua gravità e per l’impatto enorme che ha sulla qualità di vita, viene chiamata infatti “crisi di vita” (Menning, 1975).
      Chi si occupa di coppie e di infertilità dovrà non soltanto erogare la cura, ma “prendersi cura” della coppia in tutte le sue declinazioni psico-corporee ed emozionali.

Fonte: http://ec.europa.eu/eurostat

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