venerdì 9 ottobre 2020

Infertilità: quando la cicogna non arriva

 Le aspettative di una coppia che decide di avere un bambino sono in genere molto elevate. Non sempre, però, il figlio arriva ai primi tentativi. Quanto tempo bisogna aspettare prima di cominciare a rivolgersi a uno specialista e fare delle indagini?

Quanto conta l’età?

“Il primo fattore da considerare”, risponde Enrico Ferrazzi, direttore della Clinica Ostetrico-ginecologica dell’Ospedale Vittore Buzzi, Università degli Studi di Milano, “è l’andamento della fertilità femminile, che ha il suo apice intorno ai 20-24 anni: a questa età, una donna che ha rapporti nei giorni fecondi ha il 25% di possibilità di concepire un bebè.

La fertilità si riduce progressivamente nel decennio successivo e per una donna di 33-34 anni le probabilità si aggirano intorno al 18-20%, per scendere ancora intorno ai 40 anni, quando la percentuale di probabilità è del 5% circa. Questo significa che una quarantenne che desidera avere un figlio, per arrivare al 100% di probabilità di concepimento potrebbe dover aspettare ben due anni, ovvero il corrispettivo di 20 ovulazioni, prima di veder realizzato il suo desiderio”.

Il periodo che intercorre fra i primi tentativi e la decisione della coppia di rivolgersi a un medico esperto deve quindi essere correlato all’età della donna. “Al di sotto dei 30 anni, può essere ragionevole aspettare 12 mesi”, dice Ferrazzi, “mentre oltre questa età il tempo si dimezza a sei mesi o anche meno se la donna ha superato i 37-38 anni”.

I primi accertamenti

Il consiglio è di rivolgersi a un Centro di Assistenza alla Riproduzione o a un ginecologo specializzato. “Negli ultimi 15 anni la medicina della riproduzione ha fatto grandissimi passi avanti dal punto di vista diagnostico e terapeutico, diventando una branca complessa”, sottolinea Ferrazzi. “Rivolgendosi a medici esperti si ha la garanzia di non perdere tempo, riducendo così lo stress che, tra l’altro, influisce fortemente sulla infertilità”.

Ma quali sono gli accertamenti cui si viene sottoposti? “Con tecniche ormonali o ecografiche, viene controllata la funzionalità dell’apparato riproduttivo femminile (ovaio, tube, utero) e si eseguono gli esami per verificare che non ci siano problemi di tipo infettivo o infiammatorio che potrebbero alterare la fertilità”, afferma lo specialista. “Contemporaneamente, tramite uno spermiogramma, viene controllata la fertilità del liquido seminale maschile, quanti spermatozoi ci sono e quanto sono efficaci”.

I problemi più frequenti

I motivi per cui la cicogna tarda ad arrivare possono essere diversi.

“In buona parte si tratta di problemi ovulatori o di alterazioni alle tube che ne compromettono il funzionamento”, spiega Ferrazzi. “Spesso, la causa dell’infertilità femminile è da ricercarsi in infezioni, anche pregresse, che talvolta la donna non sa nemmeno di avere contratto, come per esempio la Clamidia. Una piccola percentuale di donne sterili, infine, presenta lesioni all’utero. Quasi in un caso su due il problema dipende invece dall’uomo, e si parla quindi d'infertilità maschile. Ed esiste anche una grossa percentuale di casi di infertilità di cui non si riesce a conoscere le cause".

Terapie mirate

I supporti medici per una coppia a rischio di infertilità procedono a step. “Un primo livello prevede interventi semplici, atti a favorire il concepimento”, spiega Ferrazzi. “Si tratta, per esempio, di un trattamento ormonale per un miglioramento qualitativo dell’ovulazione o, se il problema è legato al liquido seminale maschile, della selezione degli spermatozoi migliori per una inseminazione endouterina: gli spermatozoi selezionati vengono immessi nell’utero durante il periodo ovulatorio.

Quando il problema è più complesso - per esempio, se è compromessa in modo permanente la funzionalità delle tube, oppure non ci sono spermatozoi sufficienti per un’inseminazione endouterina, - si passa invece alle terapie di assistenza alla fertilizzazione in vitro: l’ovocita, sotto guida ecografica, viene prelevato dall’ovaio, fertilizzato in una speciale provetta con il liquido seminale e quindi rimesso in utero per l’impianto”.

Tempo e impegno per la coppi

Ma quanto tempo è richiesto alla coppia che inizia questo iter? “Per i primi accertamenti diagnostici vanno preventivati uno o due mesi circa”, risponde l’esperto.

“Per quanto riguarda i trattamenti, invece, dipende dalla complessità dell’intervento che si è stabilito di effettuare. Certo, la fecondazione in vitro richiede un notevole impegno: occorre controllare tutti i giorni o a giorni alterni i follicoli e i livelli ormonali, bisogna stabilire un giorno specifico per il prelievo dell’ovocita, e così via. Senza contare che si tratta di una procedura carica di aspettative. Una certa dose di ansia e di stress deve essere messa in conto e spesso la vita di coppia ne risente…”.

Quando a non arrivare è il secondo figlio

E se a creare problemi è la seconda gravidanza? “Può darsi che tra la nascita del primo figlio e il tentativo di concepire il secondo si sia aspettato qualche anno: va quindi considerato che la fertilità può aver subito un calo fisiologico”, dice il professor Ferrazzi. “Così come, nel frattempo, potrebbe essere sopravvenuto un problema che ostacola il concepimento, come un’infezione o un’alterazione dell’apparato riproduttivo. In ogni caso, l’iter degli accertamenti non cambia”.

Il fumo: un nemico da evitare

La donna che fuma oltre 15 sigarette al giorno è a rischio di infertilità: le sigarette, infatti, alterano il movimento delle cellule dotate di ciglia (nel caso specifico, quelle deputate a trasportare l’ovocita dentro la tuba). E il problema sussiste anche al maschile, col rischio di alterazioni degli spermatozoi. Ecco perché, in alcuni paesi europei, se uno dei due partner è un fumatore, la coppia non viene ammessa alle cure pubbliche di assistenza alla riproduzione.

Fonte https://quimamme.corriere.it/rimanere-incinta/infertilita/infertilita-se-la-cicogna-e-in-ritardo

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