venerdì 18 agosto 2017

Tecniche di procreazione medicalmente assistita: disciplina generale



      In Italia, la procreazione medicalmente assistita trova espressa previsione nella legge 19 febbraio 2004, n. 40 che, pur disciplinandone gli aspetti essenziali, lascia irrisolte, ancora oggi e nonostante gli interventi correttivi della Corte Costituzionale[2] che ne hanno modificato profondamente l’impianto originario, diverse questioni giuridiche, alle quali hanno cercato di fornire risposta la giurisprudenza e la dottrina più attente, spesso con esiti contrastanti.

      Del resto, il fenomeno della PMA, per la complessità dei temi, non solo giuridici ma anche morali ed etici affrontati, difficilmente si presta ad una regolamentazione compiuta lasciando, al contrario, ampi margini di discrezionalità al legislatore nella concreta regolamentazione interna, come ha ben sottolineato sul punto la Corte Edu che, in due recenti pronunce[3], ha evidenziato come, nelle materie eticamente sensibili, sia riconosciuto agli Stati un “ampio margine di apprezzamento” al fine di autorizzare o no le pratiche di fecondazione assistita e di riconoscere o no un legame di filiazione nei confronti dei minori concepiti all'estero, sebbene tale margine si ristringa notevolmente quando entrano in gioco aspetti importanti dell'esistenza o dell'identità degli individui.

      Tanto premesso, la “Legge 40”, come già anticipato profondamente modificata dagli interventi correttivi operati dalla Corte Costituzionale e succedutisi nel tempo, ammette, tra le tecniche di procreazione medicalmente assista, la sola fecondazione assistita (di tipo omologo e, a seguito dell’intervento della Consulta, anche eterologo) disciplinandone rigidamente i requisiti soggettivi ed oggettivi e prevedendone espressamente le finalità; l’art.1 della ridetta normativa dispone, infatti, che il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito solo alle condizioni e alla modalità previste dalla legge 40 – in primis l’impossibilità di rimuovere le cause di sterilità o infertilità con altri metodi terapeutici – e soltanto al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana, fermi in ogni caso i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compresi quelli del concepito.

      L’intento del legislatore del 2004 appare evidente, dunque, sin dalle prime battute ed è quello di consentire l’accesso alle tecniche di PMA solo, quale extrema ratio, per far fronte ad una situazione di inspiegata o accertata sterilità o infertilità, il cui effetto diretto è quello dell’impossibilità di procreare “naturalmente”, e solo a coloro che garantiscano un progetto familiare e di vita per il nato.

      Al di fuori di tali condizioni non è ammissibile, per il legislatore italiano, alcun intervento di PMA ed in questa ottica si pongono, da un lato, i due successivi interventi dei Giudici delle Leggi[4]  – che hanno definitivamente sancito la possibilità di ricorrere alla fecondazione, anche di tipo eterologo, non solo alle coppie affette da sterilità o infertilità inspiegate o accertate ma anche alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili così gravi da consentire l’accesso all’aborto terapeutico (aprendosi però la via al controverso tema giuridico della diagnosi pre-impianto al fine della selezione eugenica) – e, dall’altro, il mancato ingresso, all’interno del nostro ordinamento, della maternità surrogata, tecnica assai discutibile sotto il profilo etico, espressamente vietata dall’art. 12, comma 6, a norma del quale “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.

      Sempre in questo contesto trovano giusta dimensione, inoltre, le ulteriori norme del capo I della legge 40, rubricato per l’appunto “principi generali”, dedicate agli interventi di sostegno e di ricerca contro le cause patologiche, psicologiche, ambientali e sociali dei fenomeni della sterilità e della infertilità e a favore degli interventi necessari per rimuoverle.

      Fornite dunque, almeno prima facie, le coordinate ermeneutiche generali richieste per potersi muovere all’interno del complesso quadro della procreazione medicalmente assista, appare opportuno soffermarsi, con una più attenta analisi che tenga conto dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale intervenuta a partire dal 2004 (anno di pubblicazione della legge 40), sulle singole tecniche di fecondazione artificiale e sulle quaestiones giuridiche ad esse connesse [Ndr, seguirà articolo dedicato alla fecondazione assistita].

Fonte http://www.altalex.com/documents/news/2017/07/31/tecniche-di-procreazione-medicalmente-assistita-disciplina-generale

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