Venezia ha la sua prima “famiglia arcobaleno”: grazie a una decisione della Corte di Cassazione, il piccolo Marco - lo chiameremo così - ha visto finalmente riconosciute le sue due mamme anche dalla legge italiana. E ora dovrà farlo anche l’anagrafe del Comune di Venezia, che finora non aveva dato seguito alla richiesta delle due donne - sposate all’estero e unite civilmente anche in Italia - di registrare entrambe nel certificato di nascita del bimbo.
Il Comune ora dovrà adeguarsi e scrivere accanto al nome di Marco i due cognomi delle madri. «Siamo tutte molto felici, quasi stordite, ma eravamo certe di avere la ragione dalla nostra parte», commenta l’avvocata Susanna Lollini, che con la collega Elisa Battaglia ha seguito il caso, legali della rete Lenford per i diritti Lgbt. La storia giudiziaria ha avuto inizio nel 2014 ed è stato un iniziale doppio “no” secco per la coppia: prima quello del Tribunale di Venezia, seguito da quello della Corte di Appello. Ieri, la Corte Suprema ha rovesciato il tavolo, riconoscendo il preminente diritto del minore alla tutela di una famiglia. Le due donne veneziane si sono sposate all’estero e hanno avuto Marco 5 anni fa a Londra, con la procreazione assistita eterologa: nessun problema da parte dell’ufficio dello stato civile britannico del quartiere di Kensington e Chelsea a registrare il bimbo come figlio di entrambe.
Non così a Venezia, città dove le due donne hanno casa e famiglia, pur vivendo ancora all’estero. In un primo momento, la madre biologica aveva registrato all’anagrafe di Ca’ Farsetti il bimbo con il suo solo cognome. Poi, però, la coppia ha scelto ciò che è scontato per tutte le famiglie: cercare di dare al figlio tutte le garanzie e i diritti che hanno figli e figlie con una mamma e un papà: il diritto di restare in famiglia anche nel caso della morte di uno dei due genitori, il diritto al mantenimento e di vedere l’altro genitore in caso di separazione, l’eredità. Ma quando hanno chiesto al Comune di trascrivere il certificato inglese con il doppio cognome, la risposta è stata il silenzio. Per i giudici della Cassazione - invece - la richiesta della coppia, «non è contraria all’ordine pubblico internazionale». Nel suo verdetto (sentenza 14878), la Cassazione ricorda che la legge 40 sulla procreazione assistita - pur dopo gli interventi della Consulta che hanno ampliato la possibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa - prevede tuttora che i genitori siano «conviventi di sesso diverso e che la procreazione assistita si effettui in caso di sterilità della coppia».
«Tuttavia», aggiunge, «trattandosi di fattispecie effettuata e perfezionata all’estero e certificata dall’atto di stato civile di uno Stato straniero, si deve necessariamente affermare che la trascrizione richiesta non è contraria all’ordine pubblico (internazionale)». La Corte suprema cita la giurisprudenza della Corte dei diritti umani che mette in primo piano «la preminenza dell’interesse del minore» e il suo diritto «al riconoscimento e alla continuità delle relazioni affettive anche in assenza di vincoli biologici e adottivi con gli adulti di riferimento».
Con il riferimento al Consiglio d’Europa e alle sentenze della Corte di Strasburgo la Cassazione ha superato l’ostacolo Brexit. I giudici citano anche la Convenzione Onu sui diritti dei minori perché «costituisce un vero e proprio statuto» dei diritti dei più piccoli e indifesi stabilendo il «principio di uguaglianza tra minore e minore contro qualsiasi discriminazione». Un richiamo, infine, alla Costituzione italiana per «l’impegno ad eliminare gli ostacoli che impediscono lo sviluppo della persona umana, riguardante ogni individuo, in particolare quelli soggetti a discriminazione tra cui storicamente possono considerarsi
le coppie omossessuali"
A settembre la Cassazione aveva riconosciuto l’atto di nascita di un bimbo nato da due italiane sposate in Spagna e poi divorziate. A giugno, la stepchild adoption per due romane con bimba figlia di una delle due partner.
Fonte http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2017/06/16/news/figlio-di-due-madri-avra-il-loro-cognome-1.15500153
Il Comune ora dovrà adeguarsi e scrivere accanto al nome di Marco i due cognomi delle madri. «Siamo tutte molto felici, quasi stordite, ma eravamo certe di avere la ragione dalla nostra parte», commenta l’avvocata Susanna Lollini, che con la collega Elisa Battaglia ha seguito il caso, legali della rete Lenford per i diritti Lgbt. La storia giudiziaria ha avuto inizio nel 2014 ed è stato un iniziale doppio “no” secco per la coppia: prima quello del Tribunale di Venezia, seguito da quello della Corte di Appello. Ieri, la Corte Suprema ha rovesciato il tavolo, riconoscendo il preminente diritto del minore alla tutela di una famiglia. Le due donne veneziane si sono sposate all’estero e hanno avuto Marco 5 anni fa a Londra, con la procreazione assistita eterologa: nessun problema da parte dell’ufficio dello stato civile britannico del quartiere di Kensington e Chelsea a registrare il bimbo come figlio di entrambe.
Non così a Venezia, città dove le due donne hanno casa e famiglia, pur vivendo ancora all’estero. In un primo momento, la madre biologica aveva registrato all’anagrafe di Ca’ Farsetti il bimbo con il suo solo cognome. Poi, però, la coppia ha scelto ciò che è scontato per tutte le famiglie: cercare di dare al figlio tutte le garanzie e i diritti che hanno figli e figlie con una mamma e un papà: il diritto di restare in famiglia anche nel caso della morte di uno dei due genitori, il diritto al mantenimento e di vedere l’altro genitore in caso di separazione, l’eredità. Ma quando hanno chiesto al Comune di trascrivere il certificato inglese con il doppio cognome, la risposta è stata il silenzio. Per i giudici della Cassazione - invece - la richiesta della coppia, «non è contraria all’ordine pubblico internazionale». Nel suo verdetto (sentenza 14878), la Cassazione ricorda che la legge 40 sulla procreazione assistita - pur dopo gli interventi della Consulta che hanno ampliato la possibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa - prevede tuttora che i genitori siano «conviventi di sesso diverso e che la procreazione assistita si effettui in caso di sterilità della coppia».
«Tuttavia», aggiunge, «trattandosi di fattispecie effettuata e perfezionata all’estero e certificata dall’atto di stato civile di uno Stato straniero, si deve necessariamente affermare che la trascrizione richiesta non è contraria all’ordine pubblico (internazionale)». La Corte suprema cita la giurisprudenza della Corte dei diritti umani che mette in primo piano «la preminenza dell’interesse del minore» e il suo diritto «al riconoscimento e alla continuità delle relazioni affettive anche in assenza di vincoli biologici e adottivi con gli adulti di riferimento».
Con il riferimento al Consiglio d’Europa e alle sentenze della Corte di Strasburgo la Cassazione ha superato l’ostacolo Brexit. I giudici citano anche la Convenzione Onu sui diritti dei minori perché «costituisce un vero e proprio statuto» dei diritti dei più piccoli e indifesi stabilendo il «principio di uguaglianza tra minore e minore contro qualsiasi discriminazione». Un richiamo, infine, alla Costituzione italiana per «l’impegno ad eliminare gli ostacoli che impediscono lo sviluppo della persona umana, riguardante ogni individuo, in particolare quelli soggetti a discriminazione tra cui storicamente possono considerarsi
le coppie omossessuali"
A settembre la Cassazione aveva riconosciuto l’atto di nascita di un bimbo nato da due italiane sposate in Spagna e poi divorziate. A giugno, la stepchild adoption per due romane con bimba figlia di una delle due partner.
Fonte http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2017/06/16/news/figlio-di-due-madri-avra-il-loro-cognome-1.15500153
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