Il riconoscimento di un minore concepito mediante il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo da parte di una donna legata in unione civile con quella che lo ha partorito, ma non avente alcun legame biologico con il minore, si pone in contrasto con l’art. 4 della legge n. 40/2004.
Tale normativa esclude il ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, non essendo consentita, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto.
La Corte di Cassazione – sentenza del 22 aprile 2020, n. 8029 (testo in calce) – ha nuovamente negato a una coppia omosessuale di riconoscere il figlio nato in Italia mediante il ricorso a tecniche di procreazione assistita all’estero, limitando il riconoscimento al solo genitore biologico del minore.
La pronuncia si inserisce nel vivace dibattito giurisprudenziale. Sul tema si è recentemente espressa la Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 221/2019) e la stessa Corte di Cassazione a sezioni unite (Cass. Civ. Sez. Un. 8 maggio 2019, n. 12193).
Il caso
Una coppia di donne unite civilmente aveva chiesto il riconoscimento di un bimbo partorito da una delle due e concepito mediante il ricorso alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, effettuata all'estero senza alcun contributo biologico della compagna, che comunque aveva prestato il proprio consenso all'intervento.
A fronte del rifiuto dell’Ufficiale di stato civile di ricezione della dichiarazione di riconoscimento come madri naturali del minore, la coppia era ricorsa al Tribunale di Pistoia il quale, dichiarando illegittimo il rifiuto dell'ufficiale di stato civile, aveva ordinato la rettificazione dell'atto di nascita del minore e la formazione di un nuovo atto di contenuto analogo, ma con l'indicazione di entrambe le ricorrenti in qualità di madri e l'attribuzione al minore dei relativi cognomi.
In seguito al reclamo del Pubblico ministero, anche la Corte d’appello di Firenze, aveva dato ragione alle donne.
Contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero dell'interno e l'Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Pistoia.
I ricorrenti deducevano la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. n. 396/2000, art. 30, art. 269 c.c. e della L. n. 40 del 2004, artt. 4, 5, 8 e 12, sostenendo che le disposizioni del codice civile che disciplinano la filiazione, non solo prevedono la diversità di sesso tra i genitori, ma attribuiscono la qualità di madre esclusivamente alla donna che partorisce.
Inoltre, nel ritenere consentita la genitorialità omosessuale, sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata delle predette disposizioni, il provvedimento impugnato non ha tenuto conto del divieto di procreazione medicalmente assistita imposto alle coppie omosessuali.
Con la PMA all’estero, riconosciuto solo il legame col genitore biologico
La Corte di Cassazione, osserva preliminarmente, come alla fattispecie non sia possibile applicare i principi enunciati dalla recentissima sentenza resa a sezioni unite (Cass. Civ. Sez. Un. 8 maggio 2019, n. 12193).
Qualora l’atto di nascita si sia formato all’estero perché il minore è stato partorito in un paese straniero, si pone il problema del riconoscimento ed efficacia di tale atto, in termini di compatibilità con l’ordine pubblico nazionale e internazionale.
Nel caso in esame, la fattispecie è soggetta interamente alla disciplina dell'ordinamento italiano, non presentando alcun elemento di estraneità rispetto allo stesso, tale da giustificare il ricorso alla nozione di ordine pubblico internazionale.
Infatti, ai sensi dell’art. 33 della L. 218/1995, lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale di quest'ultimo, o, se più favorevole, da quella dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino al momento della nascita, restando pertanto irrilevanti il luogo e le modalità del concepimento.
Non è condivisibile, secondo la Cassazione, l'interpretazione data dalla Corte territoriale, secondo cui il ricorso alla PMA da parte di coppie dello stesso sesso, non esclude l'operatività dell'art. 8, in forza del quale il nato può acquistare lo stato di figlio riconosciuto, non solo del partner che lo ha messo al mondo, ma anche di quello che, pur non avendo fornito materiale biologico, sia stato parte integrante del progetto di assunzione della responsabilità genitoriale, per aver prestato il proprio consenso.
Le sentenze n. 162 del 2014 e n. 96 del 2015 della Corte Costituzionale, pur avendo ampliato il numero dei soggetti che possono accedere alla procreazione medicalmente assistita, hanno lasciato inalterato il principio di base secondo cui tali tecniche si pongono come rimedio alla sterilità o infertilità derivanti da una causa patologica non altrimenti superabile.
Pur confermando che nella nozione di formazione sociale di cui all'art. 2 Cost., rientra anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, è stato ricordato che la Costituzione non parla di famiglia inscindibilmente collegata alla presenza di figli. La libertà e volontà di diventare genitori non sono senza limiti.
Nonostante sia pacifico il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali – afferma la Corte – la capacità di accogliere, crescere e educare figli, ha condotto a ritenere ammissibile l'adozione del minore da parte del partner dello stesso sesso del genitore biologico, ma non l’istaurazione automatica del rapporto.
La L. n. 76/2016, nel dettare la disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, si limita a far salvo "quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti" senza richiamare la disciplina della procreazione medicalmente assistita.
Tale interpretazione non contrasta neppure con la giurisprudenza della Corte EDU, che non ha considerato discriminatoria la scelta di limitare l’accesso alle tecniche di procreazione assistita, alle sole coppie eterosessuali sterili (Corte EDU, 16/01/2018, Nedescu c. Romania; 27/08/2015, Parrillo c. Italia).
Il diritto del minore ad avere una famiglia, non rimane senza tutela. Nel caso di specie non è in discussione il rapporto di filiazione con il genitore biologico, ma solo quello con il genitore d'intenzione, il cui mancato riconoscimento non preclude al minore l'inserimento nel nucleo familiare della coppia genitoriale, né il trattamento giuridico ricollegabile allo status di figlio, pacificamente riconosciuto nei confronti dell'altro genitore.
Fonte https://www.altalex.com/documents/news/2020/06/26/figlio-nato-in-italia-da-coppia-gay-con-pma-genitore-non-biologico-non-puo-riconoscerlo
Tale normativa esclude il ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, non essendo consentita, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto.
La Corte di Cassazione – sentenza del 22 aprile 2020, n. 8029 (testo in calce) – ha nuovamente negato a una coppia omosessuale di riconoscere il figlio nato in Italia mediante il ricorso a tecniche di procreazione assistita all’estero, limitando il riconoscimento al solo genitore biologico del minore.
La pronuncia si inserisce nel vivace dibattito giurisprudenziale. Sul tema si è recentemente espressa la Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 221/2019) e la stessa Corte di Cassazione a sezioni unite (Cass. Civ. Sez. Un. 8 maggio 2019, n. 12193).
Il caso
Una coppia di donne unite civilmente aveva chiesto il riconoscimento di un bimbo partorito da una delle due e concepito mediante il ricorso alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, effettuata all'estero senza alcun contributo biologico della compagna, che comunque aveva prestato il proprio consenso all'intervento.
A fronte del rifiuto dell’Ufficiale di stato civile di ricezione della dichiarazione di riconoscimento come madri naturali del minore, la coppia era ricorsa al Tribunale di Pistoia il quale, dichiarando illegittimo il rifiuto dell'ufficiale di stato civile, aveva ordinato la rettificazione dell'atto di nascita del minore e la formazione di un nuovo atto di contenuto analogo, ma con l'indicazione di entrambe le ricorrenti in qualità di madri e l'attribuzione al minore dei relativi cognomi.
In seguito al reclamo del Pubblico ministero, anche la Corte d’appello di Firenze, aveva dato ragione alle donne.
Contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero dell'interno e l'Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Pistoia.
I ricorrenti deducevano la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. n. 396/2000, art. 30, art. 269 c.c. e della L. n. 40 del 2004, artt. 4, 5, 8 e 12, sostenendo che le disposizioni del codice civile che disciplinano la filiazione, non solo prevedono la diversità di sesso tra i genitori, ma attribuiscono la qualità di madre esclusivamente alla donna che partorisce.
Inoltre, nel ritenere consentita la genitorialità omosessuale, sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata delle predette disposizioni, il provvedimento impugnato non ha tenuto conto del divieto di procreazione medicalmente assistita imposto alle coppie omosessuali.
Con la PMA all’estero, riconosciuto solo il legame col genitore biologico
La Corte di Cassazione, osserva preliminarmente, come alla fattispecie non sia possibile applicare i principi enunciati dalla recentissima sentenza resa a sezioni unite (Cass. Civ. Sez. Un. 8 maggio 2019, n. 12193).
Qualora l’atto di nascita si sia formato all’estero perché il minore è stato partorito in un paese straniero, si pone il problema del riconoscimento ed efficacia di tale atto, in termini di compatibilità con l’ordine pubblico nazionale e internazionale.
Nel caso in esame, la fattispecie è soggetta interamente alla disciplina dell'ordinamento italiano, non presentando alcun elemento di estraneità rispetto allo stesso, tale da giustificare il ricorso alla nozione di ordine pubblico internazionale.
Infatti, ai sensi dell’art. 33 della L. 218/1995, lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale di quest'ultimo, o, se più favorevole, da quella dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino al momento della nascita, restando pertanto irrilevanti il luogo e le modalità del concepimento.
Non è condivisibile, secondo la Cassazione, l'interpretazione data dalla Corte territoriale, secondo cui il ricorso alla PMA da parte di coppie dello stesso sesso, non esclude l'operatività dell'art. 8, in forza del quale il nato può acquistare lo stato di figlio riconosciuto, non solo del partner che lo ha messo al mondo, ma anche di quello che, pur non avendo fornito materiale biologico, sia stato parte integrante del progetto di assunzione della responsabilità genitoriale, per aver prestato il proprio consenso.
Le sentenze n. 162 del 2014 e n. 96 del 2015 della Corte Costituzionale, pur avendo ampliato il numero dei soggetti che possono accedere alla procreazione medicalmente assistita, hanno lasciato inalterato il principio di base secondo cui tali tecniche si pongono come rimedio alla sterilità o infertilità derivanti da una causa patologica non altrimenti superabile.
Pur confermando che nella nozione di formazione sociale di cui all'art. 2 Cost., rientra anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, è stato ricordato che la Costituzione non parla di famiglia inscindibilmente collegata alla presenza di figli. La libertà e volontà di diventare genitori non sono senza limiti.
Nonostante sia pacifico il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali – afferma la Corte – la capacità di accogliere, crescere e educare figli, ha condotto a ritenere ammissibile l'adozione del minore da parte del partner dello stesso sesso del genitore biologico, ma non l’istaurazione automatica del rapporto.
La L. n. 76/2016, nel dettare la disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, si limita a far salvo "quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti" senza richiamare la disciplina della procreazione medicalmente assistita.
Tale interpretazione non contrasta neppure con la giurisprudenza della Corte EDU, che non ha considerato discriminatoria la scelta di limitare l’accesso alle tecniche di procreazione assistita, alle sole coppie eterosessuali sterili (Corte EDU, 16/01/2018, Nedescu c. Romania; 27/08/2015, Parrillo c. Italia).
Il diritto del minore ad avere una famiglia, non rimane senza tutela. Nel caso di specie non è in discussione il rapporto di filiazione con il genitore biologico, ma solo quello con il genitore d'intenzione, il cui mancato riconoscimento non preclude al minore l'inserimento nel nucleo familiare della coppia genitoriale, né il trattamento giuridico ricollegabile allo status di figlio, pacificamente riconosciuto nei confronti dell'altro genitore.
Fonte https://www.altalex.com/documents/news/2020/06/26/figlio-nato-in-italia-da-coppia-gay-con-pma-genitore-non-biologico-non-puo-riconoscerlo
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