domenica 1 maggio 2016

Eterologa; «In Italia non riesco a diventare mamma»

          Due anni fa una sentenza della Corte Costituzionalecancellava, in Italia, il divieto, previsto dalla legge 40, difecondazione eterologa, una forma di procreazione medicalmente assistita: per arrivare a una gravidanza, si usano un gamete, un ovulo o uno spermatozoo di un donatore. Gli aspiranti genitori, da allora, avrebbero potuto provare a realizzare il loro sogno grazie ai donatori, nel pubblico, senza ricorrere ai metodi «fai-da-te». In teoria. Nella pratica, invece, l’eterologa rimane un diritto per pochi, «tra ostacoli burocratici, mancanza di donatori e resistenze politiche», come spiega l’associazione Luca Coscioni.
Eterologa; «In Italia non riesco a diventare mamma»
          Maria Elena, 44 anni, credeva che la sentenza di due anni fa le avrebbe cambiato la vita: da 13 anni cercava di diventare mamma. Nel 2003 il primo aborto spontaneo, alla decima settimana. Ne ha subiti altri quattro in tre anni. Il medico le spiegò che i suoi valori ormonali determinavano una scarsa qualità dell’ovulo fecondato ed erano la causa di questi aborti.          Insieme al marito, ha deciso di rivolgersi a una struttura per la fertilità. «La nostra scelta - spiega - è caduta su un centro pubblico: i costi nel privato sono troppo alti». All’azienda ospedaliera di Padova, i medici le suggerirono di ricorrere allafecondazione assistita.          Maria Elena ci prova: tra il 2009 e il 2010 si sottopone a 3 cicli di inseminazioni intrauterine, ma nessuna ha esito positivo. «Avevo esaurito i tentavi a carico del servizio sanitario regionale, che qui in Veneto sono tre. Quindi mi hanno consigliato di mettermi in lista per la Fivet, fecondazione in vitro con trasferimento in utero degli embrioni con Icsi, è una tecnica che permette di fecondare un ovulo con microiniezione di uno spermatozoo. Di nuovo nulla, permancanza di risposta alla stimolazione ovarica. La stessa cosa anche l’anno dopo».
          Inaspettatamente, due mesi dopo il test di gravidanza è positivo. Alla quinta settimana, però, un altro aborto.
          L’ultima strada per provare a diventare mamma sarebbe stata l’eterologa. Ma all’estero, perché in Italia era vietata. Il problema era il costo, troppo alto, che ha costretto la coppia a rinunciarci. Maria Elena e il marito hanno provato anche ad adottare un bimbo: «Le assistenti sociali della nostra Asl ci hanno spiegato per l’adozione nazionale non c’era praticamente alcuna speranza, per le liste di attesa lunghissime, e ci hanno consigliato così di provare con quella internazionale. I costi erano di 20, 30 mila euro. Come potevamo affrontare quella spesa, se non avevamo a disposizione nemmeno gli 8 mila che sarebbero serviti per l’eterologa all’estero?».
          Così, quando arriva la notizia di quella sentenza che permette l’eterologa anche in Italia, Maria Elena si commuove, e torna a sperare. Legge: «Il primo ottobre è la data fissata dal Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, per partire con l’eterologa nei 36 centri accreditati. Il Governatore Zaia si è battuto per concordare con le altre Regioni il costo di un ticket che deve essere uguale in tutta Italia e che verrà deciso nella riunione degli assessori alla sanità che si terrà il 24 settembre prossimo».          Maria Elena chiama subito l’ospedale di Padova. E arriva la doccia fredda: «I medici mi hanno informato che non avrei potuto accedere alla fecondazione eterologa perché la Regione Veneto aveva deciso che il limite massimo di età fossero i 43 anni. Io li avevo compiuti da un mese».
          Con l’associazione Luca Coscioni fa ricorso al Tar e lo vince. Non basta: «A oggi non siamo ancora riusciti ad accedere alla fecondazione eterologa per mancanza di gameti nelle strutture pubbliche, disponibili invece nelle strutture private ma con costi per noi proibitivi».
          «Il principio di garanzia di accesso alle cure – spiegano dall’associazione Coscioni, che ha realizzato l’inchiesta «Il seme della discordia» - non è rispettato e ciò a causa della mancanza di volontà politica. Non ci sono fondi per eseguire le tecniche di procreazione medicalmente assistita a carico della Sanità pubblica e da maggio 2014 non è stata fatta nessuna campagna informativa del ministero sulla donazione di gameti».          E ancora: «Stiamo procedendo sia con diffide per interruzione di servizio nei confronti delle aziende ospedaliere che non garantiscono l'applicazione dell'eterologa, anche attivando convenzioni con l'estero per il reperimento di gameti, sia con azioni nei confronti delle istituzioni responsabili per il rimborso delle cure, che se non saranno fornite dal servizio pubblico, lo saranno dalle strutture private».
Fonte http://www.vanityfair.it/news/storie/16/04/26/fecondazione-eterologa-italia-storia-maria-elena-associazione-coscioni

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