giovedì 29 agosto 2019

La medicina non risolve tutti i casi di infertilità: l’informazione corretta che manca alla Pma

         La Pma in Italia è ancora un tabù, “una scelta che si fa ma non si dice” Sono passati più di 40 anni dalla nascita di Louise Brown, la prima bambina in provetta. Nonostante questo, in Italia la procreazione medicalmente assistita (Pma) continua a essere vissuta come “un tabù, una cosa che si fa ma non si dice”. Ne è convinta la ginecologa Alessandra Vucetich che in questa chiacchierata fa il punto sulla legge 40.
       Qualche settimana fa, alla Casa delle Donne di Milano, disse che l’idea di fare figli quando si vuole è un “grande inganno”. Ce lo spiega?
       « Negli ultimi decenni si è diffusa una falsa credenza: che ognuno possa gestire il proprio percorso procreativo senza tenere conto del tempo che passa. Le donne hanno deciso di posticipare sempre più la ricerca di un figlio, convinte del fatto che “tanto poi la medicina avrebbe risolto tutti i casi di infertilità”. Questa convinzione invece è sbagliata, un grande inganno che sta penalizzando soprattutto le donne di 35/40 anni le quali hanno ignorato il fatto che con il progredire dell’età la fertilità femminile si riduce in maniera considerevole. Esistono giustamente campagne informative per molti problemi di salute (tipo il diabete, le malattie cardiovascolari, i tumori) ma non c’è nulla di simile nel campo del benessere riproduttivo e della preservazione della fertilità. Non è il caso di ripescare gli slogan ideati dal ministero della Salute per fertility day del 2016, quelli con la clessidra e il claim “Datti una mossa, non aspettare la cicogna”. Però credo serva una maggiore informazione culturale e sociale che aiuti le giovani a fare delle scelte consapevoli, prima che sia troppo tardi»

       Alcuni sostengono che la crioconservazione di ovociti potrebbe evitare molte delusioni, soprattutto dopo i quaranta anni. Cosa ne pensa?
       « Da pochissimi anni è possibile raccogliere e congelare sotto azoto gli ovociti di una donna fino a quando non si manifesti per lei la necessità di utilizzarli in un percorso di fecondazione extracorporea. Questa tecnica (che dovrebbe essere effettuata preferibilmente tra i 25 e i 35 anni), costituisce una buona possibilità di preservare la propria fertilità. Al momento se ne parla poco e invece credo che le nuove generazioni debbano essersene informate. Anche della possibilità di donare ovociti e spermatozoi si parla pochissimo. I nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza- ndr) prevedono l’attuazione di campagne di informazione e incentivazione a favore della donazione di cellule riproduttive (ovociti, spermatozoi). Ma queste indicazioni sono disattese. Proprio pochi giorni fa, domenica 14 aprile, è stata la giornata nazionale della donazione di organi: con rammarico ho notato che sui media non si è parlato di donazione di gameti. Credo che l’opinione pubblica non venga deliberatamente aiutata a diventare consapevole di questa possibilità. Eppure, dato che il nostro è uno dei paesi europei con i più alti tassi di fecondazione eterologa (con donazione di cellule riproduttive da soggetto terzo), la penuria di gameti ha conseguenze pesantissime: siamo costretti ad acquistare ovuli e spermatozoi dalle banche estere anche per quei trattamenti che vengono poi eseguiti in Italia, in alcuni casi a carico del sistema sanitario nazionale (come avviene in Toscana ed in Friuli). Evidentemente si preferisce tenere sotto traccia questo fenomeno».

Come mai?
       «Devo dire che tutto il tema della Pma è considerato ancora un grande tabù. Non solo dalla politica, ma anche dalla società. Il percorso di Pma viene rimosso, taciuto o negato anche da parte delle persone che vi ricorrono, le quali spesso considerano l’esperienza come un passaggio da “non dire”, da non condividere con amici e famigliari, quasi da nascondere».

Perché si nasconde?
       «Credo che questo dipenda in parte dal fatto che il livello di empatia verso le sofferenze delle coppie che non riescono a concepire un figlio è davvero molto basso. Alcune donne vorrebbero informare la famiglia o le amiche del loro percorso ma temono di venire malgiudicate. Soprattutto nel caso di fecondazione eterologa, che da molti è ancora considerata una scelta astrusa, bizzarra, fuori da ogni logica, sintetizzata dalla classica frase: “ma è il figlio di un’altra”. Se si tratta di fecondazione omologa entra in gioco anche la ferita narcisistica. Ad esempio nella competizione fra donne, purtroppo, capita frequentemente il caso di una donna che dice all’amica infertile “oh poverina! Io invece guarda dopo due tentativi sono rimasta incinta!”. Negli ultimi anni la cosa è leggermente cambiata: sono molte di più le coppie che stanno attraversando questi momenti di sofferenza e questi difficili percorsi di trattamento.E si nascondono meno che in passato».

Le è capitato di negare ad una coppia l’acceso alla PMA?
       «Sì, devo dire che mi capita con una certa frequenza: a volte la donna che ho davanti non è, per vari motivi, una buona candidata. In questi casi si ha assolutamente il diritto-dovere di dire “no”, con partecipazione ma con franchezza. In ogni modo, la legge italiana, seppure in maniera imprecisa, definisce il limite legittimo di ricorso a procedure di fecondazione eterologa per le coppie in cui la donna non abbia superato l’età della menopausa fisiologica, quindi circa 50 anni».

Pensa ci possa essere “obiezione di coscienza” nel mondo della PMA?
       « Ritengo che la fecondazione assistita non sia passibile di “obiezione di coscienza”. Conosco molti clinici cattolici che lavorano senza alcuna difficolta in questo ambito che offre vita. Per il medico è più immediata la scelta di curare la coppia uomo-donna infertile, perché questa assistenza si richiama in maniera più diretta alla risoluzione di una patologia, ma non penso sia diverso assistere una donna single. Non ho esperienza di coppie maschili omosessuali ma ritengo che in questi casi non sia un dovere del medico intervenire: non si configura alcuna patologia, ma si applica semplicemente una tecnologia».

       Nel 2004 la filosofa Mary Warnock (morta alcune settimane fa) pubblicò un libro dal titolo “Fare i bambini. Esiste un diritto ad avere figli?”, sottolineando come molte persone reclamassero come un diritto l’accesso alla procreazione assistita. Cosa ne pensa?
«Non ho un’idea precisa rispetto al diritto di fare figli, credo sia in parte plausibile che io non l’abbia. Il mio personale parere in merito si può riassumere così: quando le cose diventano possibili è abbastanza inutile operare in maniera proibizionista. Bisogna invece far conoscere e regolamentare, attraverso lo strumento legislativo, le opportunità offerte dalle nuove applicazioni di scienza e tecnologia. Anche con divieti, se occorre, ma sapendo bene che in un mondo globalizzato queste scelte verranno facilmente agite altrove e potranno risultare alla fine più dannose e meno controllabili per i cittadini. Questo è stato il demerito della brutta legge 40/2004: proibendo in maniera indiscriminata molte procedure di Pma nei centri italiani ha di fatto lasciato che i propri cittadini emigrassero in altri paesi senza che fosse loro garantita la qualità dei Centri, e senza che potessero ricevere l’assistenza dei propri specialisti. Le cose sono molto cambiate anche se molto, appunto, resta ancora da fare».

Fonte https://27esimaora.corriere.it/19_aprile_26/medicina-non-risolve-tutti-casi-infertilita-l-informazione-corretta-che-manca-pma-9d76bbde-67ea-11e9-9924-a3f7289eca7e.shtml

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