Un’indagine commissionata dall’Istituto Valenciano per l’Infertilità e condotta da Ixè rivela una conoscenza piuttosto superficiale
L’infertilità è un problema che riguarda il 15% delle coppie (dati Ministero della Salute). Eppure, sia gli uomini che le donne dai 25 ai 44 anni, l’età della genitorialità, conoscono davvero poco delle sue cause e delle possibilità che oggi sono a disposizione per provare a superarla. Lo dimostra un’indagine commissionata dall’Istituto Valenciano per l’Infertilità (Ivi) e condotta da Ixè su un campione rappresentativo di 600 persone.
Ben il 17% degli intervistati (e quindi quasi 2 persone su 10) ritiene che la fertilità della donna inizi a diminuire dai 46 ai 50 anni e un ulteriore 11% (costituito soprattutto da uomini) crede che la riduzione cominci dopo i 50 anni.
La media del campione è convinta che il calo della fertilità parta a 42 anni. In realtà la flessione della capacità di riproduzione inizia dopo i 35 anni, con un calo importante già dopo i 30.
Se 7 intervistati su 10 sanno che il fumo incide negativamente sulla fertilità, solo 6 su 10 sono consapevoli del ruolo limitante di alcol ed età. Vengono anche sottostimati gli effetti dell’anoressia e dell’obesità, degli agenti inquinanti e, soprattutto, delle malattie sessualmente trasmesse: meno della metà del campione li riconosce come fattori che compromettono la capacità di riproduzione. In linea generale, comunque, sono più informate le donne rispetto agli uomini, le persone della fascia di età 30-34 anni e quelle con un maggior livello scolare.
Se il figlio desiderato non arrivasse, il 49% degli intervistati (soprattutto chi ha già avuto figli) sceglierebbe l’adozione e il 48% (in particolare chi non è ancora diventato genitore) la fecondazione assistita. La gestazione per altri è presa in considerazione solo dal 5% del campione. Tra chi ipotizza il ricorso alla fecondazione assistita, il 37% accetterebbe anche la donazione eterologa (con spermatozoi o ovociti provenienti da un donatore o da una donatrice), soprattutto le donne, più degli uomini, e i 25 – 29enni.
Il social freezing
Quanto al social freezing, vale a dire la possibilità di crioconservare gli ovociti con per preservare nel tempo la fertilità di una donna, solo 17 intervistati su 100 sanno che è una tecnica a cui si può accedere anche in Italia: il 37% non sa se venga praticata nel nostro Paese e il 20% crede che qui non sia permessa. E se il 61% vede di buon occhio la crioconservazione degli ovociti quando una donna debba sottoporsi a terapie e cure che potrebbero renderla sterile, solo il 27% ne ritiene giustificabile il ricorso «per aspettare di trovare il compagno della vita» e il 23% (di cui fanno parte soprattutto persone più giovani) per favorire il percorso lavorativo o di studio per raggiungere obiettivi importanti.
Inoltre, nel caso in cui una donna abbia crioconservato i suoi ovociti e li voglia utilizzare quando decide di diventare madre, secondo il 52% del campione dovrebbe essere libera di farlo in qualunque momento e a prescindere da qualsiasi valutazione familiare o sociale, mentre per una percentuale tra il 10% ed il 20%, sarebbe opportuno considerare alcune condizioni, come la salute, l’età e la stabilità di coppia.
«Oggi, attraverso il social freezing una donna può avere una opportunità in più se decide di procrastinare la maternità per motivi professionali o personali o magari semplicemente perché non ha ancora un compagno con cui condividere progetti di vita», spiega Daniela Galliano, direttrice del Centro Ivi di Roma. «I dati dell’indagine, come del resto la pratica clinica, mostrano come si tratti di un fenomeno ancora poco conosciuto in Italia ma l’atteggiamento di apertura che è emerso rappresenta un segnale incoraggiante».
Ma perché, in generale, la genitorialità sembra spaventare più che in passato? Per la maggior parte del campione è per le questioni economiche, poi vengono le insicurezze sulle proprie capacità di crescere un figlio. I limiti alla carriera sono un ostacolo solo per il 6% degli intervistati, in particolare per chi ha già figli.
Fonte https://www.vanityfair.it/news/approfondimenti/2019/12/14/infertilita-fecondazione-assistita-e-social-freezing-quanto-ne-sanno-gli-italiani
L’infertilità è un problema che riguarda il 15% delle coppie (dati Ministero della Salute). Eppure, sia gli uomini che le donne dai 25 ai 44 anni, l’età della genitorialità, conoscono davvero poco delle sue cause e delle possibilità che oggi sono a disposizione per provare a superarla. Lo dimostra un’indagine commissionata dall’Istituto Valenciano per l’Infertilità (Ivi) e condotta da Ixè su un campione rappresentativo di 600 persone.
Ben il 17% degli intervistati (e quindi quasi 2 persone su 10) ritiene che la fertilità della donna inizi a diminuire dai 46 ai 50 anni e un ulteriore 11% (costituito soprattutto da uomini) crede che la riduzione cominci dopo i 50 anni.
La media del campione è convinta che il calo della fertilità parta a 42 anni. In realtà la flessione della capacità di riproduzione inizia dopo i 35 anni, con un calo importante già dopo i 30.
Se 7 intervistati su 10 sanno che il fumo incide negativamente sulla fertilità, solo 6 su 10 sono consapevoli del ruolo limitante di alcol ed età. Vengono anche sottostimati gli effetti dell’anoressia e dell’obesità, degli agenti inquinanti e, soprattutto, delle malattie sessualmente trasmesse: meno della metà del campione li riconosce come fattori che compromettono la capacità di riproduzione. In linea generale, comunque, sono più informate le donne rispetto agli uomini, le persone della fascia di età 30-34 anni e quelle con un maggior livello scolare.
Se il figlio desiderato non arrivasse, il 49% degli intervistati (soprattutto chi ha già avuto figli) sceglierebbe l’adozione e il 48% (in particolare chi non è ancora diventato genitore) la fecondazione assistita. La gestazione per altri è presa in considerazione solo dal 5% del campione. Tra chi ipotizza il ricorso alla fecondazione assistita, il 37% accetterebbe anche la donazione eterologa (con spermatozoi o ovociti provenienti da un donatore o da una donatrice), soprattutto le donne, più degli uomini, e i 25 – 29enni.
Il social freezing
Quanto al social freezing, vale a dire la possibilità di crioconservare gli ovociti con per preservare nel tempo la fertilità di una donna, solo 17 intervistati su 100 sanno che è una tecnica a cui si può accedere anche in Italia: il 37% non sa se venga praticata nel nostro Paese e il 20% crede che qui non sia permessa. E se il 61% vede di buon occhio la crioconservazione degli ovociti quando una donna debba sottoporsi a terapie e cure che potrebbero renderla sterile, solo il 27% ne ritiene giustificabile il ricorso «per aspettare di trovare il compagno della vita» e il 23% (di cui fanno parte soprattutto persone più giovani) per favorire il percorso lavorativo o di studio per raggiungere obiettivi importanti.
Inoltre, nel caso in cui una donna abbia crioconservato i suoi ovociti e li voglia utilizzare quando decide di diventare madre, secondo il 52% del campione dovrebbe essere libera di farlo in qualunque momento e a prescindere da qualsiasi valutazione familiare o sociale, mentre per una percentuale tra il 10% ed il 20%, sarebbe opportuno considerare alcune condizioni, come la salute, l’età e la stabilità di coppia.
«Oggi, attraverso il social freezing una donna può avere una opportunità in più se decide di procrastinare la maternità per motivi professionali o personali o magari semplicemente perché non ha ancora un compagno con cui condividere progetti di vita», spiega Daniela Galliano, direttrice del Centro Ivi di Roma. «I dati dell’indagine, come del resto la pratica clinica, mostrano come si tratti di un fenomeno ancora poco conosciuto in Italia ma l’atteggiamento di apertura che è emerso rappresenta un segnale incoraggiante».
Ma perché, in generale, la genitorialità sembra spaventare più che in passato? Per la maggior parte del campione è per le questioni economiche, poi vengono le insicurezze sulle proprie capacità di crescere un figlio. I limiti alla carriera sono un ostacolo solo per il 6% degli intervistati, in particolare per chi ha già figli.
Fonte https://www.vanityfair.it/news/approfondimenti/2019/12/14/infertilita-fecondazione-assistita-e-social-freezing-quanto-ne-sanno-gli-italiani
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