venerdì 21 dicembre 2018

L’esperienza positiva della nascita

L’esperienza positiva della nascita        Le ultime raccomandazioni della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sulla gravidanza riportano già nel titolo il concetto di “esperienza positiva della nascita”. Nel documento, che vale per ogni paese del mondo, si legge: «L’esperienza di cura della donna è la chiave per trasformare le cure prenatali e per creare famiglie e comunità prospere».
        In particolare, in questo documento si afferma che intensificando i “contatti” fra la donna e gli operatori sanitari si limita il rischio di eventi avversi, ossia eventi non intenzionali che comportano un danno al paziente (ancora troppo frequenti nei paesi poveri), e si favorisce l’esperienza positiva della nascita. Nei precedenti documenti venivano consigliati almeno quattro incontri fra la donna e gli operatori dedicati all’assistenza ostetrica. Adesso, invece, l’OMS ne propone addirittura otto. Rispetto al passato assistiamo dunque a un importante cambiamento che, per essere vantaggioso, deve essere interpretato in modo corretto.

Cosa s’intende per “contatti”?
        Da almeno trent’anni, la letteratura scientifica e la stessa OMS insegnano ai medici e alle ostetriche che sottoporre ogni donna in gravidanza a esami e controlli indiscriminati non garantisce maggiore sicurezza, né alla mamma né al bambino. D’altra parte è noto che aumentare esami di laboratorio, indagini ecografiche e visite vaginali aumenta il rischio di interventi inappropriati, di farmaci e di inutili ansie, oltre a diminuire la capacità di scelta delle donne. E questo senza contare il peso delle spese sanitarie…
        È provato, invece, che si possono ottenere ottimi risultati orientando le cure sui bisogni reali, diminuendo cioè la medicalizzazione non necessaria nelle gravidanze fisiologiche e intensificando l’attenzione sulle situazioni patologiche. Che cosa è successo quindi? Possibile che l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia fatto ora una netta inversione di marcia? E che cosa c’entra questo con l’esperienza positiva della nascita? Per comprendere la raccomandazione è necessario chiarire che con il termine “contatti”, non si indicano visite mediche o esami, ma piuttosto occasioni per ascoltare la narrazione delle donne circa i sintomi presenti, per intercettare problemi familiari e sociali, per trasmettere informazioni sanitarie, per promuovere la salute e per avvicinare le donne alle ostetriche.
        Questo cambiamento sostanziale, quindi, non contraddice le raccomandazioni precedenti, semplicemente promuove maggiore vicinanza fra le comunità e il sistema che garantisce le cure di base, e non è un invito a medicalizzare la gravidanza. Negli otto “contatti” raccomandati si stringe la relazione con la donna, si parla di alimentazione, lavoro, stili di vita, cura dell’igiene, si danno informazioni per riconoscere l’insorgenza di problemi, si parla di allattamento e di allevamento ed educazione dei bambini. Non sono cioè semplici “visite”, in cui ci si limita a verificare dimensioni del bambino, situazione dell’utero e valori degli esami di laboratorio. In Italia la Federazione Nazionale dei Collegi delle Ostetriche ha tenuto a precisare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità da sempre individua nell’ostetrica e nel suo lavoro specifico l’elemento della sicurezza e della soddisfazione delle cure dedicate alle donne, e che proprio la “continuità delle cure”, l’ascolto e la promozione della salute caratterizzano fortemente i modelli di assistenza garantiti dalle ostetriche.         Senza dubbio è un bene che l’ostetrica incontri spesso la donna in gravidanza, per entrare con lei in confidenza, acquisire capacità di ascoltare il suo specifico linguaggio e per affinare la capacità di interpretare i segni e i sintomi che lei stessa porta alla sua attenzione, spesso molto più precisi, attendibili e affidabili di quanto si creda. E questa narrazione non è sostituibile con alcuna indagine clinica.

La continuità delle cure
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        Quello che propone la raccomandazione dell’OMS è ciò che gli addetti ai lavori intendono con “continuità delle cure”: una modalità di offerta dei servizi che mette al centro la persona e il suo percorso, propone aiuto e sostegno senza interruzione, personalizzando le cure, garantendo interventi sanitari appropriati ai bisogni emergenti e facile accessibilità. Da molti anni sappiamo che questa modalità di offerta dei servizi, soprattutto nel percorso nascita, è capace di migliorare l’esperienza materna, la fiducia della donna nelle persone e nel sistema che prende in carico la gravidanza. Qui è necessario fare una precisazione: se da una parte può essere importante riferirsi a un’unica persona, con la quale stabilire un rapporto stretto e un’alleanza terapeutica significativa per entrambi (succede così con il pediatra di famiglia), bisogna anche considerare che nelle nostre organizzazioni pubbliche questo non sempre è garantito (l’ospedale funziona sulla base di turni del personale). Non si tratta di negare l’evidenza: avere un’ostetrica di riferimento è un grande vantaggio, perché con lei si stabilisce una relazione difficilmente riproducibile. Talvolta questa è una realtà che emerge anche nelle nostre istituzioni, ma non è molto frequente.
        Ci sono organizzazioni in cui la donna viene seguita al consultorio da una ostetrica, frequenta la preparazione alla nascita con un’altra ostetrica, poi partorisce in ospedale dove trova molte ostetriche che si avvicendano durante la sua degenza, poi torna a casa e riceve l’assistenza al puerperio da parte di altre ostetriche ancora.
        Ma se tutti gli operatori condividono lo stesso approccio alla cura, lo stesso metodo di risolvere i problemi, gli stessi schemi di diagnosi e terapia fondati sulla letteratura scientifica, si può comunque trovare un buon livello di continuità delle cure.
        In questo tipo di continuità, fondato sulla condivisione del metodo di lavoro, l’elemento di garanzia è basato non su un unico operatore, ma su tutto il sistema. Se si realizza questo livello di cura condivisa, poi, siamo di fronte a un’organizzazione credibile capace di promuovere cultura ed esperienza, che è caratterizzata da gruppi di lavoro molto maturi e coesi, e che accoglie operatori e pazienti soddisfatti.

I diritti dei genitori
        Allora cosa si può esigere come utenti affinché sia assicurata comunque continuità anche se non è possibile avere sempre la stessa persona di riferimento? Cosa è davvero importante? Cosa fa la differenza nella qualità dei servizi dedicati alla nascita? Cosa è davvero di aiuto per costruire l’esperienza positiva di cui stiamo parlando?
        I genitori hanno il diritto di ricevere informazioni concordanti (i messaggi contraddittori sono estremamente destabilizzanti) e il diritto a un approccio che tenga in considerazione il loro punto di vista.
        A proposito dell’importanza di questo ultimo aspetto si capisce che non si sta parlando unicamente di operatori gentili nel trattare i pazienti (cosa dovuta), ma piuttosto di operatori sinceramente interessati al punto di vista della donna, e seriamente intenzionati ad aiutare la coppia a costruire un’esperienza positiva della nascita.
        Avere un’esperienza positiva della nascita è quindi un diritto costituito da un insieme di altri diritti che si possono esigere come cittadini, come utenti dei servizi dedicati alla nascita, e non ultimo come esseri umani. Gli ospedali devono poter essere visitabili e gli operatori raggiungibili: esiste il diritto a informarsi.
        Qui sotto sono citati alcuni aspetti dei servizi universalmente riconosciuti come elementi di facilitazione dell’esperienza della nascita, considerati come garanzie di buone pratiche, standard internazionali che riconoscono i diritti della donna, del neonato e della famiglia in questo cruciale passaggio della vita. Se queste semplici garanzie non sono offerte si può cominciare a chiederne il rispetto, come singoli o come gruppi di utenti, e se le nostre richieste non trovano accoglienza meglio rivolgersi a una struttura diversa. Perché la nascita è troppo importante per lasciare al caso la scelta delle persone e delle istituzioni con cui condividerla, e vale la pena di fermarsi a pensare per tempo su come contribuire da utenti alla costruzione di questa “esperienza positiva”.

Fonte https://www.uppa.it/nascere/gravidanza-e-parto/esperienza-positiva-nascita/

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