Cosa vuol dire diventare genitori? Cosa significa invece avere un figlio?
Si può avere un figlio senza accogliere la dinamica di genitorialità che riveste delle implicazioni più profonde.
Diventare genitore, non corrisponde solo all’atto di mettere al mondo, di generare una vita, comporta altresì assumersi delle responsabilità, farsi carico dei bisogni del proprio figlio e soprattutto avere la capacità di “sentire” le sue esigenze. Il mestiere del genitore, insomma, è qualcosa che richiede tempo, pratica, ascolto, rappresenta un percorso molto complesso di adattamento, elaborazione e tolleranza delle frustrazioni.
Genitorialità: confine tra desiderare una gravidanza e desiderare un figlio? Cos’è il desiderio di gravidanza?
Una donna che cova, alimenta il proprio desiderio di gravidanza non fa altro che esplicare il proprio bisogno narcisistico di provare e comprovare che il proprio corpo funzioni come quello della madre e che è in grado di assolvere lo stesso compito della madre.
Cos’è il desiderio di un figlio? In questo caso il focus è il bambino considerato un oggetto separato da sé con cui costruire una relazione in cui la madre dovrà occuparsi in toto delle sue esigenze, rispondendo adeguatamente.
Il desiderio di gravidanza e il desiderio di un figlio, insieme rappresenterebbero l’optimum in un progetto di genitorialità, tuttavia possono essere presenti in forma disgiunta l’una dall’altra componente in particolari quadri clinici. Per fare qualche esempio di questa fattispecie è possibile analizzare la dinamica delle coppie che si sottopongono alla fecondazione assistita, tentando di andare oltre l’ostacolo biologico dell’infertilità. In tali casi accade che la gravidanza perde il suo significato puramente procreativo, divenendo complicata per questi genitori che per molto tempo sono stati martoriati da sentimenti di inadeguatezza, incapacità di adempiere ad un processo naturale, di espletare il proprio ruolo sociale conservando e garantendo la prosecuzione della specie.
Un altro aspetto che merita la massima osservazione è rappresentato dal passaggio dall’essere due al divenire tre: questo cambiamento costituisce una “sfida” come la definirebbe Erikson (1983) molto delicata (stadio della generatività vs stagnazione), l’uomo sente dentro di sé che è giunto il momento n cui può farsi carico di un’altra vita, occuparsi di questa, quindi avere dei figli, educarli, arricchendo la propria personalità.
L’arrivo di un figlio è un evento che assume anche importanti significati a livello sociale e intergenerazionale: consente all’essere umano di provare il senso di appartenenza alla stirpe e di stabilire “che cosa” delle famiglie d’origine verrà continuato (Cigoli, Galbusera Colombo, 1980).
L’esperienza della genitorialità, segue inoltre due tipi di modelli di comportamento a cui ognuno fa riferimento: il primo implica l’imitazione del modello interiorizzato dei propri genitori; il secondo invece si basa sulla contrapposizione del modello genitoriale di origine, evidentemente considerato carico di sofferenza.
La maternità lungo i nove mesi.
I nove mesi di gravidanza rappresentano per i futuri genitori un lungo periodo di preparazione sia fisica che psicologica al nuovo ruolo che li attende. La gravidanza è stata oggetto di studio della letteratura psicodinamica, Freud rintracciò il desiderio di maternità già a partire dalla fase edipica dello sviluppo, in cui la bambina considera il figlio come frutto della relazione con il padre (in questa fase la figlia si innamora del padre e considera la madre una rivale).
Altri autori (Bibring, 1959) hanno posto l’accento su come la gravidanza rappresenti un’importante crisi maturativa, per la quale la donna rivive conflitti ed esperienze passate riguardanti le prime relazioni e le identificazioni con la propria madre. Questa crisi risulterebbe quasi un passaggio obbligatorio affinché possano essere elaborati i conflitti precedenti. Di contro altri autori hanno invece ritenuto opportuno sottolineare quanto sia importante la relazione “sana” avuta con la propria madre, l’esperienza di una “buona immagine materna” permetterà alla donna di identificarsi con una madre onnipotente (Pines, 1982).
La coppia in gravidanza.
Il viaggio della gravidanza abbraccia tre grandi periodi, ognuno dei quali corrisponde a tre diverse fasi dello sviluppo fetale.
Durante il primo stadio, la madre è testimone di tutta una sere di mutamenti che investono il proprio corpo, il feto ancora non è evidente. Nei genitori inizia a forgiarsi un imponente senso di responsabilità nei riguardi del prossimo nascituro, la coppia alimenta pensieri legati al nuovo rapporto a tre.
Durante il secondo la madre inizia a percepire i movimenti fetali, sente che il feto è qualcosa che verrà separato da lei. Questa concezione prenderà maggiore forma nell’ultimo stadio in cui i genitori gradualmente sperimentano il figlio come individuo poiché il feto contribuisce attivamente alla propria individuazione con ritmi e livelli di attività crescenti. È proprio in questa fase che i movimenti fetali, influenzati dai vari stimoli esterni, si fanno più assidui ed iniziano a essere riconosciuti dai genitori che gli attribuiscono intenzionalità e caratteristiche personali.
In questa fase i genitori iniziano a porre dei cambiamenti a casa al fine di accogliere nel migliore dei modi il neonato, fanno progetti su come allevarlo e gli attribuiscono caratteristiche fisiche e caratteriali per renderlo meno estraneo. Emerge nella mente dei genitori il cosiddetto “bambino immaginario”, cioè l’immagine di un figlio che corrisponde alle fantasie coscienti dei genitori sul bambino non ancora conosciuto.
Questa immagine è diversa da quella del “bambino fantasmatico” o “bambino del sogno” di cui parla Vegetti Finzi (1991), ovvero quell’immagine riparatrice di ogni solitudine e sofferenza che ciascun bambino immagina, ricollegabile alle fantasie inconsce dell’infanzia in cui si intrecciano le relazioni oggettuali personali della madre e conflitti con le sue immagini parentali.
Nelle fantasie materne, il bambino può assolvere varie funzioni, da quelle “messianiche” attraverso le quali la madre viene riscattata a quelle di un “parassita” che rimandano a tendenze orali che hanno lo scopo di svuotare il sé materno. Sono presenti anche delle fantasie relative a sé come madre: la donna può rappresentarsi come “madre salvifica”, disposta a tutto pur di salvare il proprio figlio o ancora come “madre terra” capace di donare la vita o per finire come “madre seduttiva” che tiene il figlio legato a sé (Ferenczi, 1914).
Il lavoro della gravidanza corrisponde quindi a una continua riorganizzazione dell’immagine di sé, in cui si assiste ad una costante oscillazione tra realtà e fantasia.
Fonte https://24live.it/2019/12/08/il-viaggio-in-tre-dalla-coppia-alla-nascita-di-un-figlio/
Si può avere un figlio senza accogliere la dinamica di genitorialità che riveste delle implicazioni più profonde.
Diventare genitore, non corrisponde solo all’atto di mettere al mondo, di generare una vita, comporta altresì assumersi delle responsabilità, farsi carico dei bisogni del proprio figlio e soprattutto avere la capacità di “sentire” le sue esigenze. Il mestiere del genitore, insomma, è qualcosa che richiede tempo, pratica, ascolto, rappresenta un percorso molto complesso di adattamento, elaborazione e tolleranza delle frustrazioni.
Genitorialità: confine tra desiderare una gravidanza e desiderare un figlio? Cos’è il desiderio di gravidanza?
Una donna che cova, alimenta il proprio desiderio di gravidanza non fa altro che esplicare il proprio bisogno narcisistico di provare e comprovare che il proprio corpo funzioni come quello della madre e che è in grado di assolvere lo stesso compito della madre.
Cos’è il desiderio di un figlio? In questo caso il focus è il bambino considerato un oggetto separato da sé con cui costruire una relazione in cui la madre dovrà occuparsi in toto delle sue esigenze, rispondendo adeguatamente.
Il desiderio di gravidanza e il desiderio di un figlio, insieme rappresenterebbero l’optimum in un progetto di genitorialità, tuttavia possono essere presenti in forma disgiunta l’una dall’altra componente in particolari quadri clinici. Per fare qualche esempio di questa fattispecie è possibile analizzare la dinamica delle coppie che si sottopongono alla fecondazione assistita, tentando di andare oltre l’ostacolo biologico dell’infertilità. In tali casi accade che la gravidanza perde il suo significato puramente procreativo, divenendo complicata per questi genitori che per molto tempo sono stati martoriati da sentimenti di inadeguatezza, incapacità di adempiere ad un processo naturale, di espletare il proprio ruolo sociale conservando e garantendo la prosecuzione della specie.
Un altro aspetto che merita la massima osservazione è rappresentato dal passaggio dall’essere due al divenire tre: questo cambiamento costituisce una “sfida” come la definirebbe Erikson (1983) molto delicata (stadio della generatività vs stagnazione), l’uomo sente dentro di sé che è giunto il momento n cui può farsi carico di un’altra vita, occuparsi di questa, quindi avere dei figli, educarli, arricchendo la propria personalità.
L’arrivo di un figlio è un evento che assume anche importanti significati a livello sociale e intergenerazionale: consente all’essere umano di provare il senso di appartenenza alla stirpe e di stabilire “che cosa” delle famiglie d’origine verrà continuato (Cigoli, Galbusera Colombo, 1980).
L’esperienza della genitorialità, segue inoltre due tipi di modelli di comportamento a cui ognuno fa riferimento: il primo implica l’imitazione del modello interiorizzato dei propri genitori; il secondo invece si basa sulla contrapposizione del modello genitoriale di origine, evidentemente considerato carico di sofferenza.
La maternità lungo i nove mesi.
I nove mesi di gravidanza rappresentano per i futuri genitori un lungo periodo di preparazione sia fisica che psicologica al nuovo ruolo che li attende. La gravidanza è stata oggetto di studio della letteratura psicodinamica, Freud rintracciò il desiderio di maternità già a partire dalla fase edipica dello sviluppo, in cui la bambina considera il figlio come frutto della relazione con il padre (in questa fase la figlia si innamora del padre e considera la madre una rivale).
Altri autori (Bibring, 1959) hanno posto l’accento su come la gravidanza rappresenti un’importante crisi maturativa, per la quale la donna rivive conflitti ed esperienze passate riguardanti le prime relazioni e le identificazioni con la propria madre. Questa crisi risulterebbe quasi un passaggio obbligatorio affinché possano essere elaborati i conflitti precedenti. Di contro altri autori hanno invece ritenuto opportuno sottolineare quanto sia importante la relazione “sana” avuta con la propria madre, l’esperienza di una “buona immagine materna” permetterà alla donna di identificarsi con una madre onnipotente (Pines, 1982).
La coppia in gravidanza.
Il viaggio della gravidanza abbraccia tre grandi periodi, ognuno dei quali corrisponde a tre diverse fasi dello sviluppo fetale.
Durante il primo stadio, la madre è testimone di tutta una sere di mutamenti che investono il proprio corpo, il feto ancora non è evidente. Nei genitori inizia a forgiarsi un imponente senso di responsabilità nei riguardi del prossimo nascituro, la coppia alimenta pensieri legati al nuovo rapporto a tre.
Durante il secondo la madre inizia a percepire i movimenti fetali, sente che il feto è qualcosa che verrà separato da lei. Questa concezione prenderà maggiore forma nell’ultimo stadio in cui i genitori gradualmente sperimentano il figlio come individuo poiché il feto contribuisce attivamente alla propria individuazione con ritmi e livelli di attività crescenti. È proprio in questa fase che i movimenti fetali, influenzati dai vari stimoli esterni, si fanno più assidui ed iniziano a essere riconosciuti dai genitori che gli attribuiscono intenzionalità e caratteristiche personali.
In questa fase i genitori iniziano a porre dei cambiamenti a casa al fine di accogliere nel migliore dei modi il neonato, fanno progetti su come allevarlo e gli attribuiscono caratteristiche fisiche e caratteriali per renderlo meno estraneo. Emerge nella mente dei genitori il cosiddetto “bambino immaginario”, cioè l’immagine di un figlio che corrisponde alle fantasie coscienti dei genitori sul bambino non ancora conosciuto.
Questa immagine è diversa da quella del “bambino fantasmatico” o “bambino del sogno” di cui parla Vegetti Finzi (1991), ovvero quell’immagine riparatrice di ogni solitudine e sofferenza che ciascun bambino immagina, ricollegabile alle fantasie inconsce dell’infanzia in cui si intrecciano le relazioni oggettuali personali della madre e conflitti con le sue immagini parentali.
Nelle fantasie materne, il bambino può assolvere varie funzioni, da quelle “messianiche” attraverso le quali la madre viene riscattata a quelle di un “parassita” che rimandano a tendenze orali che hanno lo scopo di svuotare il sé materno. Sono presenti anche delle fantasie relative a sé come madre: la donna può rappresentarsi come “madre salvifica”, disposta a tutto pur di salvare il proprio figlio o ancora come “madre terra” capace di donare la vita o per finire come “madre seduttiva” che tiene il figlio legato a sé (Ferenczi, 1914).
Il lavoro della gravidanza corrisponde quindi a una continua riorganizzazione dell’immagine di sé, in cui si assiste ad una costante oscillazione tra realtà e fantasia.
Fonte https://24live.it/2019/12/08/il-viaggio-in-tre-dalla-coppia-alla-nascita-di-un-figlio/
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