TUTTI ALL’ESTERO. Tra assenza di donatrici di ovuli, «Regioni che stentano a organizzarsi» e «lunghissime liste di attesa» nei «pochi centri pubblici» che sono riusciti a mettere in piedi il servizio, scrivono Michele Bocci e Caterina Pasolini, «il risultato è che le coppie italiane fanno l’eterologa prevalentemente a pagamento e molto spesso all’estero». E fra quelle che la fanno in Italia, poche possono contare sulla sanità pubblica. Così «a guadagnarci sono i privati». Infatti, spiega Repubblica, «alcune delle 70-80 strutture italiane dove i cicli si pagano dai 3 mila euro in su lavorano a buon ritmo».
LA «BEFFA». Quanto al numero delle coppie che hanno potuto ricorrere legalmente alla tecnica nel nostro paese dal 2014, i dati ufficiali non sono ancora disponibili ma secondo Bocci e Pasolini «sommando pubblico e privato, non ci si avvicina nemmeno alla metà delle 8 mila coppie che prima della sentenza si stimava andassero all’estero». Repubblica, come detto, descrive la mancata organizzazione del “servizio eterologa” da parte delle Regioni come una «beffa». Ma a la verità è che l’unica autentica beffa è stata festeggiare la legalizzazione dell’eterologa come un nuovo “diritto” per tutti gli italiani. Non è così, come insegna per esempio il caso Toscana.
MA QUALI “DONATRICI”. «Il grande problema – scrive Repubblica – è quello delle donatrici. In Italia praticamente non ce ne sono e quindi i centri acquistano gli ovociti dalle cliniche estere». Ma perché non ci sono le donatrici in Italia mentre all’estero sì? La ragione è molto concreta e l’abbiamo ripetuta mille volte: semplicemente perché all’estero le donatrici non sono donatrici e l’ovodonazione è di fatto una pratica commerciale. Gli ovuli si vendono e si comprano. In Italia invece la vendita dei gameti resta vietata, ma come si sa, il processo medico a cui deve sottoporsi una donatrice non è affatto una passeggiata: quante donne sono disposte a farlo gratis? Bocci e Pasolini parlano di pratiche alternative tipo “egg sharing” (donazioni di ovociti in soprannumero da parte di donne che fanno omologa) e donazioni “incrociate” tra coppie che vogliono ricorrere all’eterologa. Ma i numeri testimoniano che nemmeno queste sono sufficienti a coprire la domanda.
MA QUALI SOLDI. Nel frattempo, scrivono i giornalisti, gli italiani «stanchi di aspettare vanno all’estero e al ritorno chiedono il rimborso alla loro Asl». Per Repubblica «è una specie di paradosso», una Regione (l’esempio nell’articolo è l’Emilia) «assicura nel servizio pubblico l’eterologa e proprio per questo deve pagarla ai suoi cittadini che vanno all’estero per le liste di attesa spesso intasate da coppie provenienti da altre Regioni». L’articolo sembra attribuire la responsabilità dell’impasse alle Regioni che non hanno ancora incluso l’eterologa nei Lea (Livelli essenziali di assistenza). Ma se un ciclo costa diverse migliaia di euro, davvero si può pretendere che una sanità perennemente a corto di risorse se ne faccia carico come se si trattasse di un intervento salvavita?
FALLIMENTI. Insomma, come dice Stefania, 41enne della provincia di Ravenna intervistata sempre da Repubblica che ha fatto l’eterologa a Madrid, «solo chi ha i soldi riesce a restare incinta». Ma questo non perché le Regioni sono ingiuste e si fanno «beffe» dei cittadini. La stessa Sfefania racconta che prima di recarsi in Spagna, dove ha speso 8.500 euro più 1.000 per viaggi e alberghi, aveva fatto «ripetuti tentativi» a Creta e in Repubblica Ceca senza riuscire a concepire il figlio desiderato. L’eterologa è una tecnica medica costosa con altissimo tasso di fallimento. Ecco perché di fatto resta riservata solo a «chi ha i soldi». Le Regioni ce li hanno i soldi?
Foto Ansa
Fontehttp://www.tempi.it/unica-vera-beffa-e-stata-far-passare-eterologa-come-un-diritto#.Vx2UM9SLRH0
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