L’amniocentesi e la villocentesi sono esami di diagnosi prenatale invasivi in grado di dare una diagnosi affidabile, ma che presentano il rischio di aborto. Proprio per questo, se non vi sono dei fattori predisponenti, come la familiarità, generalmente si effettuano degli esami non invasivi, ovvero i test di screening prenatale. Tra questi test vi sono il Bi-test e il test del DNA fetale, che restituiscono un risultato probabilistico, ovvero indicano la possibilità che il feto possa essere affetto da una specifica patologia.
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Il test del DNA fetale è un test di screening prenatale di ultima generazione che può essere effettuato a partire dalla decima settimana di gravidanza e prevede solo un semplice prelievo di sangue della gestante. Questo esame ha una sensibilità che supera il 99% nell’individuare i casi di trisomia 21. Per quanto riguarda le trisomie 18 e 13 e le aneuploidie dei cromosomi sessuali la sensibilità è leggermente inferiore.
Il test del DNA fetale, rispetto al Bi-test, presenta un valore predittivo più alto e una percentuale di falsi positivi inferiore. Inoltre, potendo effettuare l’esame già dalla decima settimana di gravidanza, è possibile conoscere precocemente lo stato di salute del feto.
Se il risultato del test è positivo (questo vale per entrambi i test) diventa necessario eseguire un esame invasivo per confermare o smentire il risultato.
Con il proprio ginecologo di fiducia, ogni futura mamma può pianificare il percorso di screening prenatale più adeguato.
Fonte:
Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche Di Antonio L. Borrelli, Domenico Arduini, Antonio Cardone, Valerio Ventrut
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