Cinque trasfusioni di sangue e un trapianto di cellule staminali prelevate dal midollo osseo della mamma: la piccola Elianna non era ancora nata e già i medici del Benioff Children’s Hospital di San Francisco stavano facendo di tutto per salvarle la vita, a rischio a causa di una grave forma di talassemia. Di tutto, compreso quel trapianto di staminali in utero: una terapia innovativa, tentata di nuovo per la prima volta dopo i primi fallimenti negli anni novanta.
E’ ancora presto per dire se il trapianto abbia funzionato davvero, curando definitivamente la bimba. Ma per i medici non ci sono dubbi: è già un’ottima notizia il fatto che non abbia causato problemi alla piccola o alla sua mamma.
A ripercorrere le tappe della vicenda della piccola Elianna Constantino, nata il primo febbraio scorso dopo una gravidanza decisamente complicata, sono ora un comunicato dell’Università di San Francisco e un articolo del New York Times.
A 18 settimane, un’ecografia aveva mostrato a mamma e papà che c’era qualcosa di serio che non andava: il cuore della bimba appariva ingrossato, c’era un accumulo di liquido intorno ai polmoni, più altri segni di anemia. Tutti sintomi di alfa-talassemia maggiore, una delle forme più gravi di talassemia, associata spesso a morte in utero o, in caso di sopravvivenza, alla possibilità di danni neurologici.
Per cercare di evitare il peggio, i medici di San Francisco hanno deciso di intervenire con delle trasfusioni di sangue in utero (ne sono state fatte cinque fino al parto), ma hanno proposto a genitori – di origini filippine ma residenti alle Hawaii - anche qualcosa di sperimentale: un trapianto di cellule staminali prelevate dal midollo osseo della mamma. Sono cellule staminali ematopoietiche: quelle che danno origine ai vari tipi di cellule ed elementi del sangue, come globuli rossi, globuli bianchi, piastrine.
Dopo la nascita, il trapianto di midollo è l’unica opzione realmente terapeutica per questa malattia, ma occorre trovare un donatore compatibile per ridurre il rischio di rigetto, e si tratta comunque di un intervento impegnativo, che richiede una pesante chemioterapia per annientare il sistema immunitario del ricevente, in modo da far posto alle cellule del donatore.
Come ricorda un articolo pubblicato nel 2016 sulla rivista Science, già alla fine degli anni ottanta si era cominciato a pensare di anticipare il trapianto alla vita fetale. L’idea era che il sistema immunitario del feto, ancora immaturo, avrebbe tollerato meglio le cellule estranee, ma i primi risultati ottenuti erano stati molto deludenti e negli anni successivi si è capito anche il perché: non solo nel feto c’è comunque una minima attività immunitaria, ma anche il sistema immunitario materno gioca la sua parte, attaccando le cellule del donatore.
E’ stata proprio il chirurgo fetale che ha effettuato il trapianto a Elianna, Tippi MacKenzie, a immaginare di aggirare il problema con un donatore molto speciale: la mamma. La gravidanza infatti è una condizione molto particolare dal punto di vista immunologico, caratterizzata dalla tolleranza reciproca di madre e bambino. Che, pur essendo geneticamente diffrenti, evitano in pratica di farsi la guerra.
A sei mesi di gravidanza, la piccola Elianna è stata la prima bambina al mondo in cui si è tentato questo approccio, caratterizzato - sostiene MacKenzie - da altri due punti di forza specifici: l’utilizzo di un’enorme quantità di staminali (oltre 50 milioni, molto più di quanto ne vengono trapiantate di solito) e la loro iniezione direttamente nel circolo sanguigno fetale attraverso la vena presente nel cordone ombelicale.
Al momento è presto per dire se il trapianto abbia curato la bimba. Dopo la nascita, Elianna ha avuto bisogno di nuove trasfusioni, ma può darsi che ci voglia tempo perché le cellule di sua mamma, se effettivamente sono riuscite a popolare il midollo osseo della bambina, comincino a lavorare bene. Intanto, però i medici americani considerano un grande successo il fatto che non ci sia stato rigetto e che mamma e piccola stiano bene. Può darsi che serva qualche aggiustamento alla tecnica, ma sono fiduciosi che questo risultato possa aprire le porte al trattamento in utero di altre malattie come beta talassemia, emofilia, anemia falciforme.
Fonte https://www.nostrofiglio.it/news/trapianto-staminali-in-utero
E’ ancora presto per dire se il trapianto abbia funzionato davvero, curando definitivamente la bimba. Ma per i medici non ci sono dubbi: è già un’ottima notizia il fatto che non abbia causato problemi alla piccola o alla sua mamma.
A ripercorrere le tappe della vicenda della piccola Elianna Constantino, nata il primo febbraio scorso dopo una gravidanza decisamente complicata, sono ora un comunicato dell’Università di San Francisco e un articolo del New York Times.
A 18 settimane, un’ecografia aveva mostrato a mamma e papà che c’era qualcosa di serio che non andava: il cuore della bimba appariva ingrossato, c’era un accumulo di liquido intorno ai polmoni, più altri segni di anemia. Tutti sintomi di alfa-talassemia maggiore, una delle forme più gravi di talassemia, associata spesso a morte in utero o, in caso di sopravvivenza, alla possibilità di danni neurologici.
Per cercare di evitare il peggio, i medici di San Francisco hanno deciso di intervenire con delle trasfusioni di sangue in utero (ne sono state fatte cinque fino al parto), ma hanno proposto a genitori – di origini filippine ma residenti alle Hawaii - anche qualcosa di sperimentale: un trapianto di cellule staminali prelevate dal midollo osseo della mamma. Sono cellule staminali ematopoietiche: quelle che danno origine ai vari tipi di cellule ed elementi del sangue, come globuli rossi, globuli bianchi, piastrine.
Dopo la nascita, il trapianto di midollo è l’unica opzione realmente terapeutica per questa malattia, ma occorre trovare un donatore compatibile per ridurre il rischio di rigetto, e si tratta comunque di un intervento impegnativo, che richiede una pesante chemioterapia per annientare il sistema immunitario del ricevente, in modo da far posto alle cellule del donatore.
Come ricorda un articolo pubblicato nel 2016 sulla rivista Science, già alla fine degli anni ottanta si era cominciato a pensare di anticipare il trapianto alla vita fetale. L’idea era che il sistema immunitario del feto, ancora immaturo, avrebbe tollerato meglio le cellule estranee, ma i primi risultati ottenuti erano stati molto deludenti e negli anni successivi si è capito anche il perché: non solo nel feto c’è comunque una minima attività immunitaria, ma anche il sistema immunitario materno gioca la sua parte, attaccando le cellule del donatore.
E’ stata proprio il chirurgo fetale che ha effettuato il trapianto a Elianna, Tippi MacKenzie, a immaginare di aggirare il problema con un donatore molto speciale: la mamma. La gravidanza infatti è una condizione molto particolare dal punto di vista immunologico, caratterizzata dalla tolleranza reciproca di madre e bambino. Che, pur essendo geneticamente diffrenti, evitano in pratica di farsi la guerra.
A sei mesi di gravidanza, la piccola Elianna è stata la prima bambina al mondo in cui si è tentato questo approccio, caratterizzato - sostiene MacKenzie - da altri due punti di forza specifici: l’utilizzo di un’enorme quantità di staminali (oltre 50 milioni, molto più di quanto ne vengono trapiantate di solito) e la loro iniezione direttamente nel circolo sanguigno fetale attraverso la vena presente nel cordone ombelicale.
Al momento è presto per dire se il trapianto abbia curato la bimba. Dopo la nascita, Elianna ha avuto bisogno di nuove trasfusioni, ma può darsi che ci voglia tempo perché le cellule di sua mamma, se effettivamente sono riuscite a popolare il midollo osseo della bambina, comincino a lavorare bene. Intanto, però i medici americani considerano un grande successo il fatto che non ci sia stato rigetto e che mamma e piccola stiano bene. Può darsi che serva qualche aggiustamento alla tecnica, ma sono fiduciosi che questo risultato possa aprire le porte al trattamento in utero di altre malattie come beta talassemia, emofilia, anemia falciforme.
Fonte https://www.nostrofiglio.it/news/trapianto-staminali-in-utero
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