La scoperta è frutto di una ricerca condotta da Università Cattolica e Policlinico “Gemelli”.
Passi avanti nella comprensione delle cause dell’infertilità maschile, spesso definita idiopatica perché non se ne conoscono i motivi, vengono da una ricerca condotta da medici e ricercatori dell’Università Cattolica e del Policlinico universitario “A. Gemelli” Irccs di Roma. Approfondendo precedenti studi condotti sui topi, gli scienziati del team guidato da Claudio Sette, dell’Istituto di Anatomia umana e biologia cellulare, hanno chiarito la funzione di una proteina di cui si era già scoperto il coinvolgimento nei processi di produzione degli spermatozoi.
Il lavoro è stato pubblicato sull’ultimo numero della rivista Cell Reports. «La nostra scoperta riguarda la funzione specifica della proteina Sam68 – spiega il professor Sette –, perché il gene che la codifica e la proteina stessa sono noti da vent’anni. Anche il nostro gruppo ha pubblicato lavori in passato, dimostrando che, in un modello murino, eliminare la funzione di questa proteina causava sterilità: gli spermatozoi venivano prodotti in quantità minimale e non erano funzionali, cioè non erano in grado di muoversi nei fluidi biologici e, anche se posti nelle vicinanze dell’ovocita, non erano in grado di fecondarlo».
Il lavoro pubblicato ora, però, ha permesso di compiere altri avanzamenti nella conoscenza del funzionamento del gene e della proteina: «Abbiamo dimostrato perché questo avviene – chiarisce Sette –. La proteina Sam68 è risultata essere un guardiano attento dei complicati processi di maturazione dello spermatozoo e presiede alla protezione del bagaglio di messaggeri molecolari (gli mRna, molecole che contengono il codice genetico da copiare per sintetizzare le proteine), che serviranno allo spermatozoo per maturare, per raggiungere l’ovocita e per fecondarlo, nonché nelle prime fasi dello sviluppo dell’embrione». In definitiva, «questa proteina è una sorta di guardiano o controllore della fedeltà della produzione delle proteine codificate dal genoma dello spermatozoo».
Ciò perché la proteina Sam68 si attacca ai moltissimi mRna contenuti nello “spermatozoo in formazione” e fa sì che essi entrino in funzione nei tempi giusti, nei diversi stadi di maturazione dello spermatozoo stesso. La ricerca sulla biologia del topo ha però una ricaduta anche su quella umana: «Lo studio di un altro gruppo aveva evidenziato che, in uomini con infertilità, i livelli di espressione, cioè la quantità di questa proteina erano ridotti. Il gene che codifica Sam68 è conservato sia nel topo sia nell’uomo. Ci sono dati che suggeriscono che l’assenza di questa proteina nell’uomo causi infertilità».
Difficile, per ora, ipotizzare rimedi alla carenza della proteina: «La nostra è una ricerca di base – conclude Sette –. La ricaduta più immediata della scoperta può essere l’individuazione di un marcatore che consente di classificare i pazienti almeno per la motivazione per cui sono sterili, perché per molti pazienti non c’è una causa nota (genetica o non genetica) di infertilità».
Fonte: Avvenire
Passi avanti nella comprensione delle cause dell’infertilità maschile, spesso definita idiopatica perché non se ne conoscono i motivi, vengono da una ricerca condotta da medici e ricercatori dell’Università Cattolica e del Policlinico universitario “A. Gemelli” Irccs di Roma. Approfondendo precedenti studi condotti sui topi, gli scienziati del team guidato da Claudio Sette, dell’Istituto di Anatomia umana e biologia cellulare, hanno chiarito la funzione di una proteina di cui si era già scoperto il coinvolgimento nei processi di produzione degli spermatozoi.
Il lavoro è stato pubblicato sull’ultimo numero della rivista Cell Reports. «La nostra scoperta riguarda la funzione specifica della proteina Sam68 – spiega il professor Sette –, perché il gene che la codifica e la proteina stessa sono noti da vent’anni. Anche il nostro gruppo ha pubblicato lavori in passato, dimostrando che, in un modello murino, eliminare la funzione di questa proteina causava sterilità: gli spermatozoi venivano prodotti in quantità minimale e non erano funzionali, cioè non erano in grado di muoversi nei fluidi biologici e, anche se posti nelle vicinanze dell’ovocita, non erano in grado di fecondarlo».
Il lavoro pubblicato ora, però, ha permesso di compiere altri avanzamenti nella conoscenza del funzionamento del gene e della proteina: «Abbiamo dimostrato perché questo avviene – chiarisce Sette –. La proteina Sam68 è risultata essere un guardiano attento dei complicati processi di maturazione dello spermatozoo e presiede alla protezione del bagaglio di messaggeri molecolari (gli mRna, molecole che contengono il codice genetico da copiare per sintetizzare le proteine), che serviranno allo spermatozoo per maturare, per raggiungere l’ovocita e per fecondarlo, nonché nelle prime fasi dello sviluppo dell’embrione». In definitiva, «questa proteina è una sorta di guardiano o controllore della fedeltà della produzione delle proteine codificate dal genoma dello spermatozoo».
Ciò perché la proteina Sam68 si attacca ai moltissimi mRna contenuti nello “spermatozoo in formazione” e fa sì che essi entrino in funzione nei tempi giusti, nei diversi stadi di maturazione dello spermatozoo stesso. La ricerca sulla biologia del topo ha però una ricaduta anche su quella umana: «Lo studio di un altro gruppo aveva evidenziato che, in uomini con infertilità, i livelli di espressione, cioè la quantità di questa proteina erano ridotti. Il gene che codifica Sam68 è conservato sia nel topo sia nell’uomo. Ci sono dati che suggeriscono che l’assenza di questa proteina nell’uomo causi infertilità».
Difficile, per ora, ipotizzare rimedi alla carenza della proteina: «La nostra è una ricerca di base – conclude Sette –. La ricaduta più immediata della scoperta può essere l’individuazione di un marcatore che consente di classificare i pazienti almeno per la motivazione per cui sono sterili, perché per molti pazienti non c’è una causa nota (genetica o non genetica) di infertilità».
Fonte: Avvenire
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