Una dieta ricca di fibre, per il benessere della mamma e del nascituro. Da Glasgow, dove si è svolto il congresso della Società europea di gastroenterologia pediatrica, epatologia e nutrizione, viene tracciata un’ipotesi preliminare.
L’alimentazione durante la gravidanza potrebbe giocare un ruolo nell’insorgenza della celiachia nel futuro bambino. Quel che un gruppo di ricercatori norvegesi è riuscito a dimostrare è che uno schema alimentare ricco in frutta, verdura, cereali integrali, semi, frutta secca e legumi abbasserebbe le probabilità di vedere il proprio figlio alle prese con l’intolleranza al glutine di origine autoimmune, di cui in Italia soffre un bambino su cento. La malattia, una volta diagnosticata, ha una sola opzione terapeutica: l’esclusione del glutine dalla dieta.
Le fibre della mamma e la celiachia dei bambini
I ricercatori sono giunti a questa conclusione dopo aver osservato 88mila bambini nati tra il 1999 e il 2009: monitorando la loro crescita fino agli 11 anni, dopo aver fatto lo stesso con i regimi alimentari seguiti dalle loro mamme durante le gravidanze. Incrociando i dati in loro possesso, ovvero le diagnosi di celiachia in rapporto al consumo di alimenti ricchi in fibre da parte delle donne, il gruppo guidato da Ketil Stordal è riuscito a dimostrare che, per ogni dieci grammi di fibre assunte durante la gravidanza, il rischio di vedere il proprio bambino sviluppare la celiachia si riduceva dell’otto per cento. Una probabilità che risultava dunque prossima al trenta per cento nelle donne che apportavano la quantità giornaliera di fibre raccomandata (25-30 grammi) e che continuava a crescere aumentando ulteriormente il consumo di alimenti di origine vegetale (non oltre però i 45 grammi al giorno).
L’evidenza è preliminare, come hanno tenuto a precisare gli stessi autori dello studio, e «non permette di fornire alcuna raccomandazione dietetica alle donne in dolce attesa», per dirla con Ketil Stordal, gastroenterologo pediatra all’Østfold Hospital Thrust di Fredrikstad e ricercatore dell’Istituto di salute pubblica norvegese. «Ma non possiamo a questo punto escludere che l’apporto di fibre nella mamma abbia un impatto sulla flora batterica intestinale del nascituro». E, di conseguenza, sull’«habitat» in cui la malattia si manifesta con una reazione esagerata da parte del nostro sistema immunitario al glutine, complesso proteico presente nel frumento, nell’orzo e nella segale (e dunque in tutti i loro derivati).
L’importanza della diagnosi precoce
Dallo studio è emerso anche un altro aspetto interessante: i consumi di alimenti ricchi in glutine durante la gravidanza non ha condizionato l’esordio della malattia nella prole. Motivo per cui «non è necessario che una donna incinta limiti l’apporto di alimenti in cui è presente glutine», aggiunge l’esperto. Un richiamo importante è invece quello relativo alla precocità della diagnosi, aspetto ancora largamente sconosciuto (si stima che in Europa oltre l’80 per cento dei casi di celiachia nei bambini non risulti ancora diagnosticato).
Scoprire la celiachia quanto prima è un passaggio necessario per evitare la comparsa di altre malattie di origine autoimmune più frequenti nei celiaci: come il diabete di tipo 1, la tiroidite di Hashimoto, la dermatite erpetiforme. Senza trascurare l’anemia, i problemi nella crescita, il ritardo nella comparsa della pubertà, l’osteoporosi e la riduzione del tasso di fertilità. Sovente si scopre che nelle coppie che non riescono ad avere figli la donna ha la celiachia, non ancora scoperta.
Un esame del sangue per la diagnosi
Nei bambini, secondo le più recenti indicazioni della Società Europea di Gastroenterologia Pediatrica, è possibile diagnosticare la celiachia anche senza ricorrere alla biopsia se si riscontrano la predisposizione genetica alla malattia e se gli anticorpi (anti-tranglutaminasi e anti-endomisio) sono di molto (almeno dieci volte) superiori ai valori soglia. Questo nuovo approccio - rapido, sicuro e meno invasivo - semplifica la diagnosi e rende meno traumatico l’iter per i bambini, senza condizionare l’individuazione della malattia e il peso delle diagnosi errate. Una volta scoperta la celiachia in un bambino e intrapresa la dieta senza glutine, il primo controllo può avvenire a un anno dalla diagnosi e, successivamente, ogni due anni (salvo complicanze). Particolare attenzione va posta all’età adolescenziale, durante la quale l’aderenza alla dieta senza glutine è spesso ridotta.
Fonte https://www.lastampa.it/salute/2019/07/04/news/la-celiachia-di-tuo-figlio-puo-dipendere-anche-da-che-cosa-hai-mangiato-in-gravidanza-1.36641111
L’alimentazione durante la gravidanza potrebbe giocare un ruolo nell’insorgenza della celiachia nel futuro bambino. Quel che un gruppo di ricercatori norvegesi è riuscito a dimostrare è che uno schema alimentare ricco in frutta, verdura, cereali integrali, semi, frutta secca e legumi abbasserebbe le probabilità di vedere il proprio figlio alle prese con l’intolleranza al glutine di origine autoimmune, di cui in Italia soffre un bambino su cento. La malattia, una volta diagnosticata, ha una sola opzione terapeutica: l’esclusione del glutine dalla dieta.
Le fibre della mamma e la celiachia dei bambini
I ricercatori sono giunti a questa conclusione dopo aver osservato 88mila bambini nati tra il 1999 e il 2009: monitorando la loro crescita fino agli 11 anni, dopo aver fatto lo stesso con i regimi alimentari seguiti dalle loro mamme durante le gravidanze. Incrociando i dati in loro possesso, ovvero le diagnosi di celiachia in rapporto al consumo di alimenti ricchi in fibre da parte delle donne, il gruppo guidato da Ketil Stordal è riuscito a dimostrare che, per ogni dieci grammi di fibre assunte durante la gravidanza, il rischio di vedere il proprio bambino sviluppare la celiachia si riduceva dell’otto per cento. Una probabilità che risultava dunque prossima al trenta per cento nelle donne che apportavano la quantità giornaliera di fibre raccomandata (25-30 grammi) e che continuava a crescere aumentando ulteriormente il consumo di alimenti di origine vegetale (non oltre però i 45 grammi al giorno).
L’evidenza è preliminare, come hanno tenuto a precisare gli stessi autori dello studio, e «non permette di fornire alcuna raccomandazione dietetica alle donne in dolce attesa», per dirla con Ketil Stordal, gastroenterologo pediatra all’Østfold Hospital Thrust di Fredrikstad e ricercatore dell’Istituto di salute pubblica norvegese. «Ma non possiamo a questo punto escludere che l’apporto di fibre nella mamma abbia un impatto sulla flora batterica intestinale del nascituro». E, di conseguenza, sull’«habitat» in cui la malattia si manifesta con una reazione esagerata da parte del nostro sistema immunitario al glutine, complesso proteico presente nel frumento, nell’orzo e nella segale (e dunque in tutti i loro derivati).
L’importanza della diagnosi precoce
Dallo studio è emerso anche un altro aspetto interessante: i consumi di alimenti ricchi in glutine durante la gravidanza non ha condizionato l’esordio della malattia nella prole. Motivo per cui «non è necessario che una donna incinta limiti l’apporto di alimenti in cui è presente glutine», aggiunge l’esperto. Un richiamo importante è invece quello relativo alla precocità della diagnosi, aspetto ancora largamente sconosciuto (si stima che in Europa oltre l’80 per cento dei casi di celiachia nei bambini non risulti ancora diagnosticato).
Scoprire la celiachia quanto prima è un passaggio necessario per evitare la comparsa di altre malattie di origine autoimmune più frequenti nei celiaci: come il diabete di tipo 1, la tiroidite di Hashimoto, la dermatite erpetiforme. Senza trascurare l’anemia, i problemi nella crescita, il ritardo nella comparsa della pubertà, l’osteoporosi e la riduzione del tasso di fertilità. Sovente si scopre che nelle coppie che non riescono ad avere figli la donna ha la celiachia, non ancora scoperta.
Un esame del sangue per la diagnosi
Nei bambini, secondo le più recenti indicazioni della Società Europea di Gastroenterologia Pediatrica, è possibile diagnosticare la celiachia anche senza ricorrere alla biopsia se si riscontrano la predisposizione genetica alla malattia e se gli anticorpi (anti-tranglutaminasi e anti-endomisio) sono di molto (almeno dieci volte) superiori ai valori soglia. Questo nuovo approccio - rapido, sicuro e meno invasivo - semplifica la diagnosi e rende meno traumatico l’iter per i bambini, senza condizionare l’individuazione della malattia e il peso delle diagnosi errate. Una volta scoperta la celiachia in un bambino e intrapresa la dieta senza glutine, il primo controllo può avvenire a un anno dalla diagnosi e, successivamente, ogni due anni (salvo complicanze). Particolare attenzione va posta all’età adolescenziale, durante la quale l’aderenza alla dieta senza glutine è spesso ridotta.
Fonte https://www.lastampa.it/salute/2019/07/04/news/la-celiachia-di-tuo-figlio-puo-dipendere-anche-da-che-cosa-hai-mangiato-in-gravidanza-1.36641111
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