Mio figlio sarà sano? È questa la domanda che ogni donna si pone dal momento successivo all'esecuzione del test di gravidanza (con esito positivo). Da qui l'importanza della diagnosi prenatale, che ormai da un decennio può contare su un'opportunità in più: l'esame del Dna fetale. Le mamme più giovani ne avranno sicuramente sentito parlare, ma a frenarne la diffusione finora è stato il costo piuttosto elevato. Lo scenario, però, si appresta con ogni probabilità a cambiare. L'Emilia Romagna ha infatti scelto di essere la prima Regione italiana a offrire il «Nipt» (Non Invasive Prenatal Test) a tutte le gestanti residenti sul territorio. La scelta avrà come conseguenza la riduzione del ricorso all'amniocentesi, senza che questa scelta aumenti il rischio di veder nascere neonati affetti da una delle trisomie più frequenti (13, 18 e 21).
«NIPT» AL VIA IN EMILIA ROMAGNA
Con l'inizio del nuovo anno, la Regione Emilia Romagna ha modificato l'offerta nell'ambito della diagnostica prenatale rivolta alle proprie gestanti. Già da qualche giorno, al posto del Bi-test (o test combinato), le donne in dolce attesa di tutte le età che, attraverso una struttura del servizio sanitario regionale, chiedono di accedere alla diagnostica prenatale, vedono «offrirsi» per l'appunto l'esame del Dna fetale. Per il momento è in corso una fase pilota, che fino a settembre vedrà coinvolte le future mamme seguite nell'area metropolitana di Bologna (negli ospedali e nei consultori). Al termine di questo periodo, necessario per identificare i punti di accesso alla prestazione e il piano informativo per gli specialisti, l'esame sarà offerto in tutte le province della Regione: sempre e soltanto nelle strutture pubbliche. L'Emilia Romagna è la prima Regione ad aver compiuto una simile scelta. Fino a questo momento, infatti, il «Nipt» non è stato rimborsato da nessun servizio sanitario. Tutte le donne che hanno scelto di effettuarlo, hanno dovuto spendere una cifra mediamente compresa tra i 500 e i 700 euro. L'unica eccezione (parziale) è stata finora rappresentata dalla Toscana, che nell'ultimo anno ha garantito il test del Dna fetale in «copayment» (a un prezzo dimezzato: salvo in caso di indigenza, mobilità o disoccupazione) alle gestanti che si erano già sottoposte al test combinato, avendo come esito un rischio di aneuploidia compreso tra 1/300 e 1/1000. Probabilità che finora hanno sempre richiesto un approfondimento diagnostico: attraverso il test del Dna fetale (in seconda battuta) o il ricorso diretto all'amniocentesi o alla villocentesi.
«NIPT»: DI COSA SI TRATTA?
Il test del Dna fetale viene effettuato su un prelievo di sangue della madre. Negli anni si è infatti scoperto che nel plasma della gestante circolano frammenti di Dna del bambino: liberi e pari a circa il 10 per cento del Dna totale (il resto è materiale genetico della mamma). Con una simile frazione, all'apparenza esigua, è possibile fornire una risposta sulla possibile presenza di anomalie cromosomiche del feto. Grazie alle moderne tecniche di genetica molecolare, l'analisi del Dna fetale permette di individuare i soggetti a rischio di sviluppare una delle trisomie più frequenti (in commercio si trovano anche test che promettono l'identificazione di altre anomalie, ma con sensibilità e specificità inferiori): la 13 (sindrome di Patau), la 18 (sindrome di Edwards) e la 21 (sindrome di Down). «Con questo esame, che di norma viene eseguito assieme a un'ecografia a partire dalla decima settimana di gestazione, possiamo fornire un'informazione più precisa alle donne in gravidanza - afferma Gianluigi Pilu, direttore dell’unità operativa di ostetricia e medicina prenatale del policlinico Sant’Orsola di Bologna -. Se il test combinato ha la capacità di prevedere il 90 per cento dei casi di trisomia 21, con l'esame del Dna fetale si arriva a poter scovare fino al 99 per cento». Ma non è questo l'unico vantaggio. Con il «Nipt» si riduce anche il numero di casi dubbi. E, di conseguenza, il ricorso agli esami più invasivi.
TEST DI SCREENING (E NON DIAGNOSTICO)
L'esame è stato finora utilizzato in prima battuta (per le donne che hanno scelto di affrontare questa spesa) o come test di secondo livello nelle donne risultate a rischio intermedio al test combinato (al fine di ridurre il ricorso diretto all'amniocentesi). Di questo passo, le indagini invasive verranno effettuate sempre meno di frequente. Ciò non vuol dire che amniocentesi e villocentesi siano esami inutili. Tutt'altro. Al momento rimangono infatti le uniche opportunità per scoprire con certezza la presenza di una o più anomalie cromosomiche in un feto. Si tratta infatti di test diagnostici, a differenza del Bi-test e dell'esame del Dna fetale che «sono test di screening e, come tali, possono soltanto individuare le donne ad alto rischio di avere un bimbo con una malformazione», ribadisce nelle proprie linee guida il Ministero della Salute. Significa che un risultato positivo - ovvero il sospetto che il feto sia affetto da una delle trisomie citate - va sempre approfondito con un esame invasivo. Questo è l'amniocentesi (la villocentesi è già meno utilizzata rispetto al passato), che in queste (poche) situazioni rimane ancora insostituibile.
Fonte https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/ginecologia/test-del-dna-fetale-gratuito-in-emilia-romagna-per-le-donne-in-gravidanza
«NIPT» AL VIA IN EMILIA ROMAGNA
Con l'inizio del nuovo anno, la Regione Emilia Romagna ha modificato l'offerta nell'ambito della diagnostica prenatale rivolta alle proprie gestanti. Già da qualche giorno, al posto del Bi-test (o test combinato), le donne in dolce attesa di tutte le età che, attraverso una struttura del servizio sanitario regionale, chiedono di accedere alla diagnostica prenatale, vedono «offrirsi» per l'appunto l'esame del Dna fetale. Per il momento è in corso una fase pilota, che fino a settembre vedrà coinvolte le future mamme seguite nell'area metropolitana di Bologna (negli ospedali e nei consultori). Al termine di questo periodo, necessario per identificare i punti di accesso alla prestazione e il piano informativo per gli specialisti, l'esame sarà offerto in tutte le province della Regione: sempre e soltanto nelle strutture pubbliche. L'Emilia Romagna è la prima Regione ad aver compiuto una simile scelta. Fino a questo momento, infatti, il «Nipt» non è stato rimborsato da nessun servizio sanitario. Tutte le donne che hanno scelto di effettuarlo, hanno dovuto spendere una cifra mediamente compresa tra i 500 e i 700 euro. L'unica eccezione (parziale) è stata finora rappresentata dalla Toscana, che nell'ultimo anno ha garantito il test del Dna fetale in «copayment» (a un prezzo dimezzato: salvo in caso di indigenza, mobilità o disoccupazione) alle gestanti che si erano già sottoposte al test combinato, avendo come esito un rischio di aneuploidia compreso tra 1/300 e 1/1000. Probabilità che finora hanno sempre richiesto un approfondimento diagnostico: attraverso il test del Dna fetale (in seconda battuta) o il ricorso diretto all'amniocentesi o alla villocentesi.
«NIPT»: DI COSA SI TRATTA?
Il test del Dna fetale viene effettuato su un prelievo di sangue della madre. Negli anni si è infatti scoperto che nel plasma della gestante circolano frammenti di Dna del bambino: liberi e pari a circa il 10 per cento del Dna totale (il resto è materiale genetico della mamma). Con una simile frazione, all'apparenza esigua, è possibile fornire una risposta sulla possibile presenza di anomalie cromosomiche del feto. Grazie alle moderne tecniche di genetica molecolare, l'analisi del Dna fetale permette di individuare i soggetti a rischio di sviluppare una delle trisomie più frequenti (in commercio si trovano anche test che promettono l'identificazione di altre anomalie, ma con sensibilità e specificità inferiori): la 13 (sindrome di Patau), la 18 (sindrome di Edwards) e la 21 (sindrome di Down). «Con questo esame, che di norma viene eseguito assieme a un'ecografia a partire dalla decima settimana di gestazione, possiamo fornire un'informazione più precisa alle donne in gravidanza - afferma Gianluigi Pilu, direttore dell’unità operativa di ostetricia e medicina prenatale del policlinico Sant’Orsola di Bologna -. Se il test combinato ha la capacità di prevedere il 90 per cento dei casi di trisomia 21, con l'esame del Dna fetale si arriva a poter scovare fino al 99 per cento». Ma non è questo l'unico vantaggio. Con il «Nipt» si riduce anche il numero di casi dubbi. E, di conseguenza, il ricorso agli esami più invasivi.
TEST DI SCREENING (E NON DIAGNOSTICO)
L'esame è stato finora utilizzato in prima battuta (per le donne che hanno scelto di affrontare questa spesa) o come test di secondo livello nelle donne risultate a rischio intermedio al test combinato (al fine di ridurre il ricorso diretto all'amniocentesi). Di questo passo, le indagini invasive verranno effettuate sempre meno di frequente. Ciò non vuol dire che amniocentesi e villocentesi siano esami inutili. Tutt'altro. Al momento rimangono infatti le uniche opportunità per scoprire con certezza la presenza di una o più anomalie cromosomiche in un feto. Si tratta infatti di test diagnostici, a differenza del Bi-test e dell'esame del Dna fetale che «sono test di screening e, come tali, possono soltanto individuare le donne ad alto rischio di avere un bimbo con una malformazione», ribadisce nelle proprie linee guida il Ministero della Salute. Significa che un risultato positivo - ovvero il sospetto che il feto sia affetto da una delle trisomie citate - va sempre approfondito con un esame invasivo. Questo è l'amniocentesi (la villocentesi è già meno utilizzata rispetto al passato), che in queste (poche) situazioni rimane ancora insostituibile.
Fonte https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/ginecologia/test-del-dna-fetale-gratuito-in-emilia-romagna-per-le-donne-in-gravidanza
Nessun commento:
Posta un commento