In alcuni - rari - casi, un'ecografia di routine può rivelare la presenza di una raccolta anomala di liquido a livello della pleura del feto, la sacca che ne raccoglie i polmoni. Si tratta di idrotorace fetale, un'anomalia che può avere diverse cause e diverse conseguenze. Vediamo di che cosa si tratta, con la consulenza di Dario Paladini, responsabile dell'Unità di medicina e chirurgia fetale dell'Istituto Gaslini di Genova.
Idrotorace fetale: di che cosa si tratta L'idrotorace fetale è un accumulo di liquido nel torace e in particolare a livello della pleura del feto, cioè la sacca nella quale sono ospitati i polmoni. A seconda che interessi un solo polmone oppure entrambi, può essere mono o bilaterale. Inoltre può essere transitorio, quindi risolversi da solo dopo un certo tempo, oppure persistente e, in questo caso, può rimanere stabile o aggravarsi nel tempo. L'accumulo di liquido può provocare una crescita ridotta dei polmoni, compressione del cuore e sviluppo successivo di idrope, cioè accumulo di liquido anche in altre parti del corpo, come l'addome (si parla di ascite) o il sottocute (edema sottocutaneo).
Può comparire in qualunque momento della gravidanza, dalle 12 settimane in avanti, e viene diagnosticato attraverso l'ecografia.
Si tratta di un'anomalia relativamente rara, che si verifica in 1-10 gravidanze ogni 15.000. Può essere associata a mortalità perinatale (in utero o subito dopo la nascita) fino al 50% dei casi, se non trattato.
Idrotorace fetale, da cosa dipende L'idrotorace fetale può dipendere da varie cause. In alcuni casi si tratta di un'anomalia isolata, cioè non associata ad altre manifestazioni (idrotorace primitivo, talvolta transitorio). In altri casi, l'idrotorace è secondario, cioè è un sintomo di altre condizioni e in particolare:
- sindromi cromosomiche come la sindrome di Down (trisomia del cromosoma 21), altre trisomie, sindrome di Turner;
- altre sindromi non cromosomiche, come la sindrome di Noonan;
- malformazioni del torace, lesioni dei polmoni o presenza di masse locali che ostruiscono i vasi sanguigni e linfatici (per esempio tumori benigni del pericardio, la membrana che avvolge il cuore);
- infezioni;
- malattie ematologiche.
A volte l'idrotorace può provocare una successiva idrope. Altre volte, è esso stesso uno dei sintomi di un'idrope generalizzata (in pratica, ne è più conseguenza che causa). Si tratta in questo caso di una condizione significativamente più grave, che in genere si accompagna anche ad un’aumentata quantità di liquido amniotico (polidramnios).
Anche l'idrope fetale può dipendere da varie condizioni, come scompenso cardiaco o anemia fetale causata da incompatibilità del fattore Rh.
Come comportarsi e che cosa aspettarsi L'esistenza di idrotorace viene in genere scoperta durante un'ecografia di routine. In questo caso, se l'esame non è stato eseguito in un centro avanzato di riferimento, l'operatore indirizza la donna a un centro di questo tipo, dove ci sia un'unità di medicina fetale in grado di inquadrare e gestire anomalie e malformazioni fetali.
Qui il primo passo è cercare di capire le cause dell'accumulo di liquido nella pleura. Per questo, sono indicati approfondimenti diagnostici come ecografie di II livello edecocardiografia fetale, amniocentesi, screening materno infettivologico ed ematologico. In base alle informazioni raccolte e alla situazione generale si decide quindi come intervenire.
Gli esiti dipendono dalle cause e dalla gravità dell'idrotorace. Se si tratta di una condizione primitiva o associata a minime malformazioni in genere la prognosi è buona: la sopravvivenza è superiore al 98% dei casi. Se l'anomalia è associata ad altre sindromi o è solo uno dei sintomi di un'idrope generalizzata la prognosi è in genere negativa e si può arrivare alla morte del bambino in utero o subito dopo la nascita. In caso di idrope fetale non trattata la sopravvivenza si abbassa al 20% dei casi.
Come si interviene Il tipo di intervento medico dipende molto dalla situazione.
In alcuni casi non si fa nulla (almeno inizialmente), a parte seguire attentamente la gravidanza e l'evolvere della situazione. Questo accade per esempio:
- In caso di idrotorace isolato lieve o di moderata entità, che può regredire spontaneamente o rimanere stabile, senza compromettere la sopravvivenza del feto (e del bambino) e la possibilità dei suoi polmoni di svilupparsi correttamente. In prossimità del parto si può valutare se è il caso di intervenire appena prima o subito dopo con un drenaggio del liquido pleurico in eccesso.
- In caso di idrotorace associato a idrope generalizzata (magari in presenza di una sindrome cromosomica), se la situazione generale è molto compromessa. Se la diagnosi viene fatta prima delle 22 settimane di gravidanza, la mamma (e il papà) possono valutare la possibilità di un'interruzione volontaria della gravidanza stessa. In ogni caso, vengono assicurate al piccolo tutta l'assistenza e le terapie necessarie, prima e dopo la nascita.
Nel 5-10% dei casi di idrotorace fetale, invece, si interviene con un approccio di chirurgia fetale che consiste nell'inserimento intrauterino di un piccolo catetere per il drenaggio del liquido in eccesso dalla pleura al liquido amniotico. Questo accade:
- In caso di idrotorace isolato che si è aggravato, andando a provocare scompenso cardiaco. Che a sua volta aggrava l'accumulo di liquido, in un circolo che tende via via a peggiorare.
- In caso di idrotorace secondario a lesioni toraciche. In questi casi, gestire il versamento permette di evitare il rischio di scompenso cardiaco, permettendo al feto di continuare a crescere fino al momento in cui si può farlo nascere, limitando i rischi di prematurità.
- In caso di idrotorace che dipende da altre condizioni (per esempio anemia fetale), se è possibile intervenire sulle cause primarie che hanno portato all'accumulo di liquido.
Come si fa l'intervento di posizionamento del drenaggio (shunt toraco-amniotico) Si tratta semplicemente dell'inserimento, sotto guida ecografica, di un piccolo catetere, che va a "pungere" la pleura del feto e viene lasciato in sede fin dopo la nascita. In pratica, un'estremità del tubicino viene posizionata nel torace del feto e l'altra nel liquido amniotico, in modo che il liquido passi dal torace stesso alla cavità amniotica.
La procedura è ambulatoriale: per la mamma l'intervento - che dura in genere circa mezz'ora - è poco più di un'amniocentesi e viene eseguito al massimo con una piccola anestesia locale. Si somministrano sempre una copertura antibiotica profilattica e dei farmaci antiinfiammatori e tocolitici (per arrestare eventuali contrazioni uterine).
È invece prevista una sedazione per il feto, in modo che rimanga fermo. Si tratta di una puntura intramuscolare che, sempre sotto guida ecografica, viene fatta a livello della coscia o del gluteo fetale. Il farmaco iniettato comprende anche una componente analgesica.
Il tubicino inserito rimane nel torace del feto per tutta la gravidanza e viene rimosso dai neonatologi dopo il parto.
I rischi dell'intervento Il posizionamento intrauterino di un drenaggio non comporta rischi per la mamma, ma nel 10-15% dei casi può verificarsi rottura prematura delle membrane, un evento che può verificarsi in qualunque momento dall'intervento al termine della gravidanza. Il rischio di morte fetale è del 5-10%.
Va inoltre sottolineato che ci possono essere dei fallimenti nella procedura. A volte, soprattutto in caso di obesità materna o per particolari posizioni del feto, non si riesce a posizione bene il catetere. Altre volte il bimbo può sfilarsi il tubicino del drenaggio, o questo può ostruirsi e non funzionare più. In questi casi, si valuta se effettuare un nuovo intervento.
Fonte Ilfeto.it.
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