Le critiche rivolte al “Fertility Day”, organizzato dal ministero della Salute per il 22 settembre, e alla collegata campagna di sensibilizzazione sulla fertilità, hanno fatto riparlare tra le altre cose di procreazione medicalmente assistita (PMA) e di congelamento degli ovociti. Del congelamento si era parlato anche nel 2014, quando le aziende americane Facebook e Apple avevano avviato dei programmi per farsi carico dei costi del congelamento e del mantenimento degli ovociti delle loro impiegate: congelando alcuni dei propri ovociti – cioè gli ovuli non ancora del tutto maturati e pronti per essere fecondati – le donne che lavorano per Facebook e Apple possono concentrarsi sulla carriera senza preoccuparsi del fatto che le cellule uovo che stanno nelle loro ovaie (non se ne aggiungono nel tempo, sono le stesse che si ha quando si nasce) diminuiscono e si deteriorano con l’avanzare dell’età, e quindi la loro fertilità diminuisce.
La tecnica del congelamento degli ovociti è stata ideata per permettere alle donne con problemi di salute, per esempio tumori o endometriosi (una malattia che causa la creazione di porzioni di endometrio, cioè del tessuto che ricopre la cavità interna dell’utero, in altre parti del corpo) di poter avere figli in futuro. Infatti i farmaci antitumorali diminuiscono la fertilità, mentre l’endometriosi può compromettere la capacità di avere figli per via della creazione di endometrio nelle parti sbagliate dell’apparato riproduttivo femminile e della sua successiva rimozione chirurgica nelle donne a cui la malattia è diagnosticata. Crioconservando gli ovociti si blocca il loro invecchiamento e si mantiene la loro “qualità”.
Tuttavia il congelamento degli ovociti può essere fatto anche da donne sane che vogliono assicurarsi la possibilità di avere figli in futuro. In questo caso si sente parlare di “social eggs-freezing“, perché è un congelamento fatto per ragioni sociali, cioè per permettere alle donne di impostare la propria carriera e avere dei figli una volta raggiunto un certo livello di sicurezza ed esperienza sul lavoro. Le donne che scelgono di congelare alcuni dei propri ovociti ovviamente non escludono di avere un giorno dei figli avendo un rapporto sessuale. Per loro la crioconservazione degli ovociti è come una forma di assicurazione, cui fare ricorso se proprio non si riesce ad avviare la gravidanza rimandata per occuparsi dell’avanzamento della propria carriera – in modo da avere le risorse per tirarla su, una famiglia.
Come si congelano gli ovociti
Ci sono due tecniche per congelare gli ovociti: quella del protocollo lento, più vecchia e oggi meno usata in quanto meno efficace, e quella della vitrificazione, più veloce, il cui nome deriva dall’aspetto trasparente e simile al vetro che assumono i materiali biologici sottoposti a tale procedura. Con la vitrificazione, a differenza del protocollo lento, si portano rapidamente le cellule uovo a una temperatura di -196 gradi in modo da evitare la contaminazione con l’esterno (che invece potrebbe avvenire se il congelamento avvenisse in maniera più lenta) e la formazione di cristalli di ghiaccio che potrebbe danneggiare la struttura della cellula stessa. Le cellule vengono poi conservate in azoto liquido e possono essere mantenute in questo modo per molti anni. Secondo delle linee guida dell’American Society for Reproductive Medicine (ASRM), le cellule vitrificate hanno l’81 per cento di possibilità di sopravvivenza, contro il 67 per cento di quelle congelate col protocollo lento.
Ovviamente, prima di essere congelati gli ovociti devono essere prelevati dalla donna che li vuole crioconservare: il prelievo avviene con un piccolo intervento chirurgico per via vaginale, cioè che non prevede tagli né laparoscopia (salvo casi particolari), con il chirurgo che opera grazie a una sonda ecografica. L’intervento viene eseguito in anestesia locale e la paziente può anche essere addormentata. Per usare gli ovociti messi da parte con la crioconservazione, invece, bisogna effettuare una microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI), un metodo che richiede la fecondazione in vitro, cioè fuori dal corpo della donna. Nell’ovocita scongelato viene iniettato un singolo spermatozoo: se la fecondazione ha successo si forma un embrione che poi viene inserito nell’utero della donna con un catetere.
In Italia il primo bambino nato da un ovocita vitrificato è nato a Bologna nel 1999 e dal 2005 al 2013 sono stati crioconservati 214.481 ovociti; nello stesso periodo sono stati effettuati 24.174 trattamenti per la procreazione da scongelamento di ovociti e sono state ottenute 3.043 gravidanze.
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