Sopravvissute, ma con gli ormoni sballati, le ossa che si sbriciolano, senza la possibilità di avere figli. Succede a tantissime donne, ed è molto più di un danno collaterale. Una chemioterapia particolarmente aggressiva può portare alla menopausa precoce ragazze di vent’anni, può condannare le bambine all’infertilità.
Significa che, una volta sconfitta la malattia, queste giovani donne possono ritrovarsi non solo a non poter più avere figli, ma anche con maggiori probabilità di sviluppare osteoporosi, ictus, infarti. Rischi che si possono superare con le più moderne tecniche di conservazione del tessuto ovarico, di cui il Sant’Orsola è leader in Italia. Se ne parlerà oggi a Palazzo Re Enzo, in un convegno organizzato dal direttore dell’Unità operativa di ginecologia e fisiopatologia della riproduzione, Renato Seracchioli.
«Abbiamo iniziato nel 2002 - spiega Raffaella Fabbri, la biologa responsabile del progetto - e siamo diventati il centro di riferimento nazionale per la crioconservazione del tessuto ovarico. Prima mi occupavo del congelamento degli ovuli, ma il tessuto ovarico offre molte più possibilità, permette di ripristinare la funzionalità ormonale. Ad oggi, abbiamo fatto circa 900 espianti, duecento dei quali di bambine, e 27 reimpianti. È un percorso lungo, perché bisogna aspettare che la paziente sia completamente guarita e che gli oncologi dicano che è fuori dal rischio di recidive: di solito ci vogliono almeno cinque o sei anni dalla fine della chemio, in alcuni casi anche dieci». Ma succede. Ad oggi sono già cinque le gravidanze avviate in donne alle quali era stato congelato il tessuto ovarico proprio al Policlinico: due non sono andate a buon fine, una è in corso e due bambini sono già nati.
«Non ho avuto neanche le nausee, non mi sarei mai aspettata che sarebbe potuta andare così bene», dice Sofia (il nome è di fantasia), 37 anni, medico a Brescia. Ha partorito nel luglio del 2018, sei anni dopo la diagnosi di un linfoma non hodgikn. «Mi ero appena sposata e mi ritrovavo coi progetti da buttare, così ho deciso di darmi questa possibilità, anche se non mi sono mai permessa di illudermi - racconta -. Perché l’ho fatto? Diciamo che la terapia la fai sapendo che starai male, ma vivi l’adrenalina del momento: poi quando tutto è finito vorresti chiudere il capitolo e riprendere la tua vita dove l’avevi messa in pausa, ma se ti trovi in menopausa a trent’anni non è così facile, cambia completamente la tua prospettiva».
Fabbri cita il caso di una ragazzina di 14 anni, con un sarcoma di Ewing. «Dopo la terapia ci ha chiesto di reimpiantare un pezzettino del suo tessuto perché voleva avere le mestruazioni come le sue amiche. Quando vengono a conoscenza del tumore una delle domande più importanti delle pazienti è: c’è la guarigione? Quale sarà il mio futuro? Potrò essere madre? Potrò avere una vita normale? Fare questa operazione le aiuta a pensare che un futuro c’è».
Fonte https://bologna.repubblica.it/cronaca/2020/02/20/news/gravidanza_con_la_conservazione_del_tessuto_ovarico_il_sant_orsola_da_lezione_in_italia-249100582/
Significa che, una volta sconfitta la malattia, queste giovani donne possono ritrovarsi non solo a non poter più avere figli, ma anche con maggiori probabilità di sviluppare osteoporosi, ictus, infarti. Rischi che si possono superare con le più moderne tecniche di conservazione del tessuto ovarico, di cui il Sant’Orsola è leader in Italia. Se ne parlerà oggi a Palazzo Re Enzo, in un convegno organizzato dal direttore dell’Unità operativa di ginecologia e fisiopatologia della riproduzione, Renato Seracchioli.
«Abbiamo iniziato nel 2002 - spiega Raffaella Fabbri, la biologa responsabile del progetto - e siamo diventati il centro di riferimento nazionale per la crioconservazione del tessuto ovarico. Prima mi occupavo del congelamento degli ovuli, ma il tessuto ovarico offre molte più possibilità, permette di ripristinare la funzionalità ormonale. Ad oggi, abbiamo fatto circa 900 espianti, duecento dei quali di bambine, e 27 reimpianti. È un percorso lungo, perché bisogna aspettare che la paziente sia completamente guarita e che gli oncologi dicano che è fuori dal rischio di recidive: di solito ci vogliono almeno cinque o sei anni dalla fine della chemio, in alcuni casi anche dieci». Ma succede. Ad oggi sono già cinque le gravidanze avviate in donne alle quali era stato congelato il tessuto ovarico proprio al Policlinico: due non sono andate a buon fine, una è in corso e due bambini sono già nati.
«Non ho avuto neanche le nausee, non mi sarei mai aspettata che sarebbe potuta andare così bene», dice Sofia (il nome è di fantasia), 37 anni, medico a Brescia. Ha partorito nel luglio del 2018, sei anni dopo la diagnosi di un linfoma non hodgikn. «Mi ero appena sposata e mi ritrovavo coi progetti da buttare, così ho deciso di darmi questa possibilità, anche se non mi sono mai permessa di illudermi - racconta -. Perché l’ho fatto? Diciamo che la terapia la fai sapendo che starai male, ma vivi l’adrenalina del momento: poi quando tutto è finito vorresti chiudere il capitolo e riprendere la tua vita dove l’avevi messa in pausa, ma se ti trovi in menopausa a trent’anni non è così facile, cambia completamente la tua prospettiva».
Fabbri cita il caso di una ragazzina di 14 anni, con un sarcoma di Ewing. «Dopo la terapia ci ha chiesto di reimpiantare un pezzettino del suo tessuto perché voleva avere le mestruazioni come le sue amiche. Quando vengono a conoscenza del tumore una delle domande più importanti delle pazienti è: c’è la guarigione? Quale sarà il mio futuro? Potrò essere madre? Potrò avere una vita normale? Fare questa operazione le aiuta a pensare che un futuro c’è».
Fonte https://bologna.repubblica.it/cronaca/2020/02/20/news/gravidanza_con_la_conservazione_del_tessuto_ovarico_il_sant_orsola_da_lezione_in_italia-249100582/
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