venerdì 10 novembre 2017

Ormone antimulleriano e fecondazione in vitro

       L’ormone antimulleriano (AMH) è una glicoproteina dimerica circolante nel sangue costituita da due unità monomeriche di 72 kilodalton legate da ponti disolfuro; chimicamente, appartiene alla famiglia del transforming growth factor beta. È prodotta dalle cellule della granulosa nei follicoli ovarici. La produzione di AMH è più alta nelle fasi pre-antrali (meno di 4 mm di diametro) dello sviluppo del follicolo, diminuisce e quindi si arresta nel momento in cui i follicoli si ingrandiscono. Per questi motivi, i livelli sono quasi costanti – variabilità inter-e intra-ciclo molto ridotta – e il test AMH può essere fatto in qualsiasi giorno del ciclo della donna. Con l’aumento dell’età femminile la dimensione dell’insieme dei follicoli rimanenti diminuisce. Allo stesso modo, diminuiscono i livelli ematici di AMH e il numero dei follicoli ovarici antrali visibili con ecografia. Esistono diversi test attualmente usati per la valutazione della riserva ovarica. Tuttavia, nessuno di questi test è perfetto, pertanto si utilizza spesso una combinazione di test per ottenere una migliore valutazione. L’AMH è attualmente uno dei più attendibili, ampiamente impiegato nel campo della procreazione medicalmente assistita (PMA) per stabilire il tipo di protocollo di stimolazione e il dosaggio di farmaci adatto al singolo caso, permettendo di “personalizzare” la terapia e di ottimizzare i risultati. Il primo articolo che riporta un’associazione tra AMH circolante e risposta ovarica alla gonadotropina è di Seifer e collaboratori. Gli autori hanno osservato che i livelli più alti di AMH al 3° giorno del protocollo di stimolazione erano associati a un maggior numero di ovociti recuperati. In particolare, i livelli di AMH erano 2,5 volte più alti nelle pazienti con almeno 11 ovociti rispetto a quelle con 6 o meno ovociti recuperati. Pazienti con valori di AMH più alti tendono ad avere una risposta migliore alla stimolazione ovarica, e ottengono un maggior recupero di ovuli e di qualità migliore (maggiore incidenza di ovociti euploidi).

       Molti studi retrospettivi e prospettici hanno trovato una correlazione tra il numero di ovociti recuperati e i livelli di AMH. La maggior parte degli autori ha confrontato l’AMH con l’età anagrafica e altri marcatori ormonali ed ecografici. Il bilancio degli studi pubblicati sembra indicare che l’AMH è un migliore marker nel predire la risposta ovarica alla stimolazione ovarica rispetto all’età della paziente, all’FSH in terza giornata, all’estradiolo e all’inibina B. La sensibilità e la specificità della predizione delle pazienti poor responder basata sull’AMH varia in letteratura tra il 44-97% e il 41-100%, rispettivamente. Tra i più vasti studi prospettici pubblicati, due si distinguono: nel primo studio, basato su 340 pazienti, un cut-off per l’AMH di 5 pmol/l (DSL) mostrava una sensibilità del 75% e una specificità del 91%; nel secondo studio, che arruolava 356 donne, un valore di 1,36 ng/ml (IBC) era associato a una sensibilità del 75,5% e una specificità del 74,8%. I cut-off riportati in letteratura per individuare le pazienti poor responder variano tra 0,4 e 1,2 ng/ml; per valori di AMH più bassi (<0,2-0,3 ng/ml) è invece verosimile una assente risposta ovarica all’FSH con conseguente cancellazione del ciclo.

Картинки по запросу AMH       Riguardo l’impiego dell’AMH, l’unico studio condotto utilizzando AMH gen II ha individuato in 3,9 ng/ml un accettabile valore predittivo della high response. L’iperrisposta ovarica rappresenta l’estremità opposta dello spettro della risposta ovarica alla stimolazione e può condurre a una condizione potenzialmente pericolosa per la salute della donna quale la sindrome da iperstimolazione ovarica (OHSS). L’iperrisposta e l’OHSS possono essere effettivamente associate a livelli basali di AMH significativamente più elevati. Gli studi di Lee et al. e Nardo et al. hanno mostrato, in modo indipendente, il ruolo dell’AMH per la predizione di iperrisposta e OHSS. Diversi autori hanno inoltre rilevato una significativa correlazione positiva tra i livelli di AMH, la qualità degli ovociti e la morfologia degli embrioni. Un nuovo campo di applicazione interessante per la misurazione dell’AMH può essere il suo impiego nell’individuazione di regimi di stimolazione ovarica. In molti Centri, la dose iniziale di FSH per la prima fecondazione in vitro (IVF) è spesso scelta in base all’età e all’indice di massa corporea della paziente.

       Alcuni autori hanno recentemente proposto un adeguamento della strategia di trattamento in base ai livelli di AMH. Dal momento che valori bassi e alti di AMH sono predittivi, rispettivamente, di poor- e high-response alle gonadotropine, è stato proposto che la dose giornaliera di FSH fosse calibrata in base ai livelli di AMH pre-FIVET e fosse indipendente dall’età e dall’indice di massa corporea della paziente. Ovviamente la possibile individualizzazione della terapia in IVF basata solo su una singola misurazione dell’AMH deve essere confermata in appropriati trial randomizzati controllati. La predizione della risposta ovarica può indirizzare la scelta verso analogo o antagonista del GnRH. Diversi trial e metanalisi hanno riportato che il protocollo standard lungo o l’impiego del GnRH antagonista hanno efficacia paragonabile sull’outcome del ciclo IVF nelle pazienti poor responder. Riguardo l’uso del solo AMH per personalizzare la FSH starting dose, due sono gli studi ad oggi pubblicati. Entrambi confermano che quando la scelta del dosaggio è basata sull’AMH vi è una riduzione dei cicli cancellati, dei casi di OHSS, e un aumento del numero di donne che raggiunge l’embryo transfer e infine i tassi di gravidanza risultano essere aumentati.



Alessandro Verza 

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