La ricerca, coordinata da Foresta in collaborazione con il dottor Andrea Di Nisio del dipartimento di medicina Dimed, ha dimostrato per la prima volta a livello internazionale come circa il 20% dei Pfas presenti nel sangue sia poi ritrovato anche nel liquido seminale e in particolare negli spermatozoi, rappresentando pertanto un ulteriore fattore di rischio per la fertilità maschile. Questi risultati sono poi stati confermati pochi mesi dopo da una ricerca internazionale che ha confermato come a una maggiore concentrazione di inquinanti nel sangue corrispondesse anche una maggior quantità nel liquido seminale.
I dati presentati dal professor Foresta hanno dimostrato il legame dei Pfas sulla membrana cellulare, componente fondamentale per la funzionalità degli spermatozoi e che contiene tutti quei recettori e canali imprescindibili per la loro capacità fecondante. Analisi molecolari hanno permesso di evidenziare come i Pfas riescano a intercalarsi nella membrana stessa, dilatandola e aumentandone quindi la fluidità, un parametro indicativo di una minor stabilità della stessa. Questa alterazione comportava l'alterazione di diversi parametri fortemente dipendenti dalla membrana stessa, come la respirazione cellulare e la motilità degli spermatozoi, con conseguente riduzione della capacità fertilizzante.
I risultati di questo studio aggiungono un ulteriore tassello al più ampio spettro di manifestazioni cliniche associate all'esposizione ai Pfas, ormai ampiamente riconosciute a livello internazionale. La loro presenza sugli spermatozoi diventa però un ulteriore segnale di allarme, soprattutto qualora uno spermatozoo carico di Pfas dovesse comunque arrivare a fecondare l'ovocita, o venga utilizzato per tecniche di fecondazione in vitro, rappresentando quindi una sorta di cavallo di troia per il futuro embrione.
Fonte : https://www.veronasera.it/attualita/pfas-spermatozoi-11-ottobre-2020.html
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