Da un punto di vista psicologico, il periodo precedente alla nascita, ma anche i primi giorni successivi al parto, implicano regolazioni e modifiche nel comportamento dei nuovi genitori, addirittura un cambiamento nella propria identità, che può aiutare a conoscere il nuovo arrivato e a costruire una nuova relazione tra i membri della famiglia (Redshaw & Martin, 2013, Milgrom, 2009).
Attaccamento e periodo perinatale
Tuttavia, nel corso della storia della psicologia e della psichiatria è stata posta attenzione a ciò che succede a una nuova madre dopo il parto. Attenzione ben riposta a causa del rischio di incorrere in problemi psicologici, come depressione e psicosi post partum. Entrambe portano a delle conseguenze negative non solo nella cura del neonato, ma anche nella relazione tra la mamma e il bambino (Milgrom, 1999). Per esempio si è visto come la depressione postpartum sia associata a un maggiore stress genitoriale (Leigh, 2008). Inoltre entrambe le variabili possono essere influenzate da ciò che accade alla mente della futura madre durante la gravidanza, come una bassa autostima, uno stile cognitivo negativo, e ansia preparto (Leigh, 2008).
Quindi che cosa accade prima della nascita? Quando hanno inizio i primi cambiamenti nei pensieri della gestante? Quali sono le emozioni che può provare?
Una linea di ricerca si è interessata a come le rappresentazioni di attaccamento durante la gravidanza possano influenzare l’ attaccamento al bambino dopo la nascita (Fonagy, 1991). Per esempio si è visto come la capacità di riflessione misurata attraverso la Adult Attachment Interview durante la gravidanza predica la capacità di attribuire stati mentali e emozioni al bambino una volta nato (Arnott, 2007). Ma lo stato mentale che ha l’adulto nei confronti delle proprie esperienze di attaccamento non è detto coincida con l’ attaccamento che ha avuto in passato (Main, 2008), anche se può predire lo stile di attaccamento futuro (Fonagy, 1991).
Invece, la risposta alle domande può essere inferita iniziando a definire come la futura madre possa pensare al proprio bambino, cominciando a conoscerlo quando è ancora nel proprio grembo, quindi alcuni ricercatori si sono interessati a quale sia legame tra gestante e feto.
Questo legame è stato nominato attaccamento prenatale (APN), o anche attaccamento tra madre e feto. Nello specifico viene definito come
L’attuazione di comportamenti che rappresentino un’affiliazione e un’interazione con il proprio figlio non ancora nato (Cranley, 1981)
Oppure come
La relazione, personale e unica, che si sviluppa tra una madre e il suo feto (Muller, 1990).
Attaccamento prenatale
Si tratta realmente di attaccamento? In realtà alcuni ricercatori si sono posti il problema. Infatti se pensiamo alla definizione classica di Bowlby (1988), il sistema di attaccamento si riferisce a come un bambino, o qualsiasi cucciolo, quando si trova in una situazione di potenziale pericolo, si attivi per avviare l’interazione con la propria madre, in modo tale da essere difeso e protetto. Quindi se pensiamo alla definizione data sopra, sembrerebbe che tra attaccamento “classico” e attaccamento prenatale non ci sia molto in comune. In realtà si tratta di due facce della stessa medaglia, due modelli operativi interni complementari: il sistema attaccamento elicita il sistema di cura, o caregiving (Walsh, 2010). Infatti il sistema di attaccamento implica la presenza di due attori, il bambino che lo attiva, e il caregiver che gli risponde con il sistema di cura (Readshaw & Martin, 2013, Walsh, 2010). Tuttavia, durante la gravidanza la relazione è unidirezionale, relazione che incarna le rappresentazioni cognitive e gli stati emotivi riguardo al bambino che arriverà (Readshaw & Martin, 2013). Si può chiamare relazione? In realtà implica anch’essa la partecipazione di due, e se pensiamo alle relazioni diadiche tra adulti, i due individui sono sia caregiver che careseeker (Walsh, 2010). Allora il nome relazione secondo questa prospettiva si allontana ancora di più dalla definizione originaria di attaccamento prenatale (APN), infatti solitamente una madre non cerca rassicurazioni dal proprio figlio. Alcuni hanno suggerito di utilizzare il termine legame, ma se utilizzato di fronte ai futuri genitori potrebbe creare ansie e aspettative nel momento in cui stanno iniziando a conoscere il proprio bambino sia durante la gravidanza che ai primi contatti faccia a faccia dopo il parto (Redshaw & Martin, 2013). Quindi il termine legame potrebbe portare a una forzatura controproducente nelle relazioni.
Tuttavia, evidenze recenti mostrano come l’ attaccamento prenatale possa essere di fatto un sistema di caregiving invece che di attaccamento (Walsh, 2014).
Fermo restando che l’ attaccamento prenatale non è l’attaccamento inteso da Bowlby, ma parte di quell’insieme di comportamenti che fanno si che il caregiver si prenda cura della prole, in letteratura per comodità (e abitudine) si continua a utilizzare il termine attaccamento per indicare l’insieme delle rappresentazioni, cognitive e emotive, verso il feto.
Attaccamento prenatale (APN): come si misura?
Sono stati proposti vari strumenti, ma principalmente ne vengono utilizzati tre: Maternal Foetal Attachment Scale (MFAS; Cranley, 1981), Maternal Antenatal Attachment Scale (MAAS; Condon, 1993) e la Prenatal Attachment Interview (PAI; Muller, 1993), poichè sono i test con le mgliori proprietà psicometriche. (Van den Bergh & Simons, 2008).
Queste scale presuppongono che la relazione con il feto si manifesti con: comportamenti materni salutari, come seguire una dieta ed evitare fumo e alcool; accarezzare la pancia, parlare al feto; acquistare il necessario per il bambino; parlare al partner del futuro; immaginare come sarà il bambino; avere pensieri di tenerezza e vicinanza emotiva (Van den Bergh & Simons 2008). Quindi si presuppone che la donna sia in grado riportare tutto ciò sotto forma di una scala Likert (Van den Bergh & Simons, 2008), mentre le scale sembra misurino aspetti differenti del costrutto, con il risultato di avere misure diverse su fattori simili (Walsh, 2010). Per esempio, la MFAS sembra misurare maggiormente la percezione della gravidanza e il ruolo materno (Van den Bergh & Simons, 2008). Invece la PAI e la MAAS sembrano più coerenti con la definizione di attaccamento prenatale (APN) e hanno migliori proprietà psicometriche (Van den Bergh & Simons, 2008), tuttavia producono delle misure che confrontate tra loro, sembrano complicare il modello. Infatti, se pensiamo alle validazioni italiane delle scale mostrano diversi fattori che possono entrare in gioco, coerentemente con i risultati ottenuti in altri campioni.
Nella validazione italiana della PAI, è stato confermato come l’APN non sia un costrutto unitario, ma possa essere composto da 5 fattori misurati dalla scala: 1) fantasie (“sogno il mio bambino”), 2) interazione (“riesco a far muovere il mio bambino”), 3) affetto (“amo il mio bambino”), 4) differenziazione di sé dal feto (“immagino di chiamare il mio bambino per nome”), 5) condivisione con gli altri (“lascio mettere le mani sulla pancia per far sentire agli altri i movimenti del mio bambino”) (Della Vedova, 2008). Mentre in un’altra validazione italiana, l’ultimo fattore non è stato considerato, ma saturato nel fattore interazione, e ne è stato trovato un altro detto sensibilità al feto, che considera items come “credo che il mio bambino abbia già una personalità”, che nell’altro studio facevano parte dell’interazione (Barone, 2014).
Invece attraverso la validazione italiana della MAAS è stata confermata la natura bidimensionale dell’attaccamento prenatale, una componente di intensità della preoccupazione e una di qualità del coinvolgimento, rispettivamente quanto tempo la madre passa a pensare al feto, e la qualità dell’affettività (quindi se positiva) nei confronti del feto (Busonera, 2016). Nonostante alcuni items originali fossero maggiormente legati alla prima dimensione piuttosto che alla seconda, quelli che si riferiscono all’immagine mentale che la madre si è formata del feto e che riguardano i temi di indipendenza e di differenziazione tra madre e nascituro (Busonera, 2016).
Attaccamento prenatale: un costrutto con diverse dimensioni
Quindi l’APN si configura come una dimensione eterogenea, sensibile alle misure proposte. Un modo per chiarire quale ne sia la natura è lo studio di quali possano essere le variabili che la influenzano, e proporne un modello esplicativo.
Una delle variabili maggiormente confermate riguarda il periodo di gestazione al momento della misurazione dell’ attaccamento prenatale. Per esempio, in due studi italiani sono stati confermati i risultati di lavori precedenti, ovvero che l’APN aumenta con i mesi di gestazione, in conseguenza al fatto che la madre possa vedere il feto durante le ecografie e inizi a sentirne i movimenti (Della vedova, 2008, Barone, 2014). Inoltre è stato dimostrato come la PAI misuri l’investimento emotivo verso il feto, piuttosto che una generale rappresentazione cognitiva di quest’ultimo, poiché i punteggi all’APN correlavano negativamente con il punteggi alla scala per l’alessitimia, in particolare con l’external oriented thinking (Della Vedova, 2008). Invece sintomi depressivi non influenzano globalmente l’ attaccamento prenatale, ma solo due componenti (misurate attraverso la PAI di Muller, 1993): fantasie e sensibilità, due componenti che non intendono necessariamente sentimenti positivi, come amore o tenerezza, ma riflettono solo l’intensità dell’attaccamento (Barone, 2014).
Per di più l’APN è influenzato non solo da variabili che riguardano strettamente la madre, ma anche relazionali. Infatti vi sono dati che confermano come il rapporto con il partner possa mediare la relazione durante la gravidanza. Per esempio si è visto come le modifiche all’interno della coppia prima dell’arrivo del neonato, misurate attraverso la Dyadic Adjustment Scale, possano influenzare l’APN globale positivamente, e con maggior forza i fattori fantasie e differenziazione di sé dal feto (Barone, 2014). Sorprendentemente la durata della relazione amorosa, invece, correla negativamente con l’APN, portando gli autori a ipotizzare come le coppie che hanno passato più tempo insieme prima di avere un figlio possano essere diventate più resistenti a pensare di cambiare le proprie abitudini di coppia già dalla gravidanza (Della vedova, 2008, Barone, 2014).
Inoltre queste influenze relazionali dipendono anche da come la madre possa vivere la relazione con il proprio partner. In uno studio di Walsh e collaboratori (2014) si è studiato come l’attaccamento romantico della madre possa influenzare l’ attaccamento prenatale. I ricercatori hanno misurato: se le donne potessero avere un attaccamento al partner più ansioso (con la paura dell’abbandono) oppure più evitante (con allontanamento dalle relazioni significative), misurato attraverso la Experiences in Close Relationships Scale Short-Form; e se rispondessero ai bisogni del proprio partner, quindi la misurazione del sistema di caregiving attraverso il Caregiving Questionnaire (Walsh, 2014). I risultati hanno mostrato come l’attenzione ai bisogni del partner sia un mediatore dell’ influenza negativa dell’ attaccamento romantico evitante sull’APN, mentre non esiste una relazione tra attaccamento prenatale e attaccamento romantico ansioso (Walsh, 2014).
In un altro studio, invece, è stato ipotizzato che il supporto sociale dopo la nascita, quindi come la madre immagina che il partner si prenderà cura del bambino, possa influenzare positivamente l’APN, stress e tratti ansiosi (Hopkins, 2018). Queste variabili sono state misurate, rispettivamente, attraverso: il Postpartum Social Support Questionnaire, la MAAS, la Depression Anxiety Stress Scales, e il State Trait Anxiety Inventory (Hopkins, 2018). I risultati ottenuti hanno mostrato come il supporto del partner e l’ansia di tratto fossero in relazione con l’ attaccamento prenatale, ma non lo stress (Hopkins, 2018). In particolare la percezione che il partner si prenderà cura del bambino è legata a punteggi più alti alla MAAS, e potrebbe diminuire la relazione negativa tra ansia e APN (Hopkins, 2018). In accordo con i risultati di Walsh e collaboratori (2014), sembrerebbe che alti livelli di ansia possano distrarre la futura madre dal concentrarsi sul futuro figlio, e quindi sull’ attaccamento prenatale, ma un supporto sociale adeguato può essere un fattore protettivo (Hopkins, 2018).
Nonostante l’APN non sia ancora ben definito, e influenzato da numerosi fattori, gli strumenti per misurarlo risultano validi nel loro utilizzo. Anche se misurano aspetti diversi del modello, sono stati utilizzati per studiare la correlazione tra attaccamento prenatale e variabili misurate dopo il parto, avvalorando l’utilità di inserire tali misure per la prevenzione di situazioni cliniche a rischio, come la depressione postpartum, e sociali, come lo stress genitoriale. Verranno proposti studi longitudinali che mettono in relazione l’APN con variabili misurate dopo il parto, mostrando come questo costrutto possa influenzare non solo la psiche materna ma anche lo sviluppo del bambino.
In uno studio proposto da Alhusen e collaboratori (2013) si è visto come, in un campione di donne con svantaggio socioeconomico, quelle che riportavano un alto APN hanno espresso successivamente uno stile di attaccamento sicuro associato a uno sviluppo cognitivo normale nel figlio. (Alhusen, 2013). In questo studio l’attaccamento prenatale è stato misurato con la MFAS di Cranley (1991), ed è stato messo in relazione a variabili come: andamento del parto (peso alla nascita del bambino e età gestazionale), sintomi depressivi postpartum (Edinburgh Postnatal Depression Scale), stile di attaccamento (Attachment Style Questionnaire), sviluppo del neonato tra 1 e 6 mesi (Ages and Stages Questionnaire) (Alhusen, 2013). I risultati hanno mostrato come un basso APN fosse associato a incorrere maggiormente in uno stile di attaccamento ansioso e sintomi depressivi, e di conseguenza un ritardo nello sviluppo dei bambini (Alhusen, 2013). Nonostante gli autori abbiano testato un campione già a rischio, hanno dimostrato come l’APN possa essere un predittore di possibili esiti avversi sia per la madre che per il bambino.
Diversamente altri ricercatori si sono occupati di come una madre interagisce attivamente con il prorio figlio.
In uno studio di Maas e collaboratori (2015), le donne con punteggi più alti nell’attaccamento prenatale hanno mostrato una sensibilità materna più adeguata sia nelle cure primarie (misurata con l’osservazione del cambio di pannolini) e in situazioni di gioco libero con i propri neonati di 6 mesi. Invece, non sono state trovati significatività tra APN non nell’interazione faccia a faccia senza giochi, non tanto perché queste madri fossero inespressive o anaffettive, anzi riportarono di sentirsi “spiazzate” poiché non si trattava di un tipo di interazione abituale (Maas, 2015). Quindi questo tipo di compito non si è rivelato adeguato allo scopo di vedere se esiste una maggiore connessione emotiva tra madre e figlio correlata all’APN.
Diversamente, potrebbe essere utile misurare quanto il genitore abbia la tendenza a vedere il proprio figlio come un individuo agente e dotato di stati mentali, questa tendenza è detta mind-mindedness (McMahon, 2016). Questa capacità genitoriale può essere inferita dal linguaggio che il genitore utilizza a proposito degli stati mentali del proprio neonato durante le interazioni, quindi se appropriato e se in sintonia (McMahon, 2016). Si possono inoltre utilizzare due misure: una di osservazione dell’interazione, e un’altra analizzando le parole che i genitori esprimono per descrivere il proprio bambino (McMahon, 2016). Si tratta di un tratto cognitivo-comportamentale stabile nel genitore, ed è un indice di sensibilità genitoriale, predetto dall’ attacamento prenatale (misurato attraverso il questionario di Cranley (1981)) (McMahon, 2016). Quindi la sincronia tra gli stati mentali dell’adulto e quelli del bambino, e la comprensione di questi ultimi da parte del genitore possono essere influenzati positivamente dagli stati mentali della madre durante la gravidanza (McMahon, 2016).
Tuttavia, la relazione non è solo misurabile da come ci si prende cura del neonato, e della sensibilità della madre di interpretare correttamente lo stato emotivo del bambino, ma anche come il nuovo genitore si vede come tale.
Infatti è stato mostrato come APN, congiuntamente alle modifiche rappresentazionali nella diade madre-bambino durante la gravidanza, possano influenzare positivamente lo stress genitoriale, che a sua volta è un fattore protettivo per la futura relazione madre-bambino (Mazzeschi, 2015). Lo stress genitoriale può essere visto come la difficoltà di adeguarsi al ruolo di genitore, riflettendo difficoltà del genitore nel vedersi come tale, del riconoscere consapevolmente il proprio bambino e la relazione che si sta instaurando (Mazzeschi, 2015). Lo studio rivelò come l’APN, misurato attraverso il MAAS (Condon, 1993), spiegasse la variabilità nello stress genitoriale, congiuntamente allo stile di attaccamento, dove punteggi più bassi alla MAAS correlavano con uno stile di attaccamento ansioso (Mazzeschi, 2015).
Attaccamento prenatale: le conoscenze ad oggi
Riassumendo, l’attaccamento prenatale (APN) è un’insieme di pensieri che la futura madre ha nei confronti del proprio feto, che aumenta di intensità con l’andamento della gravidanza (Della Vedova, 2008, Barone, 2014). È la concettualizzazione dell’investimento emotivo verso il bambino, piuttosto che di una rappresentazione cognitiva (Della Vedova, 2008). Ciononostante, un basso tono dell’umore non influenza globalmente l’APN, ma solo quei fattori indipendenti da un’affettività positiva (Barone, 2014). Trattandosi di un sistema unidirezionale che si attiva per la cura del futuro bambino, sembra essere sistema di caregiving, piuttosto che di careseeking come quello di attaccamento (Walsh, 2010 e 2014). È influenzato positivamente da variabili relazionali, come l’investimento nel modificare le dinamiche della coppia di futuri genitori (Barone, 2008), come la madre pone attenzione ai bisogni del proprio partner (Walsh, 2014), e se quest’ultimo venga percepito come supportivo una volta nato il bambino (Hopkins, 2018).
In passato la maggior parte degli studi si è focalizzata sulla relazione tra predittori in gravidanza della depressioni post natale (Leigh, 2008), oppure sulla relazione tra rappresentazioni dell’attaccamento durante la gravidanza e attaccamento (Fonagy, 1991) e mentalizzazzione (Arnott, 2007). Ma anche l’APN può essere un indice precoce per individuare campioni a rischio di depressione postpartum (Alhusen, 2013). Inoltre l’ attaccamento prenatale può essere un predittore del funzionamento della diade madre bambino. Infatti alti punteggi alle scale per l’APN possono predire sia come la madre si prenderà cura del neonato che interagirà nel gioco libero (Maas, 2015), che se comprenderà adeguatamente gli stati emotivi del proprio bambino (McMahon, 2016). In aggiunta l’APN è anche un fattore protettivo per lo stress genitoriale (Mazzeschi, 2015).
Quindi l’APN è una dimensione importante da studiare, per la prevenzione di situazioni a rischio e per favorire il benessere psicologico della mamma, lo sviluppo del bambino e la relazione tra i due.
Non vi sono ancora delle linee guida per migliorare l’APN, e alcuni autori hanno ipotizzato che intervenire direttamente su questo costrutto possa avere effetti negativi sull’APN stesso, creando aspettative e aumentando l’ansia dei genitori (Readshaw & Martin, 2013). Potrebbe essere utile agirvi indirettamente. Per esempio, utilizzando delle tecniche per aumentare la consapevolezza di ciò che accade al proprio corpo durante la gestazione (Lovato, 2015), oppure dei propri stati mentali, e quindi tollerarli maggiormente, attraverso letture di auto-aiuto (Milgrom, 2009).
Nonostante questi accorgimenti rimane come l’APN possa essere una chiave di lettura nell’interpretazione e nell’analisi a ciò che accade nella mente durante la gravidanza, senza agirvi direttamente può essere un fattore protettivo per il futuro sviluppo della diade madre-bambino.
Fonte : https://www.stateofmind.it/2018/12/attaccamento-prenatale/
Attaccamento e periodo perinatale
Tuttavia, nel corso della storia della psicologia e della psichiatria è stata posta attenzione a ciò che succede a una nuova madre dopo il parto. Attenzione ben riposta a causa del rischio di incorrere in problemi psicologici, come depressione e psicosi post partum. Entrambe portano a delle conseguenze negative non solo nella cura del neonato, ma anche nella relazione tra la mamma e il bambino (Milgrom, 1999). Per esempio si è visto come la depressione postpartum sia associata a un maggiore stress genitoriale (Leigh, 2008). Inoltre entrambe le variabili possono essere influenzate da ciò che accade alla mente della futura madre durante la gravidanza, come una bassa autostima, uno stile cognitivo negativo, e ansia preparto (Leigh, 2008).
Quindi che cosa accade prima della nascita? Quando hanno inizio i primi cambiamenti nei pensieri della gestante? Quali sono le emozioni che può provare?
Una linea di ricerca si è interessata a come le rappresentazioni di attaccamento durante la gravidanza possano influenzare l’ attaccamento al bambino dopo la nascita (Fonagy, 1991). Per esempio si è visto come la capacità di riflessione misurata attraverso la Adult Attachment Interview durante la gravidanza predica la capacità di attribuire stati mentali e emozioni al bambino una volta nato (Arnott, 2007). Ma lo stato mentale che ha l’adulto nei confronti delle proprie esperienze di attaccamento non è detto coincida con l’ attaccamento che ha avuto in passato (Main, 2008), anche se può predire lo stile di attaccamento futuro (Fonagy, 1991).
Invece, la risposta alle domande può essere inferita iniziando a definire come la futura madre possa pensare al proprio bambino, cominciando a conoscerlo quando è ancora nel proprio grembo, quindi alcuni ricercatori si sono interessati a quale sia legame tra gestante e feto.
Questo legame è stato nominato attaccamento prenatale (APN), o anche attaccamento tra madre e feto. Nello specifico viene definito come
L’attuazione di comportamenti che rappresentino un’affiliazione e un’interazione con il proprio figlio non ancora nato (Cranley, 1981)
Oppure come
La relazione, personale e unica, che si sviluppa tra una madre e il suo feto (Muller, 1990).
Attaccamento prenatale
Si tratta realmente di attaccamento? In realtà alcuni ricercatori si sono posti il problema. Infatti se pensiamo alla definizione classica di Bowlby (1988), il sistema di attaccamento si riferisce a come un bambino, o qualsiasi cucciolo, quando si trova in una situazione di potenziale pericolo, si attivi per avviare l’interazione con la propria madre, in modo tale da essere difeso e protetto. Quindi se pensiamo alla definizione data sopra, sembrerebbe che tra attaccamento “classico” e attaccamento prenatale non ci sia molto in comune. In realtà si tratta di due facce della stessa medaglia, due modelli operativi interni complementari: il sistema attaccamento elicita il sistema di cura, o caregiving (Walsh, 2010). Infatti il sistema di attaccamento implica la presenza di due attori, il bambino che lo attiva, e il caregiver che gli risponde con il sistema di cura (Readshaw & Martin, 2013, Walsh, 2010). Tuttavia, durante la gravidanza la relazione è unidirezionale, relazione che incarna le rappresentazioni cognitive e gli stati emotivi riguardo al bambino che arriverà (Readshaw & Martin, 2013). Si può chiamare relazione? In realtà implica anch’essa la partecipazione di due, e se pensiamo alle relazioni diadiche tra adulti, i due individui sono sia caregiver che careseeker (Walsh, 2010). Allora il nome relazione secondo questa prospettiva si allontana ancora di più dalla definizione originaria di attaccamento prenatale (APN), infatti solitamente una madre non cerca rassicurazioni dal proprio figlio. Alcuni hanno suggerito di utilizzare il termine legame, ma se utilizzato di fronte ai futuri genitori potrebbe creare ansie e aspettative nel momento in cui stanno iniziando a conoscere il proprio bambino sia durante la gravidanza che ai primi contatti faccia a faccia dopo il parto (Redshaw & Martin, 2013). Quindi il termine legame potrebbe portare a una forzatura controproducente nelle relazioni.
Tuttavia, evidenze recenti mostrano come l’ attaccamento prenatale possa essere di fatto un sistema di caregiving invece che di attaccamento (Walsh, 2014).
Fermo restando che l’ attaccamento prenatale non è l’attaccamento inteso da Bowlby, ma parte di quell’insieme di comportamenti che fanno si che il caregiver si prenda cura della prole, in letteratura per comodità (e abitudine) si continua a utilizzare il termine attaccamento per indicare l’insieme delle rappresentazioni, cognitive e emotive, verso il feto.
Attaccamento prenatale (APN): come si misura?
Sono stati proposti vari strumenti, ma principalmente ne vengono utilizzati tre: Maternal Foetal Attachment Scale (MFAS; Cranley, 1981), Maternal Antenatal Attachment Scale (MAAS; Condon, 1993) e la Prenatal Attachment Interview (PAI; Muller, 1993), poichè sono i test con le mgliori proprietà psicometriche. (Van den Bergh & Simons, 2008).
Queste scale presuppongono che la relazione con il feto si manifesti con: comportamenti materni salutari, come seguire una dieta ed evitare fumo e alcool; accarezzare la pancia, parlare al feto; acquistare il necessario per il bambino; parlare al partner del futuro; immaginare come sarà il bambino; avere pensieri di tenerezza e vicinanza emotiva (Van den Bergh & Simons 2008). Quindi si presuppone che la donna sia in grado riportare tutto ciò sotto forma di una scala Likert (Van den Bergh & Simons, 2008), mentre le scale sembra misurino aspetti differenti del costrutto, con il risultato di avere misure diverse su fattori simili (Walsh, 2010). Per esempio, la MFAS sembra misurare maggiormente la percezione della gravidanza e il ruolo materno (Van den Bergh & Simons, 2008). Invece la PAI e la MAAS sembrano più coerenti con la definizione di attaccamento prenatale (APN) e hanno migliori proprietà psicometriche (Van den Bergh & Simons, 2008), tuttavia producono delle misure che confrontate tra loro, sembrano complicare il modello. Infatti, se pensiamo alle validazioni italiane delle scale mostrano diversi fattori che possono entrare in gioco, coerentemente con i risultati ottenuti in altri campioni.
Nella validazione italiana della PAI, è stato confermato come l’APN non sia un costrutto unitario, ma possa essere composto da 5 fattori misurati dalla scala: 1) fantasie (“sogno il mio bambino”), 2) interazione (“riesco a far muovere il mio bambino”), 3) affetto (“amo il mio bambino”), 4) differenziazione di sé dal feto (“immagino di chiamare il mio bambino per nome”), 5) condivisione con gli altri (“lascio mettere le mani sulla pancia per far sentire agli altri i movimenti del mio bambino”) (Della Vedova, 2008). Mentre in un’altra validazione italiana, l’ultimo fattore non è stato considerato, ma saturato nel fattore interazione, e ne è stato trovato un altro detto sensibilità al feto, che considera items come “credo che il mio bambino abbia già una personalità”, che nell’altro studio facevano parte dell’interazione (Barone, 2014).
Invece attraverso la validazione italiana della MAAS è stata confermata la natura bidimensionale dell’attaccamento prenatale, una componente di intensità della preoccupazione e una di qualità del coinvolgimento, rispettivamente quanto tempo la madre passa a pensare al feto, e la qualità dell’affettività (quindi se positiva) nei confronti del feto (Busonera, 2016). Nonostante alcuni items originali fossero maggiormente legati alla prima dimensione piuttosto che alla seconda, quelli che si riferiscono all’immagine mentale che la madre si è formata del feto e che riguardano i temi di indipendenza e di differenziazione tra madre e nascituro (Busonera, 2016).
Attaccamento prenatale: un costrutto con diverse dimensioni
Quindi l’APN si configura come una dimensione eterogenea, sensibile alle misure proposte. Un modo per chiarire quale ne sia la natura è lo studio di quali possano essere le variabili che la influenzano, e proporne un modello esplicativo.
Una delle variabili maggiormente confermate riguarda il periodo di gestazione al momento della misurazione dell’ attaccamento prenatale. Per esempio, in due studi italiani sono stati confermati i risultati di lavori precedenti, ovvero che l’APN aumenta con i mesi di gestazione, in conseguenza al fatto che la madre possa vedere il feto durante le ecografie e inizi a sentirne i movimenti (Della vedova, 2008, Barone, 2014). Inoltre è stato dimostrato come la PAI misuri l’investimento emotivo verso il feto, piuttosto che una generale rappresentazione cognitiva di quest’ultimo, poiché i punteggi all’APN correlavano negativamente con il punteggi alla scala per l’alessitimia, in particolare con l’external oriented thinking (Della Vedova, 2008). Invece sintomi depressivi non influenzano globalmente l’ attaccamento prenatale, ma solo due componenti (misurate attraverso la PAI di Muller, 1993): fantasie e sensibilità, due componenti che non intendono necessariamente sentimenti positivi, come amore o tenerezza, ma riflettono solo l’intensità dell’attaccamento (Barone, 2014).
Per di più l’APN è influenzato non solo da variabili che riguardano strettamente la madre, ma anche relazionali. Infatti vi sono dati che confermano come il rapporto con il partner possa mediare la relazione durante la gravidanza. Per esempio si è visto come le modifiche all’interno della coppia prima dell’arrivo del neonato, misurate attraverso la Dyadic Adjustment Scale, possano influenzare l’APN globale positivamente, e con maggior forza i fattori fantasie e differenziazione di sé dal feto (Barone, 2014). Sorprendentemente la durata della relazione amorosa, invece, correla negativamente con l’APN, portando gli autori a ipotizzare come le coppie che hanno passato più tempo insieme prima di avere un figlio possano essere diventate più resistenti a pensare di cambiare le proprie abitudini di coppia già dalla gravidanza (Della vedova, 2008, Barone, 2014).
Inoltre queste influenze relazionali dipendono anche da come la madre possa vivere la relazione con il proprio partner. In uno studio di Walsh e collaboratori (2014) si è studiato come l’attaccamento romantico della madre possa influenzare l’ attaccamento prenatale. I ricercatori hanno misurato: se le donne potessero avere un attaccamento al partner più ansioso (con la paura dell’abbandono) oppure più evitante (con allontanamento dalle relazioni significative), misurato attraverso la Experiences in Close Relationships Scale Short-Form; e se rispondessero ai bisogni del proprio partner, quindi la misurazione del sistema di caregiving attraverso il Caregiving Questionnaire (Walsh, 2014). I risultati hanno mostrato come l’attenzione ai bisogni del partner sia un mediatore dell’ influenza negativa dell’ attaccamento romantico evitante sull’APN, mentre non esiste una relazione tra attaccamento prenatale e attaccamento romantico ansioso (Walsh, 2014).
In un altro studio, invece, è stato ipotizzato che il supporto sociale dopo la nascita, quindi come la madre immagina che il partner si prenderà cura del bambino, possa influenzare positivamente l’APN, stress e tratti ansiosi (Hopkins, 2018). Queste variabili sono state misurate, rispettivamente, attraverso: il Postpartum Social Support Questionnaire, la MAAS, la Depression Anxiety Stress Scales, e il State Trait Anxiety Inventory (Hopkins, 2018). I risultati ottenuti hanno mostrato come il supporto del partner e l’ansia di tratto fossero in relazione con l’ attaccamento prenatale, ma non lo stress (Hopkins, 2018). In particolare la percezione che il partner si prenderà cura del bambino è legata a punteggi più alti alla MAAS, e potrebbe diminuire la relazione negativa tra ansia e APN (Hopkins, 2018). In accordo con i risultati di Walsh e collaboratori (2014), sembrerebbe che alti livelli di ansia possano distrarre la futura madre dal concentrarsi sul futuro figlio, e quindi sull’ attaccamento prenatale, ma un supporto sociale adeguato può essere un fattore protettivo (Hopkins, 2018).
Nonostante l’APN non sia ancora ben definito, e influenzato da numerosi fattori, gli strumenti per misurarlo risultano validi nel loro utilizzo. Anche se misurano aspetti diversi del modello, sono stati utilizzati per studiare la correlazione tra attaccamento prenatale e variabili misurate dopo il parto, avvalorando l’utilità di inserire tali misure per la prevenzione di situazioni cliniche a rischio, come la depressione postpartum, e sociali, come lo stress genitoriale. Verranno proposti studi longitudinali che mettono in relazione l’APN con variabili misurate dopo il parto, mostrando come questo costrutto possa influenzare non solo la psiche materna ma anche lo sviluppo del bambino.
In uno studio proposto da Alhusen e collaboratori (2013) si è visto come, in un campione di donne con svantaggio socioeconomico, quelle che riportavano un alto APN hanno espresso successivamente uno stile di attaccamento sicuro associato a uno sviluppo cognitivo normale nel figlio. (Alhusen, 2013). In questo studio l’attaccamento prenatale è stato misurato con la MFAS di Cranley (1991), ed è stato messo in relazione a variabili come: andamento del parto (peso alla nascita del bambino e età gestazionale), sintomi depressivi postpartum (Edinburgh Postnatal Depression Scale), stile di attaccamento (Attachment Style Questionnaire), sviluppo del neonato tra 1 e 6 mesi (Ages and Stages Questionnaire) (Alhusen, 2013). I risultati hanno mostrato come un basso APN fosse associato a incorrere maggiormente in uno stile di attaccamento ansioso e sintomi depressivi, e di conseguenza un ritardo nello sviluppo dei bambini (Alhusen, 2013). Nonostante gli autori abbiano testato un campione già a rischio, hanno dimostrato come l’APN possa essere un predittore di possibili esiti avversi sia per la madre che per il bambino.
Diversamente altri ricercatori si sono occupati di come una madre interagisce attivamente con il prorio figlio.
In uno studio di Maas e collaboratori (2015), le donne con punteggi più alti nell’attaccamento prenatale hanno mostrato una sensibilità materna più adeguata sia nelle cure primarie (misurata con l’osservazione del cambio di pannolini) e in situazioni di gioco libero con i propri neonati di 6 mesi. Invece, non sono state trovati significatività tra APN non nell’interazione faccia a faccia senza giochi, non tanto perché queste madri fossero inespressive o anaffettive, anzi riportarono di sentirsi “spiazzate” poiché non si trattava di un tipo di interazione abituale (Maas, 2015). Quindi questo tipo di compito non si è rivelato adeguato allo scopo di vedere se esiste una maggiore connessione emotiva tra madre e figlio correlata all’APN.
Diversamente, potrebbe essere utile misurare quanto il genitore abbia la tendenza a vedere il proprio figlio come un individuo agente e dotato di stati mentali, questa tendenza è detta mind-mindedness (McMahon, 2016). Questa capacità genitoriale può essere inferita dal linguaggio che il genitore utilizza a proposito degli stati mentali del proprio neonato durante le interazioni, quindi se appropriato e se in sintonia (McMahon, 2016). Si possono inoltre utilizzare due misure: una di osservazione dell’interazione, e un’altra analizzando le parole che i genitori esprimono per descrivere il proprio bambino (McMahon, 2016). Si tratta di un tratto cognitivo-comportamentale stabile nel genitore, ed è un indice di sensibilità genitoriale, predetto dall’ attacamento prenatale (misurato attraverso il questionario di Cranley (1981)) (McMahon, 2016). Quindi la sincronia tra gli stati mentali dell’adulto e quelli del bambino, e la comprensione di questi ultimi da parte del genitore possono essere influenzati positivamente dagli stati mentali della madre durante la gravidanza (McMahon, 2016).
Tuttavia, la relazione non è solo misurabile da come ci si prende cura del neonato, e della sensibilità della madre di interpretare correttamente lo stato emotivo del bambino, ma anche come il nuovo genitore si vede come tale.
Infatti è stato mostrato come APN, congiuntamente alle modifiche rappresentazionali nella diade madre-bambino durante la gravidanza, possano influenzare positivamente lo stress genitoriale, che a sua volta è un fattore protettivo per la futura relazione madre-bambino (Mazzeschi, 2015). Lo stress genitoriale può essere visto come la difficoltà di adeguarsi al ruolo di genitore, riflettendo difficoltà del genitore nel vedersi come tale, del riconoscere consapevolmente il proprio bambino e la relazione che si sta instaurando (Mazzeschi, 2015). Lo studio rivelò come l’APN, misurato attraverso il MAAS (Condon, 1993), spiegasse la variabilità nello stress genitoriale, congiuntamente allo stile di attaccamento, dove punteggi più bassi alla MAAS correlavano con uno stile di attaccamento ansioso (Mazzeschi, 2015).
Attaccamento prenatale: le conoscenze ad oggi
Riassumendo, l’attaccamento prenatale (APN) è un’insieme di pensieri che la futura madre ha nei confronti del proprio feto, che aumenta di intensità con l’andamento della gravidanza (Della Vedova, 2008, Barone, 2014). È la concettualizzazione dell’investimento emotivo verso il bambino, piuttosto che di una rappresentazione cognitiva (Della Vedova, 2008). Ciononostante, un basso tono dell’umore non influenza globalmente l’APN, ma solo quei fattori indipendenti da un’affettività positiva (Barone, 2014). Trattandosi di un sistema unidirezionale che si attiva per la cura del futuro bambino, sembra essere sistema di caregiving, piuttosto che di careseeking come quello di attaccamento (Walsh, 2010 e 2014). È influenzato positivamente da variabili relazionali, come l’investimento nel modificare le dinamiche della coppia di futuri genitori (Barone, 2008), come la madre pone attenzione ai bisogni del proprio partner (Walsh, 2014), e se quest’ultimo venga percepito come supportivo una volta nato il bambino (Hopkins, 2018).
In passato la maggior parte degli studi si è focalizzata sulla relazione tra predittori in gravidanza della depressioni post natale (Leigh, 2008), oppure sulla relazione tra rappresentazioni dell’attaccamento durante la gravidanza e attaccamento (Fonagy, 1991) e mentalizzazzione (Arnott, 2007). Ma anche l’APN può essere un indice precoce per individuare campioni a rischio di depressione postpartum (Alhusen, 2013). Inoltre l’ attaccamento prenatale può essere un predittore del funzionamento della diade madre bambino. Infatti alti punteggi alle scale per l’APN possono predire sia come la madre si prenderà cura del neonato che interagirà nel gioco libero (Maas, 2015), che se comprenderà adeguatamente gli stati emotivi del proprio bambino (McMahon, 2016). In aggiunta l’APN è anche un fattore protettivo per lo stress genitoriale (Mazzeschi, 2015).
Quindi l’APN è una dimensione importante da studiare, per la prevenzione di situazioni a rischio e per favorire il benessere psicologico della mamma, lo sviluppo del bambino e la relazione tra i due.
Non vi sono ancora delle linee guida per migliorare l’APN, e alcuni autori hanno ipotizzato che intervenire direttamente su questo costrutto possa avere effetti negativi sull’APN stesso, creando aspettative e aumentando l’ansia dei genitori (Readshaw & Martin, 2013). Potrebbe essere utile agirvi indirettamente. Per esempio, utilizzando delle tecniche per aumentare la consapevolezza di ciò che accade al proprio corpo durante la gestazione (Lovato, 2015), oppure dei propri stati mentali, e quindi tollerarli maggiormente, attraverso letture di auto-aiuto (Milgrom, 2009).
Nonostante questi accorgimenti rimane come l’APN possa essere una chiave di lettura nell’interpretazione e nell’analisi a ciò che accade nella mente durante la gravidanza, senza agirvi direttamente può essere un fattore protettivo per il futuro sviluppo della diade madre-bambino.
Fonte : https://www.stateofmind.it/2018/12/attaccamento-prenatale/
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