Per alcuni è uno dei tanti paradossi cinesi. Nel 2015, 36 anni dopo la sua introduzione, Pechino, anche al fine di ringiovanire la forza lavoro del Paese, ha abolito la politica del figlio unico come metodo di controllo demografico. Tutti liberi di avere figli a piacimento, con gli esperti pronti a rivedere le stime sul nuovo picco delle nascite nell’ex Impero di Mezzo, anticipandolo di dieci anni, dal 2030 al 2020. Due anni dopo, accade invece che un numero crescente di cinesi si scopre sterile. Sono milioni le coppie costrette a rivolgersi alle cliniche di fecondazione assistita. Alimentando un business che, scrive Bloomberg, potrebbe presto arrivare a 15 miliardi di dollari l’anno.
Secondo Yanzhong Huang, capo delle ricerche sulla salute al Council on Foreign Relations, la conta spermatica, che misura la concentrazione di spermatozoi nell’unità di volume di un millilitro, è scesa in Cina dai 100 milioni del 1970 ai 20 milioni del 2012. Le cause sarebbero l’accresciuto livello di stress legato allo sviluppo economico, l’inquinamento, i matrimoni e i parti in età matura, il consumo di alcol e sigarette. Da un recente studio condotto in una regione della Cina centrale è emerso che solo il 18% dei maschi esaminati aveva uno sperma di qualità tale da poter essere donato, contro il 56% registrato da una analoga ricerca nel 2001.
Per una coppia cinese una terapia di fecondazione in vitro (Ivf) può arrivare a costare fino a 100 mila yuan (14.700 dollari) a tentativo. Secondo uno studio di BIS Research, nel 2016 il solo mercato relativo a questa tecnica di fecondazione in Cina valeva 670 milioni di dollari e arriverà a 1,5 miliardi entro il 2022. Mentre la società di servizi finanziari Hua Chuang Securities Co., assumendo che il 65% delle coppie cinesi sterili decida di ricorrere al trattamento, e calcolando una spesa media di 40.000 yuan per coppia, stima che il mercato delle riproduzione assistita in Cina raggiungerà in pochi anni 107 miliardi di yuan, vale a dire i 15 miliardi di dollari di cui sopra.
Un business a cui guardano con interesse non solo le aziende cinesi. Virtus Health Ltd, società australiana che offre trattamenti per la fertilità, ha stretto accordi con agenzie di turismo medico per organizzare i viaggi delle coppie cinesi nelle sue cliniche in Australia e a Singapore, tutte dotate di personale che parla mandarino. Ed è cinese il 20% delle coppie che si rivolgono al Southern California Reproductive Center di Beverly Hills, che consente anche di scegliere il sesso dell’embrione, pratica vietata in Cina. Per chi vuol spendere meno ci sono poi le cliniche di Singapore, Malesia e Tailandia
Chi non può andare all’estero deve accontentarsi delle sovraffollate cliniche della fertilità che stanno spuntando un po’ in tutta la Cina: 451, tra banche del seme e centri autorizzati, secondo la Commissione per la salute nazionale e la pianificazione delle nascite. Ma per chi opera nel Paese i paletti legali sono più rigidi che all’estero: alle donne single non è consentito fare congelare gli ovuli e le cliniche che offrono trattamenti di fecondazione in vitro sono costrette a sostenere per almeno due anni anche le spese per mantenere lo staff necessario a offrire l’opzione della fecondazione intrauterina (Iui).
Fonte http://www.pagina99.it/2017/07/24/cina-politica-del-figlio-unico-sterilita-bambini-figli/
Secondo Yanzhong Huang, capo delle ricerche sulla salute al Council on Foreign Relations, la conta spermatica, che misura la concentrazione di spermatozoi nell’unità di volume di un millilitro, è scesa in Cina dai 100 milioni del 1970 ai 20 milioni del 2012. Le cause sarebbero l’accresciuto livello di stress legato allo sviluppo economico, l’inquinamento, i matrimoni e i parti in età matura, il consumo di alcol e sigarette. Da un recente studio condotto in una regione della Cina centrale è emerso che solo il 18% dei maschi esaminati aveva uno sperma di qualità tale da poter essere donato, contro il 56% registrato da una analoga ricerca nel 2001.
Per una coppia cinese una terapia di fecondazione in vitro (Ivf) può arrivare a costare fino a 100 mila yuan (14.700 dollari) a tentativo. Secondo uno studio di BIS Research, nel 2016 il solo mercato relativo a questa tecnica di fecondazione in Cina valeva 670 milioni di dollari e arriverà a 1,5 miliardi entro il 2022. Mentre la società di servizi finanziari Hua Chuang Securities Co., assumendo che il 65% delle coppie cinesi sterili decida di ricorrere al trattamento, e calcolando una spesa media di 40.000 yuan per coppia, stima che il mercato delle riproduzione assistita in Cina raggiungerà in pochi anni 107 miliardi di yuan, vale a dire i 15 miliardi di dollari di cui sopra.
Un business a cui guardano con interesse non solo le aziende cinesi. Virtus Health Ltd, società australiana che offre trattamenti per la fertilità, ha stretto accordi con agenzie di turismo medico per organizzare i viaggi delle coppie cinesi nelle sue cliniche in Australia e a Singapore, tutte dotate di personale che parla mandarino. Ed è cinese il 20% delle coppie che si rivolgono al Southern California Reproductive Center di Beverly Hills, che consente anche di scegliere il sesso dell’embrione, pratica vietata in Cina. Per chi vuol spendere meno ci sono poi le cliniche di Singapore, Malesia e Tailandia
Chi non può andare all’estero deve accontentarsi delle sovraffollate cliniche della fertilità che stanno spuntando un po’ in tutta la Cina: 451, tra banche del seme e centri autorizzati, secondo la Commissione per la salute nazionale e la pianificazione delle nascite. Ma per chi opera nel Paese i paletti legali sono più rigidi che all’estero: alle donne single non è consentito fare congelare gli ovuli e le cliniche che offrono trattamenti di fecondazione in vitro sono costrette a sostenere per almeno due anni anche le spese per mantenere lo staff necessario a offrire l’opzione della fecondazione intrauterina (Iui).
Fonte http://www.pagina99.it/2017/07/24/cina-politica-del-figlio-unico-sterilita-bambini-figli/
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