Il termine endometriosi dà il nome alla malattia perché a essere coinvolto è l’endometrio, il tessuto che riveste la parete interna dell’utero (gli altri due strati sono quello muscolare, il miometrio, e l’esterno, il perimetrio). Ecco, basta che l’endometrio cresca e maturi in una sede anatomica diversa, cioè fuori dell’utero, perché si instauri l’endometriosi. Una dislocazione che più comunemente si registra nelle ovaie, ma che spesso non risparmia l’intestino o anche vescica, vie urinarie e fibre nervose. «Fino a poco tempo fa si facevano tanti esami inutili. Come il clisma opaco, la cistoscopia, la colonscopia mentre oggi il protagonista diagnostico è l’ecografia transvaginale in 2 D o in 3 D, e la stessa Rmn, tranne che in particolari casi, non raggiunge un’analoga elevata accuratezza. Si esegue in fase “dinamica” cioè con la paziente che indirizza lo specialista verso l’area sofferente dove posizionare la sonda ecografica».
Ma una malattia sottovalutata si identifica in una minaccia ancor peggiore, la sterilità. Una gravidanza negata che in genere dipende dalle condizioni ambientali ostili ad accogliere e a fecondare l’ovulo. Il trattamento, in prima battuta, è farmacologico, con un ormone progestinico che blocca il flusso mestruale. E se il farmaco fallisce o un organo come l’intestino è infiltrato dalla malattia? «Resta solo la chirurgia mini- invasiva – risponde l’americano Herry Reich, presidente onorario del congresso che nel’89 per primo effettuò un’isterectomia per via laparoscopica – che viene fatta in centri di riferimento specialistici. Grazie a questo protocollo si riesce a eradicare completamente la malattia, in qualsiasi sede anatomica si sia presentata la lesione causata dall’endometriosi».
Repubblica.it
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