In Italia, ogni anno, il 6-7% dei bambini viene alla luce troppo presto. Ciò significa che più di trentamila famiglie si trovano a vivere l’esperienza traumatica di una nascita prematura (in 5-6000 casi avvenuta prima della 26ª settimana) con tutte le difficoltà che questo evento comporta. Prevenire almeno una parte di queste nascite pretermine oggi è possibile grazie a una terapia di cui numerosi studi hanno provato l’efficacia. L’argomento è stato trattato in questi giorni a Milano, in occasione del primo incontro del neonato Gruppo di Lavoro della Società Italiana di Medicina Perinatale, impegnato nella stesura di Linee Guida per promuovere una corretta comunicazione tra medico e famiglia in caso di nascita pretermine.
Il progesterone vaginale riduce il rischio di un terzo
Gli studi confermano l’efficacia del trattamento con progesterone in capsule vaginali, da applicare quotidianamente, nella dose indicata dal medico, dal momento della diagnosi fino alla 34ª settimana di gravidanza (è questa infatti l’epoca che definisce il parto prematuro più severo che si vuole prevenire). “Ad oggi esistono indicazioni incontrovertibili che confermano che l’assunzione di progesterone in gravidanza ha la capacità di evitare un discreto numero di nascite pretermine”, considera Fabio Facchinetti, direttore dell’UOC di Ginecologia e Ostetricia dell’Azienda Ospedaliera-Università di Modena. I dati sono incoraggianti, si parla infatti di una riduzione di un terzo del rischio di parto prematuro.
Ma vediamo meglio come “funziona” questa terapia e per quali casi è indicata. “Il progesterone è un ormone che il corpo della donna produce naturalmente, quindi privo di controindicazioni o possibili effetti collaterali per la futura mamma e per il bambino”, spiega Irene Cetin, presidente SIMP e professore ordinario di Ostetricia e Ginecologia presso il Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche L.Sacco-Università degli Studi di Milano.
Negli anni gli studi relativi alla somministrazione di progesterone vaginale in caso di minacce di parto prematuro si sono sommati e si è arrivati a un’evidenza scientifica forte. “Si è visto, infatti, che alcuni giorni e spesso alcune settimane prima di un parto prematuro si verifica una modificazione del collo dell’utero, che normalmente, alla prima gravidanza è lungo 3-4 centimetri”, spiega la professoressa Cetin. “Un raccorciamento della cervice uterina è un segnale non trascurabile, poiché può appunto ‘annunciare’ un parto prematuro. Tanto più il collo è raccorciato, tanto maggiore è la probabilità che il bimbo nasca prima del termine. In questi casi la terapia con progesterone vaginale permette di ridurre il rischio del 34% se la lunghezza della cervice, misurata grazie a un’ecografia transvaginale (cervicometria), è inferiore a 25 millimetri. Il dato cresce se la cervice è raccorciata di 15 millimetri: in questo caso il rischio si riduce del 44%”.
Per quali future mamme è indicata questa terapia?
Viste le evidenze scientifiche, l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha riconosciuto il progesterone in capsule vaginali come farmaco di fascia A, inserendolo a pieno diritto tra i farmaci essenziali per la prevenzione del parto pretermine per gravidanze non gemellari (sevono altri studi per le attese multiple), in cui la cervice uterina risulti raccorciata.
Come fare, però, per sapere che il collo dell’utero si sta modificando?
Ad oggi in caso di gravidanza fisiologica non è prevista la cervicometria, ma questo esame viene effettuato se la futura mamma ha già avuto un parto prematuro in una precedente gravidanza o in presenza di altri fattori di rischio. In base all’esito dello screening, viene prescritto il trattamento a base di progesterone vaginale. “La terapia non è efficace nel 100% dei casi perché le cause di un parto pretermine possono essere diverse – un’infezione, una malformazione uterina – ma, in presenza certa di cervice raccorciata, il progesterone può essere risolutivo”, considera l’esperta.
Un gruppo di studio per migliorare la comunicazione
Gli esperti riuniti a Milano, oltre a confrontarsi a proposito delle indicazioni terapeutiche del progesterone vaginale, hanno partecipato alla prima riunione del neonato Gruppo di Lavoro creato dalla SIMP in collaborazione con l’associazione Vivere Onlus (costituita da genitori di bambini nati pretermine), che si occuperà di redarre delle Linee Guida per una corretta comunicazione in caso di parto pretermine. Un argomento cruciale, dato che la modalità con cui viene data la notizia ai futuri genitori in occasione della diagnosi e la qualità della comunicazione durante le visite successive, prima e dopo il parto, ha un impatto molto forte sul vissuto emotivo dei genitori. La creazione di linee guida da estendere a tutti gli ospedali italiani è un passo importante per le famiglie, ma anche per gli operatori della salute che vivono questa situazione difficile “dall’altra parte” e che spesso non dispongono di strumenti che li aiutino a gestire al meglio gli aspetti emotivi della comunicazione.
“Il problema del counseling alle famiglie che si trovano ad affrontare un evento di questo tipo è molto sentito dagli operatori”, dichiara Giuseppe Battagliarin, coordinatore del gruppo di lavoro e presidente della commissione Percorso Nascita Regione Emilia Romagna. “Ad oggi, ad esclusione di poche realtà, per la comunicazione tra esperti e famiglie viene utilizzato un approccio piuttosto improvvisato e affidato alla sensibilità individuale”.
Un lavoro di squadra per accompagnare le famiglie
Sostenere una famiglia con un bimbo nato prematuramente significa accompagnarla dalla diagnosi, al parto, e per tutto il periodo successivo, finché il bambino avrà bisogno di cure ed assistenza.
“La nostra mission è anche quella di far capire che il percorso che va dalla gravidanza al dopo parto, non è una staffetta con passaggio di testimone, ma un gioco di squadra”, commenta Martina Bruscagnin, presidente dell’Associazione Vivere Onlus. “Un percorso che cambia a seconda del momento, ma che deve essere unico e multidisciplinare. In particolare, per una corretta presa in carico della famiglia è necessario un protocollo comune con un approccio multidisciplinare e condiviso tra le diverse figure che intervengono nel percorso perinatale”.
“Per questo il nostro Gruppo di Lavoro è composto da medici, ostetriche, neonatologi, rappresentanti delle associazioni dei pazienti ed esperti di comunicazione”, conclude la professoressa Cetin. Un lavoro di squadra destinato a migliorare un aspetto importante dell’assistenza, perché prendersi cura di un bimbo prematuro non significa solo occuparsi della sua salute, ma anche delle esigenze, delle difficoltà e del benessere dei suoi genitori.