sabato 17 ottobre 2020

Caffè: ecco quanto berne per trarre benefici per la salute

 Il caffè è una costante delle nostre giornate. Sveglia irrinunciabile (per molti) prima di andare al lavoro e «veicolo» di socializzazione nel resto della giornata, ogni connazionale ne consuma in media 2 tazzine al giorno. Con quali ricadute per la salute? Stante questi consumi, i benefici sono in realtà superiori ai rischi. È questo il responso di una revisione dei lavori presenti in letteratura pubblicata sul New England Journal of Medicine. Ingollando a cadenza quotidiana fino a 4-5 tazzine della bevanda, se si è in condizioni di buona salute ed escludendo alcune fasi della vita della donna (gravidanza e allattamento), si riescono a sfruttare i molteplici effetti positivi indotti dalla bevanda, che determinerebbero una riduzione del rischio di sviluppare diverse malattie croniche. 

Considerando che il caffè e il tè sono le bevande più popolari consumate in tutto il mondo e contengono come ingrediente la caffeina, gli epidemiologi e i nutrizionisti delle scuole di salute pubblica delle università di Singapore e di Harvard hanno riassunto le ripercussioni per la salute legate al consumo quotidiano della bevanda (in larga parte associate a quello di caffeina). Ricco di antiossidanti, oltre che in grado di stimolare il sistema nervoso centrale, il caffè può essere consumato nelle quantità sopra indicate (dimezzate, per le donne incinte o in fase di allattamento) senza timori. Con 4-5 tazzine al giorno, infatti, difficilmente si superà un apporto di 400 milligrammi di caffeina, ritenuto sicuro per gli adulti sani sulla base delle evidenze disponibili. Discorso diverso per i neonati (da qui l'indicazione a dimezzare i consumi di caffè durante la gravidanza e l'allattamento) e per chi assume una serie di farmaci (broncodilatatori, antibiotici chinolonici, antidepressivi e antipertensivi). In quest'ultimo caso, la caffeina rischia di rimanere in circolo per un tempo superiore e di interferire con il metabolismo di alcune di queste molecole. Ragion per cui, se in terapia, può essere indicato un consumo leggermente inferiore di caffè (e di tutti gli alimenti contenenti caffeina). 

Molti di noi bevono il caffè al mattino, prima di dare il via alla giornata. E fanno una o più «ricariche» con il passare delle ore, per recuperare le energie necessarie ad arrivare alla sera. La ragione alla base di questi comportamenti è nota da tempo. Se assunta in dosi moderate (40-300 milligrammi), la caffeina può ridurre l'affaticamento, aumentare la vigilanza e accorciare i tempi di reazione. Effetti di questo tipo - si legge nel lavoro - sono stati più volte osservati sia in chi non consuma abitualmente caffè sia tra coloro reduci da un breve periodo di rinuncia. Proprietà note a tutti, ma soprattutto a chi è abituato a svolgere lavori routinari, però di lunga durata: come per esempio gli operai di una catena  di montaggio, ma anche i piloti degli aerei. Detto ciò, ricordano gli autori, non si può pensare che un elevato consumo di caffeina possa sostituire le necessarie ore di sonno. La stanchezza, oltre un certo limite, non può essere annullata da una o due tazzine di caffè in più al giorno. E, al contempo, occorre ricordare che un consumo eccessivo (o sbilanciato nella seconda parte della giornata) può rendere più faticoso il riposo notturno. A livello del sistema nervoso centrale, inoltre, la caffeina ha anche una funzione analgesica, di cui tenere conto (come elemento di supporto) per esempio quando si assumono antidolorifici.

LA CAFFEINA E LA MALATTIA DI PARKINSON

Rimanendo sempre sul tema della correlazione con la salute cerebrale, oltre alle evidenze emerse da alcune ricerche condotte su modelli animali, diversi studi hanno messo in risalto anche l'ipotesi che la caffeina protegga dall'insorgenza della malattia di Parkinson. Nulla da fare (almeno per il momento) invece per altre malattie neurodegenerative: a partire dall'Alzheimer per giungere a tutte le altre forme di demenza senile. Nonostante alcuni risultati incoraggianti tratti da studi preclinici e su modello animale, come documentato in ultima istanza da uno studio cinese pubblicato sulla rivista Geriatrics, Gerontology International, nell'uomo l'assunzione quotidiana di caffè non risulta associata a un rischio ridotto di sviluppare una di queste malattie. 

Che differenza c'è tra la malattia di Alzheimer e le altre demenze senili?

Se rispetto a quanto finora descritto sembrano non esserci novità, la review fa chiarezza su quelle che sono le evidenze disponibili circa il rapporto tra la caffeina e la salute cardiovascolare. Nel breve termine, la sostanza psicoattiva può far aumentare i livelli della pressione sanguigna. Mantenendo i consumi regolari, però, nel tempo l'organismo sviluppa una forma di tolleranza che pone i consumatori più assidui al riparo dal rischio di sviluppare l'ipertensione a causa del caffè. A smorzare l'effetto sulla pressione sanguigna, anche tra coloro che partono già ipertesi, potrebbe essere l'acido clorogenico contenuto nella bevanda. Ragion per cui non ci sono evidenze per caldeggiare il divieto di bere caffè se si tende ad avere la pressione alta. Quanto alle ricadute sui valori di colesterolo, i più sfavoriti sono i consumatori di caffè non filtrato. A seguire coloro che prediligono l'espresso, il caffè della Moka e l'istantaneo. Per questo, sulla base delle prove disponibili, il messaggio che emerge è il seguente: limitando il consumo di caffè non filtrato e rispettando le quantità indicate per le altre varianti, si possono tenere sotto controllo i livelli di colesterolo (totale e Ldl) nel sangue. Il consumo di caffè non sembra infine aumentare il rischio di ammalarsi di fibrillazione atriale, di sviluppare una malattia delle coronarie o un ictus cerebrale.  

Fonte https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/caffe-ecco-quanto-berne-per-trarre-benefici-per-la-salute

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