martedì 30 aprile 2019

Scoperta la vera causa delle carie ed è legata alla gravidanza

        Soffrire di carie non è una questione genetica, ma a renderci più suscettibili a questa condizione dei nostri denti è il peso delle madri durante la gravidanza. Vediamo insieme come è possibile e quali sono le cause scatenanti delle carie.

        Genetica e carie. Per comprendere se la predisposizione alle carie avesse una componente genetica, gli scienziati hanno analizzato un gruppo di 173 coppie di gemelli, alcuni identici e altri non identici. I dati raccolti hanno dimostrato che nei gemelli identici, cioè che hanno un genoma identico, il livello di carie era vario, questo significa per forza di cose che questa condizione dei denti non è strettamente legata al DNA, ma è influenzata da fattori ambientali, come a esempio la poca presenza di fluoruro nell’acqua.

        Questione di peso. E non è tutto. Lo studio infatti è riuscito ad identificare una connessione tra lo stato di salute della madre durane la gravidanza e il suo stile di vita, e le condizioni dei denti dei figli futuri: nello specifico, l’obesità in gravidanza incrementa il rischio di mettere al mondo bambini che soffriranno di carie.

        Perché l’obesità è legata alle carie. Viene da chiedersi come mai essere obese durante la gravidanza incrementi il rischio di partorire bambini più soggetti a carie. Forse, spiegano gli scienziati, il peso della madre ha un’influenza biologia sullo sviluppo del feto o forse il rischio carie aumenta perché durante la gestazione la quantità di zucchero consumato dalla donna è eccessiva.

        Pensare che la causa sia genetica è rischioso. Questo studio è molto importante poiché ci aiuta a fare più attenzione alla nostra igiene orale. Credere infatti che le cause delle carie siano genetiche, ci induce a prenderci meno cura dei nostri denti, con un conseguente incremento del rischio di sviluppare problemi.

Fonte  su: https://scienze.fanpage.it/scoperta-la-vera-causa-delle-carie-ed-e-legata-alla-gravidanza/

Alcol in gravidanza: nessuna quantità è sicura

       Durante la gravidanza, non esiste una quantità di alcol sicura da assumere. Questo è ciò che emerge da un nuovo studio pubblicato sulla rivista Chaos, dell’American Institute of Physics, i cui autori hanno scoperto che gli adolescenti che erano stati esposti all'alcol mentre erano nell'utero mostravano connessioni cerebrali alterate, associabili a una compromissione delle prestazioni cognitive.

       Gli autori spiegano che il disturbo dello spettro alcolico fetale (FASD) è una delle principali cause di disabilità intellettiva in tutto il mondo ed è collegato a una vasta gamma di problemi neurologici, tra cui l'ADHD. Grazie al loro studio, gli esperti sono stati in grado di quantificare gli effetti dell'esposizione all'alcol sul cervello in via di sviluppo.

Alcol in gravidanza       Dopo aver raccolto i dati di 19 pazienti con FASD e quelli di 21 soggetti senza FASD, mediante tecnica di imaging neuronale gli autori hanno rilevato la presenza di diverse aree del cervello che mostravano una compromissione della connettività in coloro che avevano il disturbo dello spettro alcolico fetale.

       I soggetti che erano stati esposti all'alcol nel grembo materno avevano più probabilità di avere anomalie nel tessuto cerebrale che collega la metà sinistra e destra del cervello. Deficit in quest'area sono stati segnalati in persone con schizofrenia, sclerosi multipla, autismo e depressione.

       Questo lavoro offre prove importanti che i bambini esposti all'alcol in età prenatale corrono un maggiore rischio di soffrire di capacità cognitive compromesse e altri fattori secondari. Il nostro studio mostra che non ci sono quantità sicure o fasi sicure durante la gravidanza in cui è possibile consumare alcol.

Fonte http://scienzaesalute.blogosfere.it/post/588169/alcol-in-gravidanza-nessuna-quantita-e-sicura

Febbre in gravidanza, quando è pericolosa: conseguenze e cure

foto febbre gravidanza termometroFebbre in gravidanza è pericolosa?
        La febbre è una manifestazione corporea di una lotta contro un’infezione, virale o batterica. Se in una persona in condizioni normali questa è un sintomo poco importante, in caso di febbre in gravidanza è lecita una preoccupazione in più. Raramente la febbre è un segno di complicazioni della gravidanza, ma è pur vero che questa può creare disturbi a mamma e bambino. Questo sintomo se si presenta in gravidanza è particolarmente fastidioso anche per il ristretto numero di medicinali che si possono assumere. Uno di questi è la Tachipirina, ovvero paracetamolo,utilizzato per abbassare la temperatura corporea ma anche per combattere lo stato di affaticamento e stordimento tipico della febbre in gravidanza.

Temperatura corporea più alta in gravidanza: quando si può considerare febbre
       Un innalzamento della temperatura in gravidanza può far pensare a febbre, ma in realtà è una condizione tipica di questo periodo. In particolare nelle prime settimane di gravidanza, infatti, si può notare una maggiore temperatura corporea, che si aggira attorno ai 37-37,2 gradi. Solo a partire dai 37,5 gradi si può parlare di febbre in gravidanza. Questo è l’effetto di un ormone, il progesterone, che, prodotto in grandi quantità in questo periodo, aiuta l’utero nelle modifiche che deve apportare per accogliere l’ovulo fecondato. Il corpo, in grado di termoregolarsi, durante la gravidanza deve mantenere il corpo della futura mamma ad una temperatura più elevata. Dopo il primo periodo della gravidanza, i livelli di progesterone scendono, e la temperatura torna al livello di partenza, e, anzi, può abbassarsi.

Febbre in gravidanza nel primo e terzo trimestre
       La febbre in gravidanza, oltre a portare noie, può essere pericolosa per il feto. Generalmente, la febbre va sempre segnalata al proprio ginecologo, perchè potrebbe, in casi rari, nascondere delle problematiche legate alla gravidanza. Nei restanti casi, inoltre, il medico può dare i corretti suggerimenti per non correre rischi. La febbre può essere molto pericolosa, in particolare se alta, nel primo e nel terzo trimestre. Durante il primo trimestre di gravidanza, infatti, ha luogo lo sviluppo del sistema nervoso del bambino. La febbre alta può alterare questo processo, causando problematiche anche permanenti. Nel corso dell’ultimo trimestre, invece, la febbre acquisisce un altro tipo di pericolosità. Questa, infatti, ha l’effetto di provocare le contrazioni uterine, mettendo il bambino a rischio di un parto pretermine.

Cause della febbre in gravidanza
foto febbre gravidanza letto
       Nella stagione invernale è normale contrarre malanni come l’influenza, o solamente la febbre associata a raffreddore o tosse. Anche in gravidanza, è raro che la febbre sia sintomo di qualcosa di più grave. Tuttavia, non è escluso. Come prima cosa, la febbre potrebbe segnalare la presenza di un’infezione urinaria, molto comune in questo particolare periodo. Oppure, nei mesi caldi, potrebbe trattarsi di un colpo di calore. In particolare se accompagnata da crampi o perdite, la febbre in gravidanza potrebbe segnalare che un problema legato al feto, come nel caso dell’aborto settico. In questo caso, l’innalzamento della temperatura è causato dalla ritenzione della placenta infetta a seguito di un aborto non eseguito propriamente oppure a seguito di procedure come la villocentesi.

foto febbre gravidanza pancioneFebbre alta in gravidanza: cosa fare
       Quando si manifesta la febbre in gravidanza non occorre allarmarsi, ma bisogna seguire le stesse buone abitudini: bere molto, in particolare bevande calde, riposare, e mangiare frutta e verdura. Tuttavia, se la temperatura si alza sopra i 38-38,5 gradi, è bene consultare il medico, che, dopo aver escluso eventuali cause scatenanti diverse dalla banale influenza, prescriverà eventuali antipiretici, antibiotici o altri farmaci che non causino danno al feto. Generalmente, un medicinale che viene prescritto per far abbassare la temperatura è la Tachipirina, il cui principio attivo è il paracetamolo. Nel video, i consigli dei medici per prevenire e curare la febbre in gravidanza.

Tachipirina in gravidanza: i benefici del paracetamolo
       In gravidanza, molti farmaci sono preclusi alla gestante, poichè possono attraversare la placenta e trasferirsi al bambino. Tra i pochi farmaci ritenuti sicuri vi è la Tachipirina ottimo sia come antipiretico che come analgesico. La Tachipirina, il cui principio attivo è il paracetamolo, è sicuro per madre e figlio, a patto che non si superi l’assunzione di 3000 mg al giorno. Se si supera la quantità consigliata si incorre nel rischio di riportare problematiche ai reni, e al fegato e di sviluppare anemia. Gli stessi effetti sembrano si possano ripercuotere sul bambino. Prima di assumere il farmaco, tuttavia, si consiglia di consultare il proprio ginecologo, che, indagando sulla storia clinica, può indicare se è sicuro o se ci sono dei rischi.

Fonte https://www.passionemamma.it/2019/04/febbre-gravidanza-pericolosa-conseguenze-cure/

DA DUE A TRE: E CHE NE È DELLA COPPIA?

La tua vita è cambiata.
Adesso non siete più solo tu e lui, adesso c’è qualcun altro che è entrato nella vostra vita.
Di frequente, a seguito di un cambiamento più o meno importante, all’interno di una coppia si sente dire che le cose non vanno più come prima.
famigliaL’arrivo di un bambino rompe gli equilibri che abbiamo creato, non solo all’interno della coppia, ma anche nella nostra routine.
Una coppia senza figli non deve pensare a come organizzarsi con il piccolo se vuole andare a cena fuori o al cinema, non ha problemi a far tardi sul lavoro, non ha problemi ad andare in vacanza e infine non ha problemi a creare dei momenti di intimità con il partner.

Se invece arriva un bambino, cosa succede, come cambia la nostra vita, come cambiamo noi?
Ci sono coppie che si lasciano prendere dal panico, si odono leggende di coppie che non escono più di casa, perché non vogliono destabilizzare il bambino che ha i suoi ritmi, le sue abitudini.
E la coppia? Che fine fa?
Dove sono andate a finire quelle seratine a lume di candela che tanto adoravamo? La complicità che abbiamo creato con il nostro partner?
Non ci manca tutto questo? Pensiamo di no? O, semplicemente, non ci pensiamo più!
Ci lasciamo prendere da questo tornado che è entrato dentro casa nostra ed ha rivoluzionato tutto.

Un bambino ti cambia la vita, ovviamente!
Inutile dire che te la cambia in meglio, ti aiuta a scoprire sentimenti e sensazioni nuove, a te ignote. L’idea di prenderti cura di lui poi ti fa sentire importante, speciale.
A volte, per non dire spesso, dimentichiamo che siamo speciali anche per qualcun altro, anche il nostro partner se ne dimenticherà se non facciamo nulla per ricordarglielo.

Dedichiamo del tempo alla coppia.
Come?
Apriamo le porte alla fantasia!
Il piccolo adesso dorme, perché non approfittarne?
Un bel bagno caldo, rilassante e magari accendiamo qualche candela per creare l’atmosfera giusta.
Una colazione di buon mattino, ammirando insieme il sorgere del sole.
A volte possiamo decidere di affidare il bambino a qualcuno e andare a cena fuori.
Dobbiamo continuare a prenderci cura della coppia, così come ci prendiamo cura del nostro bambino.
Adoro essere mamma, ma prima di essere ciò ho scelto di essere moglie e compagna ed avere un figlio non deve assolutamente significare non essere più tutto questo.

L’IMPORTANZA DELLA DIETA NELL’ULTIMO TRIMESTRE DI GRAVIDANZA

        L’importanza della dieta nell’ultimo trimestre di gravidanza è legata all’apporto di sostanze nutritive che sono indispensabili per l’accrescimento fetale, ma che rappresentano anche livelli di riferimento in base ai quali il nascituro regolerà il proprio metabolismo.
        Questo sistema in natura permette il migliore adattamento possibile del figlio all’ambiente nel quale la madre vive e nel quale lui stesso vivrà.
        Un recente articolo (Neonatal Insulin Action Impairs Hypothalamic Neurocircuit Formation in Response to Maternal High-Fat Feeding) pubblicato dalla autorevole rivista scientifica inglese Cell è riuscito a chiarire in parte il meccanismo d’azione di questo fenomeno.

         Lo studio dimostra infatti come l’alimentazione materna influisca effettivamente sullo sviluppo ipotalamico fetale.
        L’equipe di ricercatori tedeschi guidata dal dott.Merly C. Vogt, ha osservato come l’omeostasi metabolica materna nei murini eserciti degli effetti a lungo termine sulla salute della prole.
        Una dieta ad elevato contenuto lipidico assunta durante la lattazione predispone la prole all’obesità ed a squilibri dell’omeostasi metabolica del glucosio.

dieta in gravidanza         La causa di questa anomalia risiederebbe in un alterato sviluppo neurologico nella regione dell’ipotalamo, in particolare a livello del circuito della melanocortina ipotalamica. In questo particolare sistema di regolazione verrebbe alterata la produzione di proopiomelanocortina e di AgRP (Agouti-related protein), due importanti regolatori del metabolismo di lipidi e carboidrati.

         Le ricerche del Max Planck Institute for Neurological Research e l’Università di Colonia avevano già dimostrato in passato come i figli di madri obese fossero maggiormente predisposti a sviluppare obesità e come il programma metabolico del loro sistema nervoso fosse in qualche modo alterato dalla condizione materna. Tuttavia non erano ancora riusciti a scoprire il meccanismo d’azione di questo fenomeno.
        Usando i topi come modello gli scienziati hanno dimostrato in questo studio come una dieta ad alto contenuto lipidico sia una possibile causa dello sviluppo di circuiti neuronali anomali.
        Questa anomalia è in grado di alterare il meccanismo di segnalazione neurologica e di causare quindi problemi del metabolismo del glucosio nella prole al raggiungimento dell’età adulta.
        Lo sviluppo ipotalamico che si verifica subito dopo la nascita nei topi è sovrapponibile a quello che si verifica negli organismi umani durante il terzo trimestre di gravidanza.

        Su questa base l’articolo ipotizza una analoga influenza dell’alimentazione materna negli ultimi tre mesi di gravidanza sullo sviluppo ipotalamico del nascituro.
        Lo studio pubblicato apre la strada a nuove ricerche in questa direzione.
        I ricercatori auspicano che adeguati programmi di controllo alimentare in gravidanza possano prevenire in futuro l’insorgenza di problemi metabolici nei bambini.

        Come per ogni studio sperimentale che, per ovvie ragioni etiche, viene condotto sugli animali, si presenta il problema di come interpretare i risultati in rapporto ai soggetti umani.
Vi sono infatti differenze anche significative tra il metabolismo dei lipidi nei roditori e nella specie umana.
         Una conclusione plausibile porterebbe a individuare nei grassi raffinati (ad esempio parzialmente idrogenati) una categoria di lipidi particolarmente nociva mentre altri tipi, purché non processati industrialmente, come quelli contenuti nell’olio extravergine di oliva, nella frutta secca oleosa, costituirebbero fonti benefiche per la salute della madre e del nascituro. Sotto accusa ancora una volta sarebbe il cibo spazzatura ad alta densità di grassi saturi e monoinsaturi più che l’intera categoria dei grassi alimentari.

Fonte
Neonatal Insulin Action Impairs Hypothalamic Neurocircuit Formation in Response to Maternal High-Fat Feeding

lunedì 29 aprile 2019

Uso di marijuana durante gravidanza può portare a maggior rischio di psicosi nel nascituro

       Il consumo di cannabis durante la gravidanza può portare a rischio di sviluppo di psicosi nel nascituro. Lo propone uno studio, condotto dalla Washington University di St. Louis. L’aumento di rischio risulterebbe lieve ma comunque esistente, secondo Jeremy Fine, principale autore dello studio.

       Questo studio si innesta, tra l’altro, in tante altre ricerche che fanno da sfondo alla crescente preoccupazione riguardo al diffondersi dell’utilizzo della marijuana, aumento probabilmente dovuto anche al fatto che la stessa marijuana è stata riconosciuta, negli ultimi anni, come efficace medicinale o antidolorifico.
       L’aumento dell’utilizzo della marijuana sta avvenendo, tra la preoccupazione generale, anche tra le donne incinte, secondo vari studi.

       Lo studio di Fine, apparso su JAMA Psychiatry, suggerisce che almeno le donne incinte dovrebbero fare a meno di questa abitudine anche perché gli effetti sul nascituro non sono ancora ben chiariti del tutto.
       Secondo Ryan Bogdan, professore di scienze del cervello e autore senior dello studio, i maggiori rischi di psicosi nel nascituro sarebbero da spiegare nel “sistema dei recettori endocannabinoidi che potrebbe non essere in vigore durante le prime settimane di gravidanza”.

       Ciò vuol dire che la madre può fumare o inalare marijuana anche prima di sapere di essere incinta, portando dunque dei danni al feto appena sviluppatosi.
       La causa è da ricercare nel tetraidrocannabinolo (THC), il componente principale psicoattivo della marijuana, che si lega ai recettori endocannabinoidi imitando questi ultimi e attraversando la barriera placentare accedendo direttamente al feto.
        “Questo studio solleva l’intrigante possibilità che ci possano essere finestre di sviluppo durante le quali l’esposizione alla cannabis potrebbe aumentare il rischio di psicosi”, riferisce il ricercatore.

Fonti
Cannabis during pregnancy bumps psychosis risk in offspring | The Source | Washington University in St. Louis (IA)
Association of Prenatal Cannabis Exposure With Psychosis Proneness Among Children in the Adolescent Brain Cognitive Development (ABCD) Study. | Pediatrics | JAMA Psychiatry | JAMA Network (IA) (DOI: 10.1001/jamapsychiatry.2019.0076)

Alcol in gravidanza, non c’è una quantità sicura: bimbi a rischio problemi cognitivi continua su: https://scienze.fanpage.it/alcol-in-gravidanza-non-ce-una-quantita-sicura-bimbi-a-rischio-problemi-cognitivi/ http://scienze.fanpage.it/

        Bere alcol in gravidanza è pericoloso e non ci sono quantità sicure che possono con certezza limitare eventuali danni, in particolare per quanto riguarda le funzioni cognitive. Questo è quanto sostengono i ricercatori che hanno analizzato gli effetti dell’alcol sui feti e ci spiegano, attraverso il loro studio, quali siano i rischi per il cervello. Ecco cosa c’è da sapere sul consumo di alcol durante la gravidanza.

        Alcol in gravidanza. I ricercatori hanno scoperto che gli adolescenti che sono stati esposti all'alcol mentre erano nell'utero mostrano connessioni cerebrali alterate che sono coerenti con prestazioni cognitive compromesse. La scoperta è stata possibile grazie ai dati raccolti attraverso una tecnica di imaging cerebrale chiamata magnetoencefalografia (MEG). Analizzando i dati relativi a 19 pazienti con Sindrome alcolica fetale e 21 senza questa condizione, gli esperti hanno rivelato nei primi problemi di connettività a livello cerebrale. Nello specifico, i soggetti esposti all'alcol nel grembo materno avevano più probabilità di avere problemi alle connessioni attraverso il loro corpo calloso, cioè quel tessuto cerebrale che collega le metà sinistra e destra del cervello: deficit in quest'area sono stati evidenziati anche in persone con schizofrenia, sclerosi multipla, autismo e depressione

        Sindrome alcolica fetale (FAS), cos’è. La sindrome alcolica fetale è una delle principali cause di disabilità intellettiva in tutto il mondo ed è collegata a una vasta gamma di problemi neurologici, tra cui l’ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività). Mentre la teoria prevalente lega il consumo di alcool delle madri incinte ai danni cognitivi per i bambini, restano domande sulla portata di questo effetto. Nonostante il legame noto, i ricercatori sono ad oggi incerti sul meccanismo preciso con cui l'alcol altera il cervello in via di sviluppo.

        Conclusioni. “Questo lavoro mostra prove importanti per cui i bambini esposti all'alcol in età prenatale sono a rischio di soffrire di capacità cognitive compromesse e altri fattori secondari” ha detto Lin Gao, uno degli autori dello studio. Insomma, ad oggi non ci sono quantità sicure o fasi sicure durante la gravidanza per quanto riguarda il consumo di alcol. Non significa che sicuramente l’alcol faccia male, ma certo non si sa quale sia la quantità rischiosa.

Fonte: https://scienze.fanpage.it/alcol-in-gravidanza-non-ce-una-quantita-sicura-bimbi-a-rischio-problemi-cognitivi/

DONNE IN GRAVIDANZA, NON RINUNCIATE AL PESCE!

      Quando si aspetta un bambino l’attenzione verso la propria alimentazione aumenta in modo significativo.

Картинки по запросу NON RINUNCIATE AL PESCE      La gravidanza è, nella stragrande maggioranza dei casi, fautrice di scelte salutistiche in ambito alimentare, generalmente incoraggiate dai curanti  e fortemente orientate verso ciò che non possa nuocere in qualche modo al bambino che si aspetta.
      Ci si fa quindi consigliare dal proprio medico su cosa sia opportuno mangiare, ci si informa in internet, si leggono libri sull’argomento per essere il più preparate possibile.
      Carni e salumi crudi sono spesso banditi per non incorrere nel rischio toxoplasmosi. Le uova sì ma a a patto che siano ben cotte o comunque provenienti da allevamenti sicuri, altrimenti potrebbe accadere di contrarre la salmonella. Meglio rinunciare alle bevande alcoliche e ridurre il consumo di caffè. Sui social network in particolare si leggono queste ed altre affermazioni.

       Rispetto agli alimenti consigliati e sconsigliati in gravidanza le opinioni soventemente divergono e sorgono scuole di pensiero con visioni antitetiche fra loro.
      Una cosa è certa, a meno che non vi siano motivazioni particolari anche legate a scelte personali,  future mamme non rinunciate al pesce!

Ma perché fa bene mangiare pesce in gravidanza?
      I motivi sono molteplici: durante l’attesa il consumo di prodotti ittici fa bene sia alla mamma che al bimbo, perché i nutrienti di questi alimenti possono apportare dei benefici alla salute del feto, in particolare allo sviluppo di un organo complesso e delicato come il cervello.
      La spiegazione, su Stem Cells, arriva direttamente da un gruppo di avanguardisti ricercatori giapponesi, che grazie a degli studi approfonditi sull’argomento sono riusciti a comprendere la correlazione tra il consumo del pesce da parte della mamma e lo sviluppo di un organo importante come il cervello nel piccolo.

      Mediante alcuni esperimenti su modello murino si è scoperto non solo che una dieta varia ed equilibrata, ricca di acidi grassi, fa bene al futuro nascituro, ma anche che un’alimentazione povera di omega-3  danneggia la neurogenesi corticale dei piccoli. Questa scoperta non va certo presa alla leggera.
      Alcuni studi precedenti erano già riusciti a dimostrare che un’introduzione da parte della mamma di omega-3 ed omega-6 durante la gravidanza favorisce lo sviluppo del cervello del bambino, ma adesso questo legame è stato reso ancora più palese.

       Ma quali sono gli effetti di questi particolari lipidi alimentari sulla formazione di quest’organo?
I ricercatori si sono accorti che quando alle cavie  di sesso femminile è stato dato del cibo povero dei famosi omega, la loro cucciolata aveva poi un cervello di dimensioni ridotte e una volta che i piccoli erano cresciuti si dimostravano emotivamente più instabili rispetto a topi che invece avevano potuto beneficiare degli acidi grassi durante il periodo di gestazione.
      Le ricerche hanno sottolineato come tale anomalia del cervello è in buona parte causata dallo squilibrio degli acidi grassi, che provoca un invecchiamento prematuro delle cellule staminali neurali fetali, da cui poi nasceranno le vere e proprie cellule cerebrali.

       Quindi è importante che ogni donna in gravidanza si nutra in modo vario e bilanciato, senza rinunciare al pesce, ma anzi, cerchi di assumere la giusta quantità di omega-3 e omega-6, mediante i vari alimenti che li contengono.

Fonte
Maternal dietary imbalance between omega-6 and omega-3 polyunsaturated fatty acids impairs neocortical development via epoxy metabolites

PROBLEMI CON L’ALLATTAMENTO? OMEOPATIA

latte omeopatia          L’allattamento è senza dubbio una delle esperienze più intense ed emozionanti nella vita di una mamma: questo gesto così naturale e spontaneo contribuisce a rendere ancora più forte il legame con il piccolo.

           Senza dimenticare le proprietà e i benefici del latte materno, tanto che le società scientifiche consigliano sempre, l’allattamento al seno.
          Ma per allattare occorrono condizioni favorevoli per le mamme, e l’omeopatia si rivela a questo proposito, una valida soluzione.
          A questo proposito abbiamo chiesto al Dott. Tommaso Lovecchio, pediatra esperto in omeopatia a Bari, i vantaggi di una terapia a base di medicinali omeopatici durante l’allattamento.

           Perché a suo parere la terapia omeopatica può rivelarsi un valido sostegno all’allattamento?
Alcuni disturbi come le ragadi, l’ipogalattia, ovvero la ridotta produzione lattea, oppure, al contrario, una montata lattea eccessiva possono essere risolti con i medicinali omeopatici.
          Questi medicinali risultano pressoché privi di effetti indesiderati e tossicità chimica, il che li rende particolarmente adatti alle mamme che, allattando, devono considerare attentamente tutto quello che assumono.

          Parliamo di ragadi: cosa sono e come possono essere trattate a livello omeopatico?
Le ragadi sono fessurazioni della pelle che si formano tendenzialmente a raggiera intorno ai capezzoli e che possono rendere particolarmente fastidioso l’allattamento.
          Alle mie pazienti consiglio generalmente i medicinali omeopatici Nitricum acidum 9 CH oppure Graphites 9 CH, con posologia di 5 granuli 3 volte al giorno.

          Quali sono i medicinali omeopatici più adatti in caso di ipogalattia e montata lattea eccessiva?
Per il trattamento dell’ipogalattia consiglio di ricorrere generalmente a Ricinus 5 CH e Urtica urens 5 CH, con posologia di 5 granuli di ciascuno 3 volte al giorno.
          Nel caso in cui la mamma volesse concludere l’allattamento al seno, il medicinale utile per far scomparire il latte è Lac caninum 9 CH.

SONO INCINTA, COSA MANGIO?

Картинки по запросу SONO INCINTA, COSA MANGIO?         Sappiamo tutti quanto sia importante il ruolo dell’alimentazione prima e durante la gravidanza, e lo è per la madre e per il nascituro.

         La relazione che intercorre tra la nutrizione materna e fetale è complessa ma l’apporto nutrizionale dovrebbe essere ottimale per garantire il benessere di entrambi.
         La crescita, lo sviluppo e una buona salute passano attraverso un’alimentazione che sia adeguata per qualità e quantità.
         I componenti maggiori della dieta, i macronutrienti, sono carboidrati, proteine e grassi mentre i micronutrienti vitamine e minerali.
         Il fabbisogno energetico in gravidanza può essere calcolato sommando l’energia necessaria ai nuovi tessuti materni e quella fondamentale per lo sviluppo del feto.

          L’energia necessaria ad una donna incinta supera di circa 300 Kcal il fabbisogno energetico pregravidico, dalla 10^ e la 30^ settimana, quando il corpo si organizza per creare le riserve materne di grasso.
         Durante le ultime 10 settimane, è la crescita fetale che necessita di maggiore energia.
Risulta quindi evidente che una dieta o una restrizione nutrizionale non siano appropriate durante la gravidanza e queste potrebbero avere effetti avversi per il feto.

          Per supportare la sintesi tissutale materna e lo sviluppo fetale, è richiesto un maggior apporto proteico; le donne che vivono in Paesi sviluppati, che consumano regolarmente carne, legumi e prodotti caseari, non hanno alcuna necessità di integrazioni.
         Chi segue una dieta di tipo vegetariano o vegano deve assicurarsi di assumere legumi e frumento integrale in quantità sufficiente ed integrare con la Vitamina B12.

         Durante la gravidanza il metabolismo dei grassi è modificato dai cambiamenti ormonali.
Trigliceridi, colesterolo, acidi grassi e lipoproteine sono più bassi all’inizio della gestazione e tendono ad aumentare con il progredire delle settimane.
         Una dieta ricca di grassi non è raccomandata durante la gravidanza poiché è associata allo sviluppo di anomalie glucidiche (intolleranze al glucosio, diabete gestazionale); mentre si raccomanda alle donne di consumare pesce azzurro ricco di Omega3, importanti per ridurre il rischio di pre-eclampsia, basso peso del feto e parto pretermine.
         Inoltre gli Omega3 hanno un ruolo importante nel regolare lo stato infiammatorio del corpo.
         I carboidrati sono essenziali per il metabolismo materno e fetale; la dieta mediterranea, ricca di cereali, è pertanto la più indicata durante la gravidanza.
         È preferibile però consumare alimenti integrali, ricchi di fibre, per prevenire la costipazione dovuta agli elevati livelli di progesterone.

         Per quanto riguarda i micronutrienti, è essenziale che la donna in gravidanza assuma una quantità di acido folico adeguata (400 microgrammi/die), per prevenire i difetti del tubo neurale; le vitamine sono importanti per il corretto sviluppo del feto ma la normale dieta è sufficiente a garantirne l’adeguato apporto.

Картинки по запросу SONO INCINTA, COSA MANGIO?         Per quanto riguarda il ferro, spesso in gravidanza vi è una riduzione fisiologica delle riserve o un’anemia sideropenica, che si aggrava nelle donne che non consumano carne o che hanno basse riserve marziali pregravidiche, così come in chi assume poca vitamina C o assume farmaci che ne influenzano l’assorbimento.
         La supplementazione si rende dunque necessaria in alcuni casi, ma deve essere sempre accompagnata da consigli nutrizionali appropriati e sotto la supervisione di un professionista.

Il cibo può esser fonte di infezioni.
         Durante la gravidanza, le future mamme devono prestare attenzione all’igiene, lavando accuratamente frutta e verdura prima di consumarle.
         Per ridurre il rischio di contrarre salmonellosi, listeriosi e toxoplasmosi è opportuno evitare di mangiare alimenti poco cotti, uova crude, formaggi con segni di muffe o a pasta molle, affettati crudi.

          La gravidanza è un evento normale e fisiologico nella vita di una donna; una alimentazione sana e bilanciata, con quantità adeguate di carne, pesce, legumi e cereali, che preveda il consumo di 5 porzioni di frutta e verdura al giorno, garantisce un apporto nutrizionale adeguato.
         È importante bere almeno 2 litri di acqua al giorno, soprattutto nei periodi più caldi, e fare attività fisica moderata. Il benessere passa anche attraverso il cibo, pertanto attenzione alla qualità dei prodotti che consumiamo!

domenica 28 aprile 2019

Alcol in gravidanza, anche in piccole dosi è rischioso per il bambino

rischi alcol gravidanza       Bere alcol in gravidanza può mettere in pericolo la salute del bambino anche se ci si limita a piccole dosi. A suggerirlo è uno studio pubblicato sulla rivista Clinical Chemistry and Laboratory Medicine da un gruppo di ricercatori coordinato da Simona Pichini, esperta del nostro Istituto Superiore di Sanità (Iss).

       La ricerca ha previsto di misurare la presenza di marcatori dell'esposizione all'alcol in 80 coppie mamma-bambino. In particolare, i ricercatori di sono concentrati sui segnali dell'esposizione all'etanolo presenti nei capelli delle donne e nel meconio (il materiale contenuto nell'intestino del feto) dei loro bambini.

       E' stato così scoperto che quando è possibile rilevare il consumo materno di alcol analizzando i capelli della donna è possibile rilevarlo anche nel meconio, soprattutto se l'assunzione di alcolici è avvenuta nel secondo e nel terzo trimestre di gravidanza.

Fonte http://www.benessereblog.it/post/144292/alcol-in-gravidanza-anche-in-piccole-dosi-e-rischioso-per-il-bambino

Consumo di alcol durante gravidanza, non esistono quantità sicure

        Non esiste uno quantitativo sicuro per quanto riguarda il consumo di alcol durante la gravidanza: lo afferma chiaramente Lin Gao, uno degli autori di uno studio apparso sulla rivista Chaos.
La ricerca ha analizzato i cambiamenti biologici che occorrono nel cervello e che portano ai disturbi dello spettro alcolico fetale (FASD, definita anche sindrome alcolica fetale), una sindrome causata nel feto e nel nascituro dal consumo di alcol della madre durante la gravidanza.

        Analizzando i dati di 19 pazienti con FASD e di 21 soggetti sani, i ricercatori hanno scoperto che gli adolescenti che erano stati esposti all’alcol mentre erano nell’utero erano caratterizzati da connessioni cerebrali alterate, caratteristiche che indicano prestazioni cognitive compromesse.
Nello specifico, i soggetti esposti all’alcol nel grembo materno erano più soggetti a problematiche riguardanti le connessioni attraverso il corpo calloso, ossia quella parte del cervello che collega la metà sinistra con quella destra.

        Per analizzare i pazienti i ricercatori si sono avvalsi di una particolare tecnica di imaging cerebrale denominata magnetoencefalografia. Hanno poi analizzato i risultati con strumenti sviluppati usando la teoria del caos, una sofisticata tecnica computerizzata denominata Cortical Start Spatio-Temporal multidipole analysis.
        “Il nostro studio … mostra che non ci sono quantità sicure o fasi sicure durante la gravidanza per il consumo di alcol”, afferma Lin Gao.

Fonti
No safe amount of alcohol during pregnancy, suggest researchers: Brain connectivity issues found in children who have experienced prenatal alcohol exposure — ScienceDaily (IA)
Quantitative assessment of cerebral connectivity deficiency and cognitive impairment in children with prenatal alcohol exposure: Chaos: An Interdisciplinary Journal of Nonlinear Science: Vol 29, No 4 (IA) (DOI: 10.1063/1.5089527)

FRUTTA SECCA IN GRAVIDANZA, MENO ALLERGIE PER IL FIGLIO

frutta secca       Secondo un recente studio di medicina pediatrica pubblicato dal Journal of the American Medical Association (JAVMA) il consumo di arachidi e frutta secca con guscio in gravidanza ridurrebbe la possibilità di sviluppo di allergie alla frutta secca nel nascituro.

       I dati medici confermano un aumento dell’incidenza di allergia alla frutta secca ed altre allergie alimentari nei bambini.
La causa di questo incremento è ancora sconosciuta.
       Lo studio della dottoressa A. Lindsay Frazier ha preso in esame la storia clinica di 10.907 partecipanti. Si tratta di ragazzi nati tra il primo gennaio del 1990 ed il trentuno dicembre del 1994 e delle loro madri.
       Per ogni caso sono stati raccolti dati sul tipo di alimentazione materna prima, durante e dopo la gravidanza.
       Una parte delle madri erano allergiche alla frutta secca.
In seguito sono stati raccolti i dati dei bambini prendendo in considerazione quelli che durante l’accrescimento hanno manifestato forme di allergia alimentare.

        Nel gruppo di bambini esaminati si sono sviluppate nel corso degli anni 308 casi di allergia alimentare.
       In 140 di questi casi è stata diagnosticata una allergia alle arachidi ed alla frutta secca con guscio.
       L’esame dei dati raccolti ha dimostrato che l’incidenza di allergia alla frutta secca è stata significativamente minore nelle madri non allergiche che durante la gravidanza avevano inserito nella propria alimentazioni arachidi ed altra frutta secca con guscio.
       Nel gruppo delle madri con allergia alla frutta secca invece c’è stata una correlazione positiva, ma non statisticamente significativa, tra il contatto con frutta secca e lo sviluppo di allergie nei figli.

       Nelle madri non allergiche il consumo di frutta secca e la presenza di allergia nel nascituro sono stati inversamente proporzionali.
       Le madri con il più alto consumo di frutta secca in gravidanza hanno infatti avuto il più basso dato di incidenza di allergia a questo tipo di alimento nei figli.
       Lo studio ha dimostrato scientificamente il fenomeno ed i medici hanno ipotizzato una spiegazione di tipo immunitario.
       Si pensa che l’esposizione agli allergeni della frutta secca in fase precoce (durante la maturazione fetale nel periodo della gravidanza) aumenti la tolleranza del sistema immunitario in fase di sviluppo a questa tipologia di sostanze abbassando il rischio dello sviluppo di allergia nella vita futura.

        Questo studio conferma l’importanza dell’influenza ambientale sullo sviluppo fetale e la possibile correlazione tra regime alimentare materno ed insorgenza di patologie in età adulta del nascituro.
       È auspicabile che la scienza medica riesca in un prossimo futuro ad arrivare ad un efficace programma di prevenzione nei confronti delle più diffuse malattie metaboliche ed immunitarie attraverso una maggiore comprensione dei meccanismi di influenza ambientale sullo sviluppo fetale durante la gravidanza.

Fonte
Prospective Study of Peripregnancy Consumption of Peanuts or Tree Nuts by Mothers and the Risk of Peanut or Tree Nut Allergy in Their Offspring (Abstract)

QUANDO UN NATO PREMATURO È PRONTO PER L’ALIMENTAZIONE?

prematuro       La nutrizione di un bambino nato prematuramente deve garantire il corretto apporto nutrizionale per la sua regolare crescita, fino a quando non svilupperà la capacità istintiva della suzione e della deglutizione.

        Per questo motivo i nati prematuramente vengono alimentati per via parenterale (non per bocca) e contemporaneamente tramite un sondino naso-gastrico che immette direttamente nello stomaco piccole quantità di latte materno, al fine di stimolarne la motilità e prepararlo ad un’alimentazione per la normale suzione neonatale.

        Alcuni ricercatori hanno condotto uno studio sui biomarker salivari per stabilire quale sia il momento più opportuno per indurre il nato prematuro all’alimentazione orale. Questi recettori salivari subiscono variazioni indicative circa l’evoluzione e lo sviluppo dei prematuri, divenendo dei veri e propri strumenti di valutazione oggettiva.

        Attualmente, gli unici mezzi tramite i quali si stabilisce il momento per terminare con l’alimentazione parenterale sono assolutamente soggettivi e basati sullo sviluppo del singolo soggetto.
       Le gravidanze che non vengono regolarmente portate a termine comportano la nascita di neonati pretermine con relative difficoltà correlate, su cui il passaggio all’alimentazione orale incide notevolmente soprattutto sulla decisione della dimissione dall’ospedale.
Prima di poter lasciare il reparto di maternità, infatti, un neonato pretermine deve dimostrare di aver sviluppato regolarmente tutte le capacità di un bambino nato a termine, compresa l’alimentazione per via orale in conformità alle linee guida stabilite dall’American Academy of Pediatrics.

       Scegliere il momento giusto per iniziare l’alimentazione per via orale di un neonato prematuro, può risultare assai rischioso poiché, essendo totalmente assente il riflesso di suzione e deglutizione, risulta molto elevato il rischio di soffocamento oppure, in casi meno gravi, determina un rifiuto dell’alimentazione orale e una conseguente crescita ritardata.
       Determinare accuratamente il momento adatto per iniziare questo tipo di alimentazione, quindi, diventa fondamentale per evitare questa serie di inconvenienti e garantire al bambino una corretta qualità di vita e di crescita.

        Un team di ricercatori ha stabilito tramite i propri studi, che la combinazione di tecniche di amplificazione genica con avanzati strumenti di analisi computerizzata, permette di identificare specifici biomarkers salivari direttamente collegati alla capacità del neonato di iniziare un’alimentazione per via orale.
       La ricerca, condotta in due fasi, ha esaminato dapprima i geni salivari connessi al successo dell’apprendimento dell’alimentazione orale su 12 neonati pretermine; successivamente sono stati poi identificati tali geni che, oltre a risultare strettamente collegati alla capacità del bambino di alimentarsi regolarmente, fornirebbero anche informazioni indispensabili circa la predisposizione fisiologica all’apprendimento di un’alimentazione orale.

        Questi geni, insieme a sesso del neonato ed età post-concezionale, aiutano a stabilire quale sia il momento più adatto per iniziare l’alimentazione orale senza incorrere negli inconvenienti prima descritti.
         Inoltre, questi markers, determinando lo stadio di sviluppo neurologico, sensoriale, gastroenterico e il senso di fame, decretano il successo di un’alimentazione orale.

Fonte
Computational gene expression modeling identifies salivary biomarker analysis that predict oral feeding readiness in the newborn.

IL LATTE MATERNO PUÒ SALVARE MOLTISSIME VITE

mother breastfeeding her baby girl         Negli ultimi decenni, sull’importanza del latte materno si sono espressi numerosi medici, ricercatori e scienziati, tutti concordi nel ribadire le straordinarie virtù di un latte non riproducibile in laboratorio, dunque insostituibile, proprio come insostituibili sono secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità i benefici che derivano dal suo utilizzo.

         L’allattamento al seno materno, da solo, potrebbe contribuire a salvare circa 800.000  vite l’anno.
         Questo è la conclusione di una recente ricerca, finanziata anche dalla fondazione di Bill e Melinda Gates e dalla Wellcome Trust britannica.
         Grazie alle sue straordinarie virtù, infatti, il latte materno sarebbe coinvolto nella cura e nelle regressione delle patologie più impensabili, apparentemente non collegate in alcun modo al suo utilizzo: è questo per esempio il caso dei tumori alla mammella, che potrebbero ridursi di ben 20.000 casi.

         Il latte materno è ricchissimo di sostanze nutrienti la cui finalità principale è quella di favorire una crescita sana del bambino, preservandone la salute.
         Nei neonati prematuri, poi, l’utilizzo del latte materno è fondamentale poiché consente di ridurre in maniera considerevole il rischio di sviluppare malattie potenzialmente molto rischiose.
         Ma non finisce qui, perché – come sostengono tutti gli studi scientifici condotti in merito – l’allattamento al seno rafforza il legame tra mamma e bimbo, favorendo la nascita di una vera e propria simbiosi sana.

         Tutti quanti questi effetti positivi derivanti dall’utilizzo del latte materno sono stati confermati e rafforzati dallo studio svolto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Pelotas (Brasile), coordinato dal dottor Cesar Victora e pubblicato lo scorso 29 gennaio 2016 sulla rivista scientifica internazionale “The Lancet”.
         Prendendo in considerazione un campione formato da migliaia di donne provenienti da ben 164 Paesi e dai loro figli, lo studio brasiliano afferma che un’alimentazione a base di latte materno da prolungare almeno per i primi sei mesi di vita del neonato (come raccomandato dall’OMS) potrebbe evitare addirittura 800.000 decessi ogni anno.
Картинки по запросу IL LATTE MATERNO PUÃ’ SALVARE MOLTISSIME VITE         Si tratta dunque di un problema di politica sanitaria che coinvolge non solo i Paesi industrializzati, dove nell’ultimo decennio sempre più donne preferiscono evitare l’allattamento al seno, ma anche i Paesi in via di sviluppo, dove l’incidenza di alcune malattie (per esempio quelle infettive) è maggiore.

          Secondo il dottor Victora, infatti, è sbagliato pensare che i benefici dell’allattamento al seno debbano riguardare solo le nazioni più povere.
“Il nostro studio” dichiara l’esperto “dimostra in modo chiaro che l’allattamento materno salva migliaia di vite sia nei paesi ricchi che in quelli poveri”.
         Obiettivo dichiarato dell’OMS è quello di far sì che entro il 2025 il numero di bambini allattati al seno raddoppi. Perché ciò accada, tuttavia, è necessaria un’informazione massiccia e mirata, ma c’è bisogno anche di politiche sociali apertamente schierate a favore della maternità, che per esempio permettano a tutte le donne di godere di un congedo di maternità di sei mesi.


Fonte
The Lancet – Breastfeeding

sabato 27 aprile 2019

Alcol in gravidanza: in Italia, ogni anno migliaia di bambini nascono con Sindrome Feto-alcolica

Alcol in gravidanza       Bere alcol in gravidanza mette in serio pericolo la salute del bambino. Purtroppo però, molte future mamme ignorano questo problema, e danneggiano così i nascituri, esponendoli a un rischio elevato di sviluppare la “Sindrome Feto-alcolica” (Fas - Fetal Alcohol Syndrome), una condizione molto grave, collegata al consumo di alcol in gravidanza. Si stima che nel mondo siano 70 milioni le persone che soffrono delle conseguenze dell’esposizione all’alcol durante la gravidanza, e secondo quanto rivela il “The Lancet Global Healt”, ogni anno si registrano 119mila nuovi casi nel mondo, con una maggiore concentrazione in Europa e in Sudafrica.

       Ma quali saranno i meccanismi alla base di questa condizione? Gli esperti spiegano che il feto non metabolizza l’alcol, e che quindi esporlo a questo tipo di sostanza può provocare patologie congenite, disfunzioni e altre condizioni che ne influenzeranno l’intera vita.

       Gli allarmanti dati epidemiologici che abbiamo a disposizione ci obbligano ad un’azione tempestiva e capillare di informazione delle famiglie nonché di formazione rivolta a tutti i medici (tra cui pediatri, ginecologi, medici generici, neuropsichiatri) che hanno un ruolo fondamentale nella prevenzione e nella diagnosi precoce, oltre che per la cura fa sapere ladottoressa Maria Pia Graziani, responsabile del Comitato scientifico di Cipe (Confederazione italiana pediatri) del Lazio, la quale aggiunge che è assolutamente importante far capire alla popolazione quali e quanti potrebbero essere i rischi alcol-correlati per la salute del bambino.

Fonte http://scienzaesalute.blogosfere.it/post/584408/alcol-in-gravidanza-in-italia-ogni-anno-migliaia-di-bambini-nascono-con-sindrome-feto-alcolica

PERINEO E GRAVIDANZA: NON TRASCURIAMOLO!

       Grazie all’interazione di muscoli, legamenti e tessuto adiposo permette il normale posizionamento di utero, retto, vescica e vagina.
       Inoltre le strutture di sospensione e sostegno che costituiscono questa parte anatomica sono necessarie a garantire la continenza urinaria e fecale e a permettere minzione e defecazione. Altro ruolo fondamentale del pavimento pelvico è quello legato alla funzione sessuale, infatti la fascia muscolare superficiale si contrae durante i rapporti, assumendo un ruolo chiave nel raggiungimento del piacere.

       Ma non è tutto! Il ruolo del pavimento pelvico risulta avere un’importanza chiave al momento del parto.
       Infatti la muscolatura perineale permette alla testa fetale di effettuare la rotazione interna, necessaria affinché la parte presentata passi attraverso il canale osseo; e fungendo da “base di appoggio” garantisce la deflessione cefalica al di sotto dell’osso pubico, permettendo il coronamento della testa fetale. Durante il secondo stadio del travaglio, meglio conosciuto come periodo espulsivo, i muscoli costituenti il pavimento pelvico si stirano e permettono ai tessuti di adattarsi meglio alla parte presentata, riducendo in questo modo il rischio di lacerazioni spontanee.

perineo        L’evento ostetrico è il fattore di rischio principale per le disfunzioni perineali quali incontinenze urinarie e fecali; anche se la causa è spesso multifattoriale e riconducibile a stile di vita, cultura e fattori personali. La gravidanza modifica e sollecita il corpo, in particolare i sistemi della continenza vengono messi a dura prova dall’aumento ponderale del peso materno, e dall’aumento di volume dell’utero.
       Il passaggio del bambino nel canale del parto comporta grandi cambiamenti nei tessuti perineali con stiramenti e micro lacerazioni che rendono frequenti i disturbi urinari nell’immediato post-partum o disturbi di tipo neurologico (neuropatia del pudendo).
       Il rischio di trauma aumenta se durante il parto si praticano manovre volte ad accelerare i tempi, quali utilizzo di ossitocina, posizione litotomica, episiotomia o parto operativo. Risulta pertanto necessaria una prevenzione quanto più possibile precoce (pubertà) o primaria, in gravidanza, travaglio e parto.

       In particolare durante la gravidanza è importante prendere consapevolezza dell’esistenza e dell’importanza del pavimento pelvico, grazie anche al massaggio perineale che può essere effettuato con oli vegetali (olio di mandorla o altro) con l’aggiunta di oli essenziali (lavanda/iperico). Il massaggio ha lo scopo di rendere i tessuti più elastici grazie alla maggiore ossigenazione derivante da tale pratica e può essere effettuato da sole o con l’aiuto del partner, influendo positivamente sull’intimità di coppia.
       Si può iniziare dalla 34^ settimana di gravidanza una o due volte a settimana per 10 minuti circa e continuare fino al termine, quando si può effettuare anche giornalmente.
       Questa pratica non presenta controindicazioni se eseguita con buone norme igieniche (lavaggio delle mani, assenza di infezioni..).
       Per migliorare la tonicità muscolare è importante abbinare al massaggio del perineo anche un lavoro corporeo che prenda in considerazione la respirazione, la mobilità del bacino, la percezione del pavimento pelvico ed esercizi volti alla tonificazione muscolare (Esercizi di Kegel con contrazioni muscolari rapide, in tenuta e stratificate) da eseguire in posizione sdraiata, seduta, in piedi e accovacciata. Quando si è presa confidenza con gli esercizi più semplici si può passare ad attività più complesse che richiedono però maggior consapevolezza di sé.

       Il danno perineale ostetrico forse non può essere evitato ma sicuramente può essere limitato.
       É dunque importante che le donne in gravidanza non trascurino una parte del corpo fondamentale come il pavimento pelvico, eseguendo il massaggio perineale ed abbinandolo ad esercizi specifici per la tonificazione e la consapevolezza. Poiché questi esercizi devono essere specifici, personalizzati e richiedono un periodo di apprendimento, è opportuno rivolgersi a professionisti (ostetriche/fisioterapisti) formati e specializzati che aiutino le donne a “fare conoscenza” con il loro perineo in maniera adeguata, riducendo il rischio di danno perineale al parto.

MAMME “BESTIALI”: E TU CHE ANIMALE SEI?

       Da quando ho avuto il mio bimbo, mi rendo conto che molti miei comportamenti somigliano a quelli di mamme animali.
mamma istinto
        Lo so, è naturale, ma non credevo, fin quando non ho provato tutte queste sensazioni, che l’istinto animalesco potesse essere così forte anche in noi mammifere bipedi; ne sono rimasta stupita, ovviamente in senso super-positivo
Vi faccio qualche esempio:

1. Mamma-scimmia:
mentre il cucciolo poppa, mi viene istintivo ”esplorare” l’orecchietto e tra i capelli e togliere eventuali pellicine, peletti di lana, micro-pallette di cerume… come la mamma-scimmia spulcia il suo scimmiottino.

2. Mamma-gatta:
quando il cucciolo è in fase di addormentamento, mi è venuto istintivo fargli con le labbra carezzine sulla fronte, tra le sopracciglia, proprio come ho visto fare alle mamme-gatte coi micetti: li leccano proprio in quella zona e i piccini si addormentano. Da parte sua, il piccino fa come i micetti: mi spreme la poppa con le zampett… ehm, con le manine mentre ciuccia.

3. Mamma-leonessa:
in certe situazioni mi sento iperattiva e iperefficiente, proprio come la leonessa che va a caccia stancandosi molto pur di assicurare il benessere ai suoi cuccioli.

4. Mamma di qualsiasi specie, anche feroce:
senso di gelosia e protezione quando un estraneo si avvicina al cucciolo… grrrrr!

5. Mamma- mucca:
ovviamente non poteva mancare …

E voi che mamme animalesse siete?

MAMME A CONFRONTO: COME GESTIRE LA COMPETIZIONE?

       Quando doveva nascere la mia pupa, altre ragazze in paese erano al termine della loro gravidanza.

       “Bene, fra qualche mese troveremo ai parchetti vari coetanei e, più avanti, li incontreremo anche all’asilo!”
Era bello pensare che mia figlia potesse avere amici.
mamma bimba       Le nonne, invece, davano vita a competizioni: chi partorirà prima? Chi sfornerà il pargoletto più pesante? Chi avrà il travaglio più lungo?
       Io, a rigor di cronaca, ho “perso” su ogni fronte: avendo dato alla luce con dodici giorni di ritardo una cicciottella di più di 4 kg in 14 ore… sono stata “battuta” da chi ha partorito prima del termine, da chi ha messo al mondo un ometto di circa 5 kg e da chi ha sfiorato le diciotto ore di travaglio!

A parer mio, però, mia figlia batte tutti in felicità.
       Ne sono lieta ma, allo stesso tempo, triste per gli altri piccini che vedo spesso in paese seduti nei loro passeggini in attesa di coccole di mamma… Li vedo con il ciuccio in bocca per consolarsi quando sono giù… Li vedo con gli occhietti segnati dalla tristezza… e non mi piace. Per niente!
       Vorrei prenderli in braccio, sbaciucchiarmeli e stringerli, e dire loro che a volte le mamme non si rendono conto che un bimbo non ha la necessità di un super passeggino attrezzato perché preferirebbe un semplice pezzetto di stoffa che lo tenga stretto stretto alla sua mamma…

        A volte le mamme si dimenticano che non sono importanti i vestiti stirati e che il tempo speso bene è quello dedicato ai loro piccoli…
       A volte le mamme credono sia utile un giocattolo nuovo per distrarre il loro bimbo, quando invece un’ora di coccole in più sarebbe molto più apprezzata…
       Tutte noi, tra qualche anno, magari ci pentiremo di qualche scelta presa e sono sicura che le mamme di cui parlo, trovano strani i miei comportamenti, tanto quanto io trovo strani i loro: perché ognuna di noi è mamma a suo modo e osservare altre mamme ci aiuta a migliorarci e a scegliere come agire con i nostri figli.
       Quindi ogni mamma è vincente perché fa del suo meglio per il suo piccolo!
Così… decido di aver vinto anch’io…

I NEONATI SONO PIÙ SENSIBILI AL DOLORE

dolore bambino        La medicina ha per lungo tempo reagito con incertezza per quanto riguarda il delicato discorso del dolore sperimentato dal neonato e ancora oggi, circa il 60% delle operazioni chirurgiche e degli interventi sugli infanti, non prevede alcun trattamento analgesico.

         Prima del 1970, le ricerche cliniche ed empiriche in merito al dolore e al suo trattamento si erano concentrate esclusivamente sugli adulti; solo grazie al lavoro pioneristico di autori quali Anand e Fitzgerald (a partire rispettivamente dal 1987 e 1989) si è avviata una ricerca sistematica sul dolore nel feto e nel neonato, la quale, nel corso degli anni, ha permesso di sviluppare una consapevolezza sempre crescente in merito alla grande sensibilità del neonato rispetto al dolore.
        Uno dei maggiori ostacoli della ricerca in questo delicato ambito è da sempre legato all’impossibilità per il piccolo di verbalizzare il dolore, elemento che ha imposto ai professionisti la necessità di creare specifiche scale di valutazione di quest’ultimo (diverse a seconda dell’età gestazionale) che permettano di modularlo efficacemente attraverso rimedi farmacologici e non farmacologici.

        Nonostante sia ormai da anni noto che il sistema nervoso centrale del neonato reagisce potentemente in occasione di uno stimolo nocivo, ancora oggi sussistono alcune incertezze in merito a quali specifiche aree della corteccia cerebrale si attivino nell’infante in risposta al dolore.
        Una recente ricerca, effettuata presso l’Università di Oxford e pubblicata su eLife, ha sottolineato una nuova importante scoperta di rilevante importanza a livello clinico.
        La Dottoressa Rebecca Slater, a capo della ricerca, ha spiegato che nel corso del suo studio ci sono state diverse novità che porteranno una maggiore consapevolezza sia in campo medico che in campo psicologico.

        Il team ha raggruppato 10 neonati di età variabile dai 6 ai 10 giorni di vita e 10 adulti dai 23 ai 36 anni.
        I soggetti sono stati monitorati durante il sonno tramite l’ausilio di una Risonanza Magnetica in grado di verificare se e quali parti del cervello si sarebbero state attivate in occasione di stimoli più o meno fastidiosi.
        Il cervello dei neonati solleticati sotto il piedino con l’utilizzo di un bastoncino di legno ha reagito attivando 18 diverse reazioni su 20 aree di risposta.
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Non solo. La risposta presente nello studio dimostra anche che nonostante il sonno del neonato procedeva senza risvegli improvvisi, le regioni del cervello attivate erano assimilabili a quelle di un uomo adulto sottoposto ad un dolore 4 volte più intenso.

         La Dottoressa Slater ha quindi concluso lo studio confermando le evidenze disponibili oggi in letteratura, ovvero che gli infanti non solo hanno l’abilità di vivere il dolore, ma sono anche più sensibili rispetto agli adulti.
        Questo studio punta a promuovere una continua ricerca in ambiento scientifico, che permetta di mantenere aggiornato chi opera in campo clinico nei reparti neonatali. Ogni manipolazione e intervento medico deve essere eseguito nel rispetto delle caratteristiche del paziente, qualsiasi età egli abbia.


Fonte
fMRI reveals neural activity overlap between adult and infant pain

venerdì 26 aprile 2019

OMEGA-3 E OMEGA-6: GLI ACIDI GRASSI ESSENZIALI PER LA SALUTE

         Gli acidi grassi essenziali sono acidi grassi che non possono essere sintetizzati dal corpo umano e devono pertanto essere introdotti con la dieta. Ci sono due famiglie di acidi grassi essenziali: gli omega-3 e gli omega-6.

Esistono tre tipi di acidi grassi omega-3:

  • L’acido α-linolenico (ALA)
  • L’acido eicosapentaenoico (EPA)
  • L’acido docosaesaenoico (DHA)

        Gli acidi EPA e DHA possono essere sintetizzati dall’organismo umano a partire dall’acido ALA. L’acido ALA invece non può essere sintetizzato dall’organismo e deve essere necessariamente introdotto con la dieta. La maggior parte degli acidi grassi omega-6 è consumata attraverso oli vegetali, è il caso dell’acido linoleico, convertito dal corpo umano in acido γ-linolenico (GLA) e acido arachidonico (AA).
omega 3
        L’acido arachidonico può essere consumato direttamente dalla carne mentre il GLA è presente negli oli vegetali. L’alimentazione occidentale fornisce bassi livelli di DHA e EPA e alti livelli di AA.
        Un apporto adeguato di acidi grassi polinsaturi è importante perchè essi giocano un ruolo chiave nello sviluppo e nel mantenimento della funzione cerebrale, dei processi visivi, nella risposta immunitaria e infiammatoria e nella produzione di molecole ormono-simili. Vediamo nello specifico quali sono le funzioni svolte da queste sostanze:

Riduzione del rischio cardiovascolare
        L’EFSA e altri organismi scientifici hanno confermato che l’EPA e il DHA sono importanti per la salute cardiovascolare. Gli studi hanno dimostrato che la loro presenza nella dieta aiuta a mantenere la pressione sanguigna a livelli fisiologici, regola i lipidi nel sangue e il battito cardiaco. Inoltre mantengono la funzione immunitaria e regolano la risposta infiammatoria. Studi eseguiti su pazienti con attacco cardiaco hanno dimostrato che la supplementazione con omega-3 riduce il rischio di infarto e la mortalità. Abbassando i livelli di trigliceridi nel sangue, i soggetti affetti da diabete potrebbero beneficiare delle proprietà degli acidi grassi, in particolare di EPA e DHA.

 Azione antinfiammatoria
        Gli acidi grassi omega-3 sembrano svolgere un’importante azione antinfiammatoria che potrebbe essere fondamentale per il trattamento e la gestione di numerose patologie croniche o autoimmuni. Infatti gli omega-3 riducono l’infiammazione agendo sul recettore presente negli adipociti e sui macrofagi, cellule immunitarie ad azione infiammatoria.
        Alcuni studi hanno evidenziato che la supplementazione di omega-3 in pazienti affetti da artrite reumatoide riduce significativamente la sintomatologia, permettendo una riduzione del dosaggio dei farmaci antinfiammatori. Una dieta ricca di acidi grassi omega-3 sembra avere effetti positivi anche sull’osteoartrite e sui dolori articolari.
        Uno studio americano del 2006 ha riportato che l’assunzione di olio di pesce, ricco di omega-3, riduce significativamente la produzione di prostaglandine, agenti responsabili dei processi infiammatori.
        Un altro studio ha messo in evidenza il ruolo antinfiammatorio degli omega-3 nel trattare il dolore artritico, dimostrando l’effetto equivalente dell’ibuprofene e di EPA e DHA. L’80% dei pazienti trattati si è dimostrato soddisfatto dell’effetto degli acidi grassi sul dolore, senza riportare alcun effetto avverso.

Cancro
        L’equilibrio tra acidi grassi omega-3 e omega-6 sembra svolgere un ruolo importante nello sviluppo e nella crescita di alcune forme tumorali come il cancro al seno, al colon e alla prostata. Alcuni studi mostrano che gli omega-3, associati ad altri nutrienti, come la vitamina E e il beta-carotene, possono avere particolari funzioni nella prevenzione del carcinoma mammario.

 Problemi di vista
        Un grande studio epidemiologico ha confermato che consumare acidi grassi EPA e DHA dal pesce, 4 o più volte a settimana, reduce il rischio di sviluppare degenerazione maculare.

 Malattia di Alzheimer e disordini mentali
        Molti studi hanno mostrato che un apporto insufficiente di omega-3 (DHA) potrebbe essere un fattore di rischio per la malattia di Alzheimer e altri tipi di demenza. Infatti alti livelli di DHA nel sangue sono correlati ad significativo abbassamento del rischio di declino cognitivo. Sono in corso attualmente trials clinici sull’assunzione di omega-3 per valutare i benefici cognitivi in caso di patologie con medio grado di gravità.
        Gli omega-3 sono componenti fondamentali delle membrane cellulari nervose; aiutano la comunicazione neuronale, essenziale per una buona salute mentale. In particolare, il DHA è coinvolto in numerosi processi nervosi che comprendono la formazione di sinapsi, la differenziazione neuronale e la generazione di metaboliti attivi. Sembra che il consumo di acidi grassi riduca i sintomi depressivi e migliori la condizione dei pazienti con disturbo bipolare e schizofrenia. Anche i bambini affetti da disturbi dell’attenzione o iperattività beneficiano degli effetti degli acidi grassi; è stato dimostrato un miglioramento nella lettura, nel linguaggio e nel comportamento.

 Apporto nutrizionale raccomandato e fonti di acidi grassi
        La fonte primaria di acidi grassi è il pesce. Molte agenzie promuovono l’assunzione di pesce almeno 2 volte a settimana. Le autorità europee hanno stabilito che un adulto dovrebbe consumare 2g/die di ALA e 250g/die di EPA e DHA, mentre si raccomanda di introdurre 10g/die di acido linoleico.
        È importante mantenere un apporto bilanciato di omega-3 e omega-6, perchè le due sostanze lavorano insieme per promuovere la salute. La dieta mediterranea consente un equilibrato apporto tra acidi grassi.
Похожее изображение
Gli Omega-3 e gli Omega-6 generalmente si trovano nei seguenti alimenti:


  • Pesce (tonno, salmone, sardine)
  • Olio di pesce (EPA e DHA)
  • Crostacei (EPA e DHA)
  • Noci (ALA) e frutta secca
  • Legumi
  • Oli vegetali (ALA)



Fonte
Essential fatty acids

PARTO IN CASA. UN’OSTETRICA RACCONTA

        Abito a Gravedona in provincia di Como, ho 35 anni ed ho iniziato la mia professione di ostetrica nel 1996 dopo aver terminato gli studi infermieristici ed ostetrici incominciati nel 1990.
        Inizialmente lavoravo presso il reparto di ostetricia in un piccolo ospedale italiano, ma l’attività svolta non mi soddisfaceva completamente.
neonato mani        Allora ho deciso di cambiare e sono stata assunta nella sala parto dalla clinica privata Sant’Anna del Luganese e vi sono rimasta sette anni.
        Nel 2005 ho poi ricoperto il ruolo di capo reparto infermiera-ostetrica presso l’unità di maternità/neonati/ginecologia e sale parto dell’ospedale Civico di Lugano fino alla nascita di mio figlio Elia nel 2009.

         Infatti, per dedicarmi pienamente a lui, ho poi preferito lavorare come saltuaria dando la mia disponibilità sia come infermiera che come levatrice nella sede dell’Ospedale Civico e in quella dell’Ospedale Italiano.
        Contemporaneamente ho iniziato a lavorare anche sul territorio del Ticino come Levatrice Indipendente, dopo essermi iscritta alla Federazione Svizzera delle Levatrici, e mi sto occupando prevalentemente dei parti in casa di cui voglio parlarvi in questo articolo.
        Io stessa ho vissuto due anni fa attraverso il parto tra le mura della mia casa un’esperienza gratificante sia come mamma che come levatrice.

PERCHE’ IL PARTO A CASA

        A casa il parto viene vissuto come fatto sociale e restituito ai suoi protagonisti. La nascita risponde ai bisogni di intimità, libera scelta, familiarità e protezione di mamma e bambino. L’accoglienza amorevole del neonato è fatta di rispetto per i suoi bisogni e per i suoi tempi.
Картинки по запросу PERCHE’ IL PARTO A CASA
I motivi che oggi portano operatori, donne e coppie a questa scelta sono proprio da ricercarsi essenzialmente nel desiderio di una migliore qualità dell’esperienza del parto in particolare, della vita e delle relazioni in generale. Oggi il parto a domicilio per la donna rappresenta la possibilità di partorire in modo spontaneo e naturale, di poter accogliere e tenere con sé il proprio bambino ininterrottamente, di essere rispettata nei suoi bisogni, nella sua sessualità e di essere protagonista della sua esperienza senza interferenze non desiderate.
        Le donne, che hanno scelto di vivere la gravidanza, il parto e l’esogestazione come ricerca personale decidendo di avere il loro bambino a casa, sono divenute promotrici di nuove modalità di vita e le hanno estese anche nelle relazioni con gli altri e con l’ambiente sociale.

 AUMENTANO I RISCHI?
        La letteratura medica dimostra che il parto fisiologico a domicilio, assistito secondo precisi criteri, è sicuro quanto quello in ospedale e dà maggiore soddisfazione alla donna e alla coppia. Ciò non significa che non vi saranno mai esiti negativi, considerando l’esistenza dell’imponderabile anche in ostetricia, ma saranno uguali o inferiori a quelli in ospedale.
        Dati del 1988 ricavati da uno studio di Huisjes H.J. in Olanda, dove il 40% della popolazione partorisce in casa, indicano una mortalità perinatale del 1,9 per mille, dovuta per lo più a malformazioni fetali incompatibili con la vita; altre casistiche la indicano tra l’1 e il 2 per mille.
Invece la morbilità dei bambini avuti tra le mura della propria abitazione è nettamente inferiore a quella dei bambini nati in ospedale da parti fisiologici.
        M. Wagner, epidemiologo dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), dimostra in una sua ricerca che la mortalità perinatale a domicilio (nei paesi occidentali), sia nei parti fisiologici che in quelli a medio rischio, è inferiore a quella in ospedale, e quindi conclude che il parto in casa, se non addirittura più sicuro di quello in ospedale, sicuramente non lo è di meno.

         Del resto le condizioni di sicurezza mai nella storia sono state così ottimali come oggi, quando le donne si trovano generalmente in un buono stato di salute e in buone condizioni socio-economiche nonché sono disponibili le tecnologie diagnostiche e una rete ospedaliera ben distribuita sul territorio, con servizi di trasporto efficienti nei casi di bisogno.
        Un dato da evidenziare è che l’85% delle donne in attesa presenta situazioni fisiologiche che possono rimanere tali con una buona assistenza ostetrica di base.
        Inoltre sottolineo che il rapporto interpersonale con la donna o la coppia, la condivisione della responsabilità, la conoscenza dei processi globali e l’uso dei criteri di valutazione ampliati garantiscono un’ampia sicurezza nella diagnosi molto precoce e la conseguente possibilità di promuovere un intervento adeguato prima che si manifestino patologie vere e proprie.
        Tali fattori sono elementi di tranquillità non solo per la levatrice, ma anche per la futura mamma. Se essa conosce meglio se stessa, impara ad ascoltarsi, sviluppando un’aumentata sensibilità verso il suo corpo, e sarà in grado di mantenere la sua salute percependo con rapidità eventuali disfunzioni.

LA LEVATRICE PROFESSIONISTA COMPETENTE
        Nel parto in casa la levatrice veglia sul benessere di mamma e bambino con professionalità e discrezione relazionandosi non solo con la donna, ma anche con il suo partner, con gli altri figli e con i parenti nella cui vita entra per un breve periodo.
        La sua funzione principale diventa quella di vigilare sulla salute di madre e bambino, di prevenire patologie, di ristabilire la salute là dove si creino delle disarmonie, indirizzando sempre verso la fisiologia, attraverso il necessario supporto emotivo e gli strumenti adeguati per vivere attivamente l’esperienza di madre. Ciò avverrà in continua e stretta collaborazione con la figura del ginecologo che in caso di necessità sarà prontamente coinvolto.
        Infatti la levatrice in base al percorso formativo e alle leggi vigenti assiste in piena autonomia e responsabilità durante la gravidanza ed è in grado di individuare le situazioni che necessitano della consulenza medica specialistica prendendone direttamente contatto.

         Non vuole sottrarre la donna alla figura del ginecologo, ma vuole con lui operare in gravidanza e durante e dopo il parto.Ad essa in particolare spetterà il serio compito della selezione, cioè della procedura di valutazione dinamica e costante, il cui scopo è quello di trarre una linea di demarcazione tra fisiologia e patologia, di riconoscere le situazioni “borderline” (cioè ai limiti) o non più fisiologiche, ma non ancora patologiche, e di richiedere per esse un consulto con uno specialista.
        Alle donne selezionate sarà sconsigliato di partorire a domicilio o, se la selezione avviene durante il travaglio, sarà consigliato il trasferimento in ospedale.
        Assistita con esperienza e competenza la futura mamma instaura durante la gravidanza un rapporto di fiducia e di sicurezza, con un uso della tecnologia non estremo, il tutto in un ambiente non medico, rispettando precisi parametri di sicurezza dettati dalla legge.

        La levatrice può offrire un’assistenza personalizzata: accompagna e supporta nell’intero percorso della maternità, aiuta a comprendere meglio il proprio corpo e a fare scelte opportune per la salute di mamma e bambino, facilita i passaggi difficili sempre vicina nei momenti di gioia e di dolore.
        Durante le visite mensili essa compie una valutazione clinica completa e dedica tempo e spazio all’ascolto di ciò che la donna riporta di sé, del proprio bambino, della sua vita familiare e sociale.
Nei diversi incontri durante la gravidanza, stabilisce con i genitori una relazione intima, conosce la loro storia, i bisogni, i desideri, risponde a dubbi e domande, attiva le risorse personali, restituendo sicurezza e competenza.
        Essa è sempre disponibile durante tutto il percorso ed in particolare si rende reperibile 24 ore su 24 dalla trentasettesima alla quarantaduesima settimana per il travaglio e il parto a domicilio quando la donna ha bisogno di sentirsi protetta e rispettata nella sua privacy e la presenza di una competente persona di fiducia le permette di aprirsi emotivamente, di sentirsi più sicura e di migliorare esito e vissuto.
        La levatrice a casa può sostenere i genitori nell’accudire il bambino: primi bagnetti, cura dell’ombelico, pianto, allattamento, svezzamento rafforzando le competenze individuali.
Per le donne che invece decidono di partorire in ospedale assistite da un ginecologo essa può comunque costituire una figura di supporto che garantisce un’assistenza specifica e continuativa a domicilio.

LA MIA ESPERIENZA PERSONALE
        Illustrare e mettere in luce il significato e il valore di una nascita che avviene in casa non è impresa da poco! Ma visto che questo tema mi piace particolarmente… ci provo…
Картинки по запросу PARTO A CASAPartiamo da un dato certo, in cui molti si riconosceranno: il parto in casa oggi è considerato dalla stragrande maggioranza delle persone (inclusi gli addetti ai lavori) un tabù: NON se ne parla, NON è un argomento che sfiora i pensieri di una coppia in attesa.
        Nei corsi prenatali è raro trovare genitori che facciano domande sulla possibilità di partorire il proprio bimbo a domicilio! Le richieste sono poche…ma perché?
        Nonostante gli studi più recenti e la letteratura scientifica affermino che il parto “programmato” a casa non crea più problemi per mamma e bambino rispetto ad una nascita in ambiente ospedaliero, si continua ad alimentare la paura e la filosofia del “e se succede qualcosa”?

        Riflettiamo, cosa intendiamo con evento sicuro? Quali garanzie ci sono a casa?
Il parto a domicilio avviene nell’ambito della fisiologia: un momento di grande salute in cui la biologia femminile esprime tutta la sua forza e potenza.
        Fisiologiche sono tutte quelle funzioni che non hanno bisogno di aiuti esterni e tanto meno tecnologici per avvenire.
        L’etimologia stessa della parola “fisiologia”, derivata dal greco, è “scienza della natura”. Quindi, per avere degli esiti favorevoli, con dati, numeri e percentuali di mamme e bambini in miglior stato di salute alla nascita, bisogna cercare di stare nella fisiologia, non alterarla!
Ottenere ciò a casa è molto più semplice e naturale in quanto il controllo è dato alla donna o coppia.
        È la donna o la coppia che sceglie, che decide “quando” chiamare la levatrice con la quale si è creato un rapporto di reciproca fiducia.
        La levatrice entra in casa del nuovo nascente in punta di piedi, silenziosamente, chiedendo il permesso! A casa la donna usa le sue risorse con i suoi tempi ed i suoi ritmi. Anche il bambino viene accolto in modo fisiologico, e qui si potrebbe aprire un intero trattato, nessuno lo disturba perché non c’è bisogno di fare niente se non tenerlo al caldo con sua madre e suo padre!

        Noi levatrici ci limitiamo a vigilare, osservare, ad esserci… senza necessariamente compiere interventi esterni. Seguiamo linee guida nazionali e siamo attrezzate per l’emergenza di primo livello nei momenti di necessità. Ma le linee guida non sono protocolli imperativi: sono una “guida”, uno strumento di riferimento per assumere decisioni, raccomandazioni per compiere scelte da condividere però sempre con la diretta interessata:la donna!
        La futura mamma, nella propria casa, è l’autonoma protagonista della sua gravidanza e del proprio parto… Ma quante donne, in relazione alla nascita del proprio bambino, pensano: ”ok piccolo, siamo tu ed io a giocare la partita! Stai tranquillo, mamma ce la fa! Sono capace… o almeno ci provo! So che anche tu conosci la strada o almeno proverai! Bene, coraggio, ci aiuteremo a vicenda!… .Non siamo soli, c’è anche papà, qualcosa saprà fare pure lui! (?) Ah, poi le levatrici… loro ne hanno viste di nascite!”

        Quante donne oggi decidono di assumersi la responsabilità della nascita del proprio figlio?
Di solito dicono: “… Andiamo lì a partorire, ne ho sentito parlar bene… sono bravi!
… Sapranno cosa fare! … Le levatrici sono bravissime e ti aiutano… poi c’è l’epidurale, al limite il taglio cesareo… sì, lì te lo fanno!…”
        Questi pensieri denotano la volontà di attribuire a risorse esterne e ad altri ogni competenza: aspettative altissime, responsabilità circa l’esito del parto scaricate tutte su operatori sanitari e ospedale!
        Ma questi sono spesso i pensieri degli stessi operatori dei punti nascita che, così facendo, favoriscono la mentalità di delega, in grado di creare dipendenza.
        È così che nasce l’ostetricia difensiva, in cui solo il seguire interventi standard preserva dalle denunce: “… io ho seguito i protocolli…”, ed in tal modo ci si sente protetti e al sicuro nell’ambiente medicalizzato anche se le percentuali di ricorso ad induzioni farmacologiche e parti operativi cresce a dismisura: meno salute per donna e bambini, maggiore spesa sanitaria per tutti.

        Perché allora stupirsi dell’esistenza di così tanti “pregiudizi” sul parto a casa e così poche richieste?
        Decidere per il parto a casa presuppone “cambiare” in prima persona il modo di affrontare la nascita e, soprattutto, acquisire piena consapevolezza delle tante e significative potenzialità che sono in tutti noi!
        La decisione di compiere una scelta così diversa da quello che “fanno tutti” va attentamente ponderata, ci si deve interrogare a fondo, riflettere.
        Si tratta di compiere un percorso non facilissimo, come per tutto ciò che va controcorrente e che non trova un’immediata approvazione da parte di amici, parenti, medici. Un percorso che però risponde a bisogni profondi di protezione,
personalizzazione, unicità, intimità e che porta a grandi soddisfazioni!
        Ho accompagnato solo otto donne nel parto in casa sino ad ora, ma spero di aumentare tale cifra, soprattutto per permettere alle future mamme di vivere un’esperienza gratificante e sfatare tanti pregiudizi e tabù.