Dodicimila e 836 “mio!” che non sarebbero mai stati pronunciati altrimenti. Nel 2015 i bambini nati usando percorsi di procreazione medicalmente assistita (Pma) in Italia sono stati, appunto, 12.836, ovvero il 2,6 per cento del totale dei nati nel paese, in aumento di circa 100 culle rispetto all’anno precedente.
Le coppie che hanno avviato un trattamento sono state nel corso dell’anno 74.292, per un totale di 95.110 cicli iniziati in uno dei 366 centri attivi in Italia, sebbene a garantire le tecniche omologhe in vitro, tendenzialmente le più utilizzate, sono in tutto 178 strutture, di cui 98 completamente private, 61 pubbliche, 19 private convenzionate - anche se meno numerosi, i centri pubblici lavorano però di più: il 63,4 per cento dei cicli infatti si effettua all’interno del Servizio sanitario nazionale. La fecondazione eterologa, invece, possibile solo dopo che una sentenza ha di nuovo sollevato un divieto della legge 40 del 2004, ha riguardato 2.800 tentativi, di cui 601, più del 20 per cento, andati a buon fine.
Le percentuali di successo della fecondazione omologa (l’unica sulla quale si può effettivamente tracciare un confronto decennale), mostra percentuali di fatto costanti dal 2005 ad oggi: sono al 10,5 per cento per l’inseminazione semplice, al 18,2 per cento per quelle in provetta, dette di secondo e terzo livello, Fivet o Icsi, a seconda della procedura scelta per l’inseminazione.
Perché le percentuali rimangono costanti nonostante le conoscenze mediche e le capacità dei centri continuino a aumentare? La risposta va in parte cercata in uno degli elementi più importanti da considerare quando si parla di procreazione, e quindi di fertilità: l’età.
«Spesso arrivano donne che ci portano gli esempi di attrici quarantacinquenni con un neonato in braccio», racconta la biologa del centro Pma del Policlinico di Milano, Liliana Restelli: «Ma dopo i quarantadue anni è pura casualità. È come se accadesse facendo l’amore con il partner. La medicina può aiutare, certo. Oggi riusciamo ad esempio ad estrarre spermatozoi vitali, magari impiegando anche due ore e mezza per individuarli. Ma l’età è un limite oggettivo. Che non possiamo pensare di scavalcare con l’aiuto della procreazione assistita».
E l’Italia ha un record per età delle donne al primo accesso in una struttura di Pma, come ricordava di recente anche Repubblica in uno speciale sulla fertilità: 36,7 anni per le tecniche omologhe a fresco, quando i dati più recenti pubblicati del registro europeo danno un’età media di 34,7 anni. E aumentano le donne con più di 40 anni che accedono a queste tecniche: nel 2015 sono state il 33,7 per cento, quando erano il 20,7 per cento nel 2005.
«Nella fecondazione eterologa l’età della donna è maggiore se la donazione è di ovociti (41,5 anni) e minore se la donazione è di seme (35,3)», si legge nella relazione dell’Istituto superiore di sanità presentata il 30 giugno: «E la maggiore età di chi accede alla “eterologa femminile” sembra indicare che questa tecnica sia scelta soprattutto per infertilità fisiologica, dovuta appunto all’età della donna, e non patologica». Insomma, che la fecondazione in vitro sia “un’ultima spiaggia” in cui si cerca un sogno arrivato forse troppo tardi rispetto ai tempi biologici dell’essere umano.
Questa la fotografia della prassi clinica. Poi, restano le prospettive della legge. Perché se da una parte molti divieti sono caduti, dall’altra - come ricorda uno speciale sui diritti nell’Unione Europea pubblicato da l’Espresso online nell’anniversario dei 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma - la legislazione italiana continua a essere più restrittiva rispetto a quelle di altri paesi dell’Unione europea. Continuiamo ad esempio a importare staminali embrionali per la ricerca dall’estero, perché è vietato farlo nel nostro paese. Per non parlare delle scelte politiche legate alla procreazione assistita, dal 2004 e ancora oggi accessibile nel nostro paese solo alle coppie e non alle donne single.
Fino ai tanti silenzi. Come quelli ricordati in queste pagine sugli embrioni crioconservati non idonei al trasferimento e finiti nel dimenticatoio.
Fonte http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/08/18/news/procreazione-assistita-la-barriera-dell-eta-1.308103
Le coppie che hanno avviato un trattamento sono state nel corso dell’anno 74.292, per un totale di 95.110 cicli iniziati in uno dei 366 centri attivi in Italia, sebbene a garantire le tecniche omologhe in vitro, tendenzialmente le più utilizzate, sono in tutto 178 strutture, di cui 98 completamente private, 61 pubbliche, 19 private convenzionate - anche se meno numerosi, i centri pubblici lavorano però di più: il 63,4 per cento dei cicli infatti si effettua all’interno del Servizio sanitario nazionale. La fecondazione eterologa, invece, possibile solo dopo che una sentenza ha di nuovo sollevato un divieto della legge 40 del 2004, ha riguardato 2.800 tentativi, di cui 601, più del 20 per cento, andati a buon fine.
Le percentuali di successo della fecondazione omologa (l’unica sulla quale si può effettivamente tracciare un confronto decennale), mostra percentuali di fatto costanti dal 2005 ad oggi: sono al 10,5 per cento per l’inseminazione semplice, al 18,2 per cento per quelle in provetta, dette di secondo e terzo livello, Fivet o Icsi, a seconda della procedura scelta per l’inseminazione.
Perché le percentuali rimangono costanti nonostante le conoscenze mediche e le capacità dei centri continuino a aumentare? La risposta va in parte cercata in uno degli elementi più importanti da considerare quando si parla di procreazione, e quindi di fertilità: l’età.
«Spesso arrivano donne che ci portano gli esempi di attrici quarantacinquenni con un neonato in braccio», racconta la biologa del centro Pma del Policlinico di Milano, Liliana Restelli: «Ma dopo i quarantadue anni è pura casualità. È come se accadesse facendo l’amore con il partner. La medicina può aiutare, certo. Oggi riusciamo ad esempio ad estrarre spermatozoi vitali, magari impiegando anche due ore e mezza per individuarli. Ma l’età è un limite oggettivo. Che non possiamo pensare di scavalcare con l’aiuto della procreazione assistita».
E l’Italia ha un record per età delle donne al primo accesso in una struttura di Pma, come ricordava di recente anche Repubblica in uno speciale sulla fertilità: 36,7 anni per le tecniche omologhe a fresco, quando i dati più recenti pubblicati del registro europeo danno un’età media di 34,7 anni. E aumentano le donne con più di 40 anni che accedono a queste tecniche: nel 2015 sono state il 33,7 per cento, quando erano il 20,7 per cento nel 2005.
«Nella fecondazione eterologa l’età della donna è maggiore se la donazione è di ovociti (41,5 anni) e minore se la donazione è di seme (35,3)», si legge nella relazione dell’Istituto superiore di sanità presentata il 30 giugno: «E la maggiore età di chi accede alla “eterologa femminile” sembra indicare che questa tecnica sia scelta soprattutto per infertilità fisiologica, dovuta appunto all’età della donna, e non patologica». Insomma, che la fecondazione in vitro sia “un’ultima spiaggia” in cui si cerca un sogno arrivato forse troppo tardi rispetto ai tempi biologici dell’essere umano.
Questa la fotografia della prassi clinica. Poi, restano le prospettive della legge. Perché se da una parte molti divieti sono caduti, dall’altra - come ricorda uno speciale sui diritti nell’Unione Europea pubblicato da l’Espresso online nell’anniversario dei 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma - la legislazione italiana continua a essere più restrittiva rispetto a quelle di altri paesi dell’Unione europea. Continuiamo ad esempio a importare staminali embrionali per la ricerca dall’estero, perché è vietato farlo nel nostro paese. Per non parlare delle scelte politiche legate alla procreazione assistita, dal 2004 e ancora oggi accessibile nel nostro paese solo alle coppie e non alle donne single.
Fino ai tanti silenzi. Come quelli ricordati in queste pagine sugli embrioni crioconservati non idonei al trasferimento e finiti nel dimenticatoio.
Fonte http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/08/18/news/procreazione-assistita-la-barriera-dell-eta-1.308103
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