venerdì 31 agosto 2018

Come avere una gravidanza gemellare

        Innanzitutto ci sono alcune ‘condizioni’ di base che sembrano favorire la doppia cicogna. Per esempio se ci sono stati già altri parti gemellari in famiglia (la probabilità aumenta di ben quattro volte), e questo è risaputo. Forse non tutti sanno, invece, che la discendenza africana rende meno improbabile un parto gemellare, al secondo posto c’è l’origine europea.

        Le latino-americani e le asiatiche, invece, chiudono la classifica. Le donne che sono già diventate svariate volte mamma possono avere dei gemelli, idem chi è alta e con qualche chiletto in più. Chi sceglie di mettere al mondo un bimbo in età ‘matura’ potrebbe farne due in una volta sola (intorno ai 40 anni le probabilità si aggirano intorno al 7%, mentre a 45 la percentuale raggiunge il 17%). Pare, invece, che le donne vegane difficilmente avranno una gravidanza gemellare.

foto_gemelli        E poi ci sono alcuni ‘rimedi’, diciamo così, che pare aiutino a programmare una nascita doppia. Per esempio assumere molte vitamine, in maniera particolare l’acido folico. Una dieta equilibrata basata su alcuni determinati alimenti, per esempio sembra non debbano mancare i latticini e le patate dolci (per esempio la tapioca). Uno studio, infatti, ha evidenziato come le donne che mangiano latticini nel periodo in cui cercano di restare incinte hanno il 5% di possibilità in più di aspettare dei gemelli. Le patate dolci, invece, aiuterebbero grazie al loro contenuto di progesterone.

        Poi non manca qualche ‘leggenda metropolitana’, come quella che dice che avere rapporti non protetti nel periodo in cui si allatta al seno favorirebbe un prossimo concepimento gemellare. Insomma, non resta che provare per credere!

Fonte https://www.passionemamma.it/2015/01/come-avere-una-gravidanza-gemellare/

Indagini genetiche e riproduzione nell’uomo

Analisi del cariotipo
      Con “analisi del cariotipo” si valuta lo studio numerico e strutturale di tutti i cromosomi della cellula. Le cellule, in questo caso del sangue, vengono coltivate in vitro e poi analizzate. Una causa di infertilità nell’uomo può essere determinata da un’anomalia a livello del cariotipo, di tipo sia numerico (cromosomi sessuali) sia strutturale (traslocazioni bilanciate o altre anomalie che non comportano perdita o guadagno del materiale genetico). Eventuali anomalie del cariotipo a seconda delle loro caratteristiche possono essere causa di aborti e/o malformazioni a carico dei nascituri oltre che fornire indicazioni sulle cause dell’infertilità.

Indicazioni al test:


  • azoospermia (assenza totale di spermatozoi);
  • grave oligospermia (<10 x 106 spermatozoi/ml);
  • moderata oligospermia (10-20 x 106 spermatozoi/ml) e normospermia solo dopo un anno di rapporti mirati;
  • esecuzione di procedure di riproduzione assistita.

Fibrosi cistica
      La fibrosi cistica (o mucoviscidosi) è una delle malattie genetiche recessive più comuni nella popolazione caucasica. I portatori di una mutazione sul gene CFTR (si conoscono più di mille mutazioni diverse su questo gene) sono circa 1 su 25 nella popolazione generale, mentre i malati sono circa 1 su 2500. La proporzione di portatori è maggiore nelle coppie sterili, in quanto alcune di queste mutazioni hanno come conseguenza l’infertilità nell’uomo che si manifesta con assenza o grave riduzione del numero di spermatozoi dovuta alla correlata assenza monolaterale o bilaterale dei dotti deferenti (che sono dei piccoli canali che conducono gli spermatozoi dal testicolo all’esterno).

Картинки по запросу Indagini genetiche e riproduzione nell’uomo      È consigliabile effettuare il test a tutte le coppie prima di una terapia di riproduzione medicalmente assistita. Il test prende in esame le 50 mutazioni più comuni in Europa Centrale coprendo circa l’85-95% dei casi riportati, ma può essere esteso fino all’intero genoma.

      Se uno dei due partner è portatore di una mutazione causante la fibrosi cistica, si dovrà eseguire il sequenziamento totale del gene sull’altro partner in modo da valutare più precisamente il rischio di concepire un figlio affetto da fibrosi cistica che è la malattia genetica grave più diffusa.

Indicazioni al test:


  • azoospermia associata ad agenesia bilaterale congenita dei deferenti;
  • grave oligospermia associata ad agenesia monolaterale congenita dei deferenti;
  • esecuzione di procedure di riproduzione assistita.

HLA-G: determinazione della variante 3’UTR del/ins 14bp
      L’HLA-G, una proteina denominata human leukocyte antigen-G, è un importante immunoregolatore, soprattutto nel contesto dell’interfaccia materno-fetale. Le proprietà immunosoppressive di questa proteina sono importantissime per l’instaurarsi della tolleranza materna nei confronti dell’embrione. Per permettere all’embrione di attecchire alla parete dell’utero, sia la madre sia l’embrione stesso devono produrre questa proteina. In alcuni casi, determinati per la maggior parte geneticamente, questa produzione non avviene o avviene in maniera insufficiente. Tra le diverse varianti conosciute sul gene HLA-G, la 3’UTR del/ins 14bp riveste un ruolo importante nella mancata produzione di HLA-G, e può essere determinata tramite un test genetico.

      Questa variante va determinata su entrambi i genitori poiché la produzione di HLA-G da parte dell’embrione dipende dal genotipo ereditato dal padre e dalla madre. Determinate costellazioni genetiche della variante riportata sono state associate a pre-eclampsia, aborti spontanei ricorrenti e fallimenti delle terapie IVF.

indicazioni al test:


  • alla coppia dopo ≥2 tentativi FIVET/ICSI falliti;
  • alla coppia in caso di ≥2 aborti spontanei, se cariotipo normale e nessun problema a livello della coagulazione;
  • al partner della paziente durante la preparazione all’ovodonazione.

Emocromatosi: HFE, analisi delle varianti p.C282Y e p.H63D
      Nell’uomo l’accumulo di ferro può provocare un ipogonadismo secondario, problemi di erezione e di libido. In alcuni casi è possibile risolvere il problema dell’infertilità tramite una cura per diminuire l’accumulo di ferro. Inoltre, sia lo stato eterozigote che quello omozigote per le due mutazioni più frequenti sono stati associati a una diminuzione della motilità degli spermatozoi e/o a una diminuzione degli ormoni FSH e/o LH sotto il valore fisiologico normale.

Indicazioni al test:


  • ipogonadismo secondario;
  • problemi di erezione o libido;
  • diminuzione della motilità degli spermatozoi;
  • valori di LH o FSH sotto il livello fisiologico normale.

Il test dovrebbe essere eseguito anche nel caso in cui la partner risulti portatrice o affetta da emocromatosi, a causa dell’alto rischio di trasmissione ereditaria.

Microdelezioni sul cromosoma Y (AZF)
      Questo esame permette di determinare se sono presenti delle delezioni di materiale genetico in 3 regioni specifiche del cromosoma Y, molto importanti nella spermatogenesi. Delezioni in questa zona sono responsabili di circa il 10% delle azoospermie o oligospermie gravi (meno di 10 milioni di spermatozoi al millilitro). Il test è consigliato agli uomini con oligospermia severa o azoospermia. Il risultato del test è importante sia per la terapia sia per le conseguenze sulla discendenza. Per la terapia perché il tipo di microdelezione trovata dà una chiara indicazione sulla possibilità o meno di ricorrere a una ICSI o TESE; per la discendenza perché, in caso di ICSI o TESE, bisogna considerare la possibilità di concepire un figlio maschio subfertile. Lo studio delle microdelezioni del cromosoma Y, oltre a fornire una diagnosi, permette di valutare la possibilità di ritrovamento di spermatozoi testicolari laddove sia necessario eseguire una biopsia a scopo riproduttivo (TESE). Infatti, nei casi di delezione completa della regione AZFa o di quella AZFb la probabilità di ritrovamento di spermatozoi è virtualmente zero. Nel caso la delezione fosse a carico della regione AZFc la probabilità di ritrovamento è intorno al 50% (Krausz e Forti 2000). Infine, l’indagine consente di proporre a scopo preventivo la crioconservazione del liquido seminale ai pazienti portatori di microdelezioni affetti da oligozoospermia, per ovviare alla progressiva riduzione del numero di spermatozoi nel tempo.

Indicazioni al test:


  • azoospermie;
  • oligospermie severe (<10 milioni di spermatozoi/ml).
  • MTHFR: metilene-tetraidrofolato-riduttasi

      Una variante nucleotidica conosciuta sul gene MTHFR, C677T, causa un aumento di omocisteina nel sangue e un abbassamento dell’acido folico. Secondo la letteratura, questo può portare all’infertilità maschile, incidendo in modo negativo sia sulla spermatogenesi sia sulla motilità degli spermatozoi. Da studi riportati in letteratura si è notato un aumento del numero e della motilità degli spermatozoi con l’acido folico. Si consiglia questa analisi se presente una o più delle seguenti indicazioni:


  • infertilità idiopatica;
  • spermiogramma con valori abnormi (numero, motilità);

      OAT (oligoastenoteratospermia: riduzione numero, motilità e aumento anomalie di forma).
FSH e FSHR
      Polimorfismi sul gene del recettore FSH (FSHR) e sul gene dell’ormone FSH possono essere responsabili di difetti a livello della spermatogenesi. In alcuni casi i pazienti con questa problematica traggono benefici dalla somministrazione di FSH. L’indagine genetica di due varianti sui geni FSHR e FSH permette di valutare un possibile trattamento dell’infertilità maschile con l’ormone FSH.

      In particolare, i pazienti azo/oligospermici con livelli normali di FSH e che presentano almeno una serina in posizione 680 sul gene FSHR (p.Ser680Asn) traggono benefici dalla somministrazione di FSH in termini di:


  • numero e concentrazione di spermatozoi;
  • motilità progressiva;
  • percentuale di spermatozoi con morfologia normale.

      Inoltre, una variante sul gene FSHB (-211 TT) è associata a livelli medio-bassi di FSH in uomini azo/oligospermici. Questo genotipo non è mai stato riscontrato in uomini con un livello di FSH elevato (>8 UI/l) o in uomini normospermici.

      Anche in questi pazienti portatori della variante sul gene FSHB (-211 TT) un trattamento con FSH induce un significativo miglioramento in termini di:


  • numero e concentrazione degli spermatozoi;
  • motilità progressiva.

L’analisi di queste due varianti è indicata in uomini con:


  • azo/oligospermia idiopatica;
  • altri fattori dello spermiogramma alterati (motilità, morfologia).
  • Analisi del gene anosmina (KAL1)

      Indagine da eseguire nei casi in cui vi sia una disfunzione ormonale con riduzione dei valori di FSH ed LH associata ad anosmia (assenza di olfatto). Tale condizione è definita sindrome di Kallmann, una malattia genetica legata al cromosoma X. Essa comporta un mancato o ridotto sviluppo sessuale nella pubertà ed è associata a infertilità. La diagnosi di sindrome di Kallmann comporta la definizione del rischio di trasmissione di difetti genetici alla prole, quindi sarebbe opportuno che i soggetti che ne sono affetti fossero informati su tale rischio.

Indicazione al test:


  • azoospermia associata a ipogonadismo ipogonadotropo primario e anosmia.

Conclusioni
       Lo sviluppo della genetica e delle tecniche diagnostiche a essa correlate permette di acquisire nuove conoscenze. Per quanto riguarda gli aspetti della fertilità maschile le nuove acquisizioni forniscono elementi utili ai fini diagnostici e in alcuni casi terapeutici e preventivi. Fondamentale risulta infine la consulenza genetica in quei casi selezionati che necessitano di ulteriori approfondimenti o di un’adeguata informazione sugli eventuali rischi riproduttivi a carico della prole.


Fonte Aldrich CL, Stephenson MD, Karrison T, et al. HLA-G genotypes and pregnancy outcome in couples with unexplained recurrent miscarriage. Mol Hum Reprod 2001;7(12):1167-72.
Cornet D, Cohen M, Clement A, et al. Association between the MTHFR-C677T isoform and structure of sperm DNA. J Assist Reprod Genet 2017;34(10):1283-8.

Iodio: indispensabile per la salute di mamme e bambini

         Micronutriente indispensabile per garantire il buon funzionamento della tiroide e assicurare la crescita e lo sviluppo del feto, lo iodio, quando non è assunto in quantità adeguate può riportare gravi effetti collaterali per la salute sia delle mamme sia del bambino: sviluppo mentale insufficiente, problemi di crescita, ipotiroidismo, infertilità, aborto spontaneo, ipertensione gravidica, distacco placentare, parto pretermine etc. Addirittura il quoziente intellettivo di bambini nati da madri ipotiroidee può essere ridotto.

Iodio: indispensabile per la salute di mamme e bambini          Alle giovani donne in età fertile e alle future mamme originarie di Paesi classificati come “insufficienti” dal punto di vista dell’assunzione di iodio, e che vivono in Italia, IBSA Farmaceutici dedica un opuscolo informativo, “Importanza dello iodio in gravidanza e nei bambini”, realizzato in 6 lingue: albanese, rumeno, inglese, francese, arabo e naturalmente in italiano.

         Secondo il Global Iodine Nutrition Network, diversi Paesi del mondo presentano un livello di assunzione di iodio insufficiente. Ma come capire se si ha o meno una carenza di iodio?

         Una prima valutazione può essere fatta in base all’area dove si abita o si è abitato negli ultimi anni. tuttavia, le informazioni circa il rischio di inadeguatezza dell’apporto in base al territorio di residenza non sono facilmente reperibili (oltre a richiedere conoscenze scientifiche adeguate). Inoltre, nonostante l’Italia sia circondata dal mare, molte zone sono a carenza iodica perché, diversamente da quanto si possa pensare, lo iodio si mangia, non si respira.

         “Questo è il motivo per cui la iodoprofilassi (dieta adeguata e uso di sale iodato) è sempre consigliata, indipendentemente dalla regione di residenza -spiega il Prof. Stefano Mariotti, Professore Ordinario di Endocrinologia e Direttore Dipartimento Scienze Mediche “M. Aresu” Università di Cagliari -. Lo iodio necessario per una adeguata funzione tiroidea di un adulto è pari a 150 mcg al giorno e si assume tutto con la dieta: crostacei e pesci e, in minor misura, latte latticini e uova. Per raggiungere la quota è sufficiente bere quotidianamente una tazza di latte, utilizzare il sale fino iodato per condire gli alimenti e mangiare pesce marino 2-3 volte alla settimana. Un’importante eccezione è rappresentata dalla donna in gravidanza e durante l’allattamento, quando il fabbisogno di iodio sale a circa 250 mcg al giorno, prosegue l’esperto. Senza l’uso del sale iodato per condire le pietanze, la dieta risulta spesso carente di questo elemento per motivi legati alla catena alimentare delle zone le cui acque contengono basse quantità di iodio”.

Per una conferma in più, basta eseguire una autovalutazione rispondendo a queste semplici domande:

1. Utilizzo per condimento sale iodato?

2. Assumo almeno due pasti a base di pese alla settimana?

         “Se la risposta è sì la carenza iodica può essere esclusa, altrimenti è abbastanza probabile. È fondamentale che ogni donna si ponga queste domande ben prima della gestazione e che, nel sospetto di una carenza, oltre ad utilizzare sale iodato e una dieta appropriata, consideri la possibilità di impiegare un supplemento di iodio anche nei mesi immediatamente precedenti il concepimento. L’integrazione di iodio è indispensabile in caso di regime dietetico vegetariano o vegano o nell’intolleranza al lattosio.

         Se vi è il sospetto di carenza iodica, è opportuno iniziare immediatamente a utilizzare il sale iodato e ad adottare una dieta adeguata. Inoltre nei 3-4 mesi precedenti alla gravidanza è opportuno associare una dose ulteriore di 50-200 mcg/giorno di iodio. L’integrazione con iodio potrà essere fatta utilizzando preparati multivitaminici ad hoc (che contengono vitamine, ferro, altri minerali e 100 - 200 mcg di iodio/dose giornaliera). Gli integratori multivitaminici rappresentano una buona soluzione pratica, avendo cura di scegliere integratori di qualità. ”, conclude il professor Mariotti.

Fonte http://www.piusanipiubelli.it/iodio-indispensabile-per-salute-di-mamme-bambini.htm

Gravidanza extrauterina: le cause e i sintomi

Ecografia esame ginecologico         L’inizio di una gravidanza è un momento unico nella vita di una donna, ma purtroppo non bisogna dimenticare che possono verificarsi anche delle complicanze: la principale e più pericolosa (per quanto statisticamente rara) è la gravidanza extrauterina. Per capire come si genera, bisogna sapere che l’ovulo viene fecondato quando si trova ancora nella tuba, ovvero nel canale che mette in comunicazione la zona ovarica e l’interno della cavità dell’utero.

        Quando lo spermatozoo prescelto riesce ad entrare nell’ovulo, questo inizia a moltiplicarsi dando origine alle prime fasi della formazione dell’embrione, che, mentre si sviluppa, si sposta attraverso la tuba per raggiungere la cavità dell’utero. Il viaggio dura 6-7 giorni alla fine dei quali l’embrione raggiunge il suo obiettivo di annidarsi all’interno dell’endometrio, un accogliente cuscino di vasi sanguinei e cellule materne pronte a nutrirlo e farlo crescere.

        Qualsiasi evento interferisca con questo percorso può far sì che questo coraggioso insieme di cellule si trovi ad essere pronto ad attaccarsi alla parete prima di arrivare in utero, oppure che sbagli il senso di marcia trovandosi ben lontano dal suo obiettivo.
La probabilità che una gravidanza si impianti al di fuori dell’utero è lo 0,5-1% di tutte le gravidanze.

Le sedi anatomiche in cui si può annidare sono le Tube di Falloppio nel 95% dei casi, ma anche il peritoneo, e più raramente le ovaie.

        I fattori che possono ostacolare l’avanzare dell’embrione sono per lo più anatomici o ormonali.

        Fattori anatomici. Ciò che può alterare l’anatomia tubarica sono infezioni tubariche e pelviche o interventi chirurgici nella zona circostante, questi possono generare aderenze e “appiccicare” letteralmente le tube che diventano irregolari rallentando il transito al loro interno, accanto a questi si possono elencare anche miomi o malformazioni che ne alterano la forma.

        Fattori ormonali. L’interferenza ormonale può alterare la capacità della tuba di spingere l’embrione grazie alla sua peristalsi, oppure modificare il tempo di maturazione dell’embrione stesso. Questi eventi possono essere causati da alterazioni ormonali della donna o da interventi di procreazione medico assistita.
      
        Accanto a queste esistono altri fattori interferenti, ma di significato più complesso e controverso, come endometriosi, anomalie congenite, anomalie cromosomiche, tasche cieche, povera qualità del seme, tumori, stress psicologici.

        Quando si verifica una gravidanza extrauterina i rischi sono numerosi e di gravità molto variabile, perché l’embrione si impianta in un tessuto non adatto ad accoglierlo e ne danneggia la struttura. Ovviamente la gravidanza non potrà svilupparsi a lungo, ma prima di arrestare la propria crescita può erodere il tessuto cui ha aderito.

        Quali sono i sintomi di una gravidanza extrauterina? Per prima cosa nella maggior parte dei casi, si noterà l’assenza di flusso mestruale ed in questo caso il ginecologo al primo controllo si occuperà di verificare che la gravidanza sia in utero, e nel caso abbia dei dubbi darà indicazione ad eseguire gli esami necessari ad accertarlo, ma nel caso di sanguinamenti anomali interpretati come mestruazioni la gravidanza extrauterina può svilupparsi prima di essere diagnosticata, in questo caso i sintomi sono molto variabili, da semplici perdite di sangue a quadri di peritonite.

        Per prevenire questi eventi è importante che quando si ha il sospetto di una gravidanza in atto ci si rechi subito dal proprio medico per effettuare tutti gli esami adeguati alla diagnosi. Se hai dubbi o incertezze, quindi, non esitare a rivolgerti al tuo ginecologo!

Fonte https://lines.it/ginecologia/gravidanza/gravidanza-extrauterina-le-cause-e-i-sintomi

Frammentazione del DNA

Che cosa è la frammentazione del DNA?
       La funzione dello spermatozoo è di trasportare la catena di DNA del padre e inserirla nell’ovulo alla formazione dell’embrione. In questo modo, l’embrione porterà la metà del DNA di ogni genitore. Se la catena di DNA è danneggiata, si possono sviluppare problemi di infertilità maschile o aborti. La tecnica per la quantificazione del danno al DNA è conosciuta come citometria a flusso.
Картинки по запросу Frammentazione del DNA
       Normalmente, danni alla catena di DNA sono associati a fattori ambientali conosciuti come agenti ossidanti. Inoltre, ci sono anche altri fattori che possono produrre la frammentazione del DNA come aver avuto la febbre, avere varicocele, tabacco o infezioni del tratto genitale. Anche l’età del padre o alcuni farmaci e integratori alimentari possono aumentare la frammentazione del DNA.

Quali sono le conseguenze della frammentazione del DNA?
       Quando queste rotture del DNA sono molte e in molti spermatozoi, la probabilità che un ciclo di fecondazione in vitro (FIV) abbia un risultato negativo è maggiore. La frammentazione del DNA è legata anche alla bassa qualità embrionale, insuccessi di impianto e aborti ripetuti.

giovedì 30 agosto 2018

Mi faccio un bel regalo: smetto di fumare!

 Inscriversi in palestra. Dimagrire cinque chili prima della prova costume. Mangiare meno carne... Fra i buoni propositi dell’anno nuovo, per molti c’è anche smettere di fumare. In Italia, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, si contano 11 milioni di persone dipendenti dal tabacco, la cui nicotina, attraverso il rilascio di dopamina e altri neurotrasmettitori (seratonina, adrenalina, vasopressina) dà un senso di momentaneo benessere e rende più difficile dire “basta!”. Di motivi per non accendere le sigarette se ne contano tanti. A cominciare dal numero di morti causate ogni anno dal fumo nel nostro Paese: ben 80mila, divise in 44mila per patologia oncologica, 12mila per problemi pneumologici e il resto fra ictus e infarti. “Per curare le centinaia di malattie che derivano da questa dipendenza – afferma il dottor Vincenzo Zagà – si spendono circa 6,7 miliardi di euro, senza contare i costi sociali e il carico di sofferenza. Dobbiamo iniziare a pensare al tabagismo come a una malattia mortale e non solo come un fattore di rischio. E per salvarsi la vita esiste un solo modo: smettere di fumare, che è il più importante intervento di sanità pubblica per la prevenzione primaria delle patologie correlate al fumo”.

No al fai-da-te

Mi faccio un bel regalo: smetto di fumare!
        “Uno studio del Ministero della Salute inglese – ricorda il presidente della Sitab – già alcuni anni fa ha dimostrato come un counseling breve, associato all’uso di farmaci di provata efficacia, è capace di salvare molte più vite di altri (e pur importanti) progetti di screening, per esempio quello per la prevenzione del cancro della cervice uterina o gli interventi di prevenzione delle patologie cardiovascolari come infarti e ictus, con farmaci anticolesterolo e antipertensivi. Ma la chiarezza dei dati scientifici si scontra con l’idea che il fumo di tabacco sia un problema risolvibile con la sola buona volontà e, perciò, non abbia bisogno di trattamenti e servizi di cura. Mentre smettere di fumare da soli è il metodo più diffuso, ma anche quello meno efficace, che produce un esito dell’1-3% a distanza di un anno, i trattamenti farmacologici riescono a decuplicare le percentuali di successo”. Sia da giovane sia dopo gli anta, la popolazione femminile deve stare ancora più attenta. “Le ragazze fumatrici che assumono la pillola sono più esposte al rischio di tromboembolia” ricorda il dottor Zagà. Stessa cosa per le over 50 che sono in cura con i farmaci sostitutivi ormonali dopo la menopausa. Anche le donne in gravidanza possono smettere con l’aiuto dei dispositivi a base di nicotina come i cerotti, le gomme e gli inaler, che soddisfano anche la gestualità e ritualità di avere in mano una sigaretta. Un accorgimento contro le ricadute ce lo suggerisce Sharon Allen, in un articolo pubblicato su Addiction, che ha dimostrato come il trattamento farmacologico abbia più possibilità di riuscita se iniziato nel periodo post ovulatorio e non in quello precedente”.

Fonte http://www.piusanipiubelli.it/salute/prevenzione/mi-faccio-bel-regalo-smetto-di-fumare.htm

FISH

Che cosa è la tecnica FISH?
FISH       Con la tecnica FISH è possibile studiare i cromosomi degli spermatozoi, dove si trova il materiale genetico di un uomo che sarà trasferito alla sua prole. Per questo, il laboratorio di genetica esegue una tecnica di ibridazione mediante sonde di DNA, con particolare affinità per alcuni cromosomi. I risultati dovrebbero essere analizzati con un’attrezzatura speciale per rilevare la fluorescenza che trasmettono queste sonde.

       L’analisi dello sperma mediante FISH ci permette di determinare i livelli di spermatozoi con numero anomalo di cromosomi. Se tale percentuale si rivela alterata, di solito ci sono implicazioni per la fertilità della coppia. La carica cromosomica è anche legata ad aborti ripetuti. In questi casi, l’embrione è fecondato, si sviluppa e si impianta, ma finisce con un aborto.

        Ogni cellula del corpo umano ha 23 coppie di cromosomi. Tuttavia, i gameti (ovuli e spermatozoi) per essere cromosomicamente normali devono averne la metà, cioè 23 cromosomi. Se il processo di divisione, conosciuto come meiosi non è corretto, i cromosomi non sono distribuiti in maniera equivalente e formano gameti anormali. Se un gamete maschio anomalo feconda un ovulo normale, anche gli embrioni saranno portatori di questa anomalia.

Quando è indicata la tecnica FISH?
L’analisi FISH è indicata quando:


  • La coppia che è venuto alla clinica è diagnosticata con un poblema di aborto di ripetizione.
  • Insuccesso di impianto.
  • Abbia avuto una gravidanza precedente con una cromosopatia.
  • Il seminogramma è di qualità molto scarsa.
  • Il maschio è stato sottoposto a sedute di radio o chemioterapia.

Ricominciare da 50: la menopausa vista dalle donne

Ricominciare da 50: la menopausa vista dalle donne         La menopausa, secondo la definizione del Ministero della Salute, è un momento fisiologico della vita della donna che coincide con il termine della fertilità, momento da sempre vissuto come cruciale e problematico.

         Durante la menopausa si possono verificare serie di disturbi: vampate di calore, sudorazioni profuse, sbalzi di umore, disturbi della concentrazione e della memoria. Per questo è importante conoscere questa fase della vita e sapere come intervenire al meglio prima e durante la menopausa.

         L’indagine del Censis “Ricomincio da 50”, effettuata nel 2017 e svolta dalla dott.ssa Ketty Vaccaro, affronta il tema della menopausa raccontata direttamente dalle donne.

La ricerca: campione e risultati
         L’indagine è stata effettuata su un campione di 1.028 donne tra i 45 e i 65 anni. La fascia d’età in cui avviene il passaggio alla menopausa sono mediamente i 51 anni.

         “La ricerca – ha affermato la dott.ssa Vaccaro – evidenzia come le donne affrontino, si documentino e comprendano il tema, e coinvolge una fascia d’età che ha un grande impatto sull’universo femminile del nostro Paese. In Italia, ci sono quasi 5 milioni di donne tra i 45 e i 54 anni, mentre sono 4 milioni tra i 55 e i 65 anni. Qualche generazione fa, per le nostre nonne – prosegue la dott.ssa Vaccaro – la menopausa era come un rito di passaggio verso la terza età, un avviamento verso un declino psicofisico. Oggi, invece, non è così: le donne sono attive sia dal punto di vista familiare (sono mamme, mogli, gestiscono la casa), ma anche dal punto di vista lavorativo”.
tabella prevenzione
Un ruolo fondamentale nella prevenzione lo gioca l’informazione, l’82,8% delle donne si ritiene ben informato in merito alla menopausa. Le fonti di informazione sono principalmente il medico specialista (63,7%), seguito dal medico di base (31%). Altre fonti vengono utilizzate anche se da piccole minoranze e sono: siti web (9,8%), tv (3,6%), social network (1,8%).

         Prevenzione e terapia ormonale sostitutivaFonte: indagine del Censis, effettuata nel 2017 e svolta dalla dott.ssa Ketty Vaccaro.

         Importante è, dunque, la prevenzione che passa attraverso l’attività fisica e uno stile di vita sano, ma anche attraverso una visita ginecologica, il Pap-test e lo screening senologico. Il 24,7% delle donne afferma di non avere alcun interesse per la prevenzione, preferendo di risolvere il problema nel momento in cui si presenta. Il 52,5% dichiara di svolgere regolarmente attività fisica, mentre il 44,1% assume regolarmente vitamine e/o integratori. Quasi tutte le donne (96,2%), invece, si sottopongono ai test e alla visita ginecologica.

         La menopausa comporta disturbi che possono sicuramente impattare sulla vita quotidiana e associarsi a un aumentato rischio di sviluppo di malattie come l’ipertensione e l’osteoporosi. La terapia ormonale sostitutiva (TOS), associata a uno stile di vita sano, è utilizzata per il trattamento dei disturbi menopausali. Poco più della metà delle donne afferma di conoscerla (51,9%).Gran parte delle donne in menopausa (87,3%) non assume farmaci per diversi motivi: il 48,6% non pensa si debbano usare farmaci; il 33,9% pur avendoli assunti, pensa di non avere più bisogno; al 12,8%, invece, sono stati sconsigliati dal ginecologo.

Grafico farmaco e menopausa         Giovanni Scambia, Presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostreticia (SIGO), afferma che “la SIGO si sta occupando molto del tema, bisogna sensibilizzare il più possibile quel 12% di ginecologi sconsigliano la terapia sostitutiva. I nuovi laureandi, però, non sottovalutano assolutamente il tema della menopausa e questo è un aspetto confortante per il futuro delle nostre donne”.

         Stefano Lello, Società Italiana di Ginecologia della Terza Età, ritiene che “la menopausa condiziona inevitabilmente lo stile di vita della donna, ma non deve assolutamente essere un fattore che ne rallenta il modo di vivere. Per far questo sono fondamentali la preparazione del ginecologo che deve informare la donna senza spaventarla e deve fornirle i corretti strumenti per affrontare nel migliore dei modi questo passaggio. La meno pausa va vissuta attivamente.”

         Elsa Viora, Presidente Associazione Ostetrici e Ginecologi Italiani, ritiene che “tutte le società scientifiche hanno l’obbligo di diffondere una giusta cultura in merito alla menopau2sa. E’ aberrante che il 12% dei ginecologi sconsiglino la terapia. Questo dato lascia assolutamente esterrefatti. Credo – conclude- che sia fondamentale trovare un punto di equilibrio tra il non banalizzare e non medicalizzare in modo eccessivo questo evento.”

Fonte https://www.progestazione.it/saperne-di-piu/ricominciare-da-50-menopausa/

Gravidanza dopo i 40 anni: le cose da sapere

Donna incinta       Rimanere incinta, magari per la prima volta, quando si sono superati i 40 anni, può lasciare nel cuore mille emozioni diverse. Anche chi pensava di essere preparata all’evento può ritrovarsi con tanti dubbi nella mente. Se lo sentissero le nostre nonne, che a 40 anni avevano già una squadra di figli e solo certezze, si farebbero una risata, ma nel mondo di oggi sono infinite le circostanze che portano le donne a posticipare la prima gravidanza in attesa di sicurezze economiche ed emotive. L’Italia, in particolare, è il paese in Europa con il maggior numero di gravidanze in età avanzata.

È possibile analizzare gli effetti di una gravidanza ricercata e vissuta a quest’età da due punti di vista: l’impatto dell’età materna sullo sviluppo fetale e l’impatto della gravidanza sull’organismo materno.

       Già dalla fase di ricerca di un bimbo l’età può creare delle difficoltà in quanto la fertilità femminile diminuisce con il passare degli anni, tra i 20 ed i 40 anni, la capacità di concepire si dimezza, e aumenta il rischio di aborto spontaneo nel primo trimestre che passa dal 20% tra i 20 e i 30 al 40% dopo i 40. Questo significa che sarà necessario applicarsi di più per rimanere incinta, nulla di male, ma anche prepararsi emotivamente a qualche evento avverso.

       Superata la fase iniziale della gravidanza, rimane da affrontare il rischio di anomalie cromosomiche, come la sindrome di Down, che passa da 1 su 1500 intorno a 20 anni ad 1 su 100 a 40 anni. Per far fronte a queste evenienze la coppia dovrà scegliere se sottoporsi a test di diagnosi prenatale e potrà scegliere tra gli esami non invasivi statistici, come il Bitest o la ricerca di DNA fetale nel sangue materno o esami invasivi diagnostici come la villocentesi e l’amniocentesi.
Sciolti quesiti e preoccupazioni sulla salute del bambino, la futura mamma dovrà gestire con attenzione la risposta del proprio corpo alla gravidanza, e adottare uno stile di vita che le permetta di viverla con tranquillità.

       Il corpo adatta il proprio sistema circolatorio e i metabolismi per fornire nutrimento ed ossigeno al piccolo: questo può dare origine a sovraccarichi che portano ad ipertensione e gestosi, e ad alterazioni metaboliche che possono portare a forme gestazionali del diabete. Ecco perché è particolarmente importante controllare la propria alimentazione, e iniziare ad assumere acido folico fin dall’epoca preconcezionale, ovvero il periodo in cui la donna (e per estensione la coppia) è aperta alla procreazione e il concepimento. Come tutte le donne in gravidanza, poi, anche le quarantenni dovranno evitare di bere alcolici ed eliminare le sigarette se sono fumatrici.

        In pratica vivere una gravidanza a 40 anni non deve spaventare e deve emozionare come ad ogni età, ma va affrontata con quella saggezza e consapevolezza di sé che è più probabile trovare in una donna di 40 anni che in una di 20.

Fonte https://lines.it/ginecologia/gravidanza/gravidanza-dopo-i-40-anni-le-cose-da-sapere

Come inizia una gravidanza: l'impianto

Gravidanza
        Ogni madre in gravidanza riesce a pensare il suo bimbo quando lo sente muovere in pancia e inizia a conoscerne riti e comportamenti, e con un po’ di sforzo può cercare di immaginarlo già nei primi mesi, quando i suoi movimenti seppur frenetici e continui sono silenziosi e impercettibili, ma cosa succede prima ancora di questo, ovvero nella primissima fase dell’impianto?

        In realtà la gravidanza ha origine molto prima, anche prima del risultato positivo del test. Infatti a metà del ciclo mestruale, circa in 14^ giornata, l’ovulo liberato dall’ovaio materno inizia il suo viaggio attraverso una tuba di Falloppio; questo viaggio dura tre giorni, durante i quali per 24 ore mantiene la capacità di essere fecondato. Se in quelle 24 ore avviene un rapporto non protetto, il liquido seminale raggiunge le Tube di Falloppio con il suo carico di spermatozoi, e qui l’ovulo incontra tra miliardi lo spermatozoo che ne causerà la fecondazione: ancora all’interno della tuba, il processo ha inizio.

Come avviene l’annidamento

        Da quando ovulo e spermatozoo si incontrano passa una settimana prima che l’embrione formato raggiunga l’utero. In questa settimana pian piano cresce e moltiplica le proprie cellule, ma soprattutto dà origine ad uno strato di cellule che sono in grado, una volta raggiunto l’utero, di infiltrarsi all’interno della parete uterina dove troverà nutrimento ed ossigeno.

        Per comprendere il processo d’impianto bisogna sapere che la cavità dell’utero è ricoperta da un “cuscinetto” di cellule e vasi sanguigni denominato endometrio, che si ispessisce durante il ciclo ovarico e uterino proprio per predisporsi all’insediarsi di un eventuale embrione al suo interno.

        Alla fine della prima settimana di gravidanza l’embrione è formato da circa 180 cellule, si appoggia all’endometrio come su un cuscino e inizia ad eroderne la superficie. Sommando i tempi si calcola di essere ancora in 23^-24^ giornata del ciclo. Questo processo avviene grazie ad un dialogo tra embrione ed endometrio, che si attivano a vicenda per ottenere il completo annidamento dell’embrione all’interno della parete uterina.

        L’annidamento si completa intorno al 13° giorno dal concepimento, circa la 28^ giornata, siamo al salto mestruale. Da ora in poi, parte dell’embrione continua a trasformarsi per dar forma a quella che sarà la placenta, che è formata da un albero di vasi sanguigni che entrano in contatto con il sangue materno e ne assorbono nutrienti, ossigeno e altre sostanze di vario genere. Contemporaneamente le parti dell’embrione che devono organizzarsi in tessuti per dare forma agli organi fetali continuano incessantemente a trasformarsi e, nel giro delle prime 16 settimane di gravidanza, daranno origine ad un minuscolo individuo completo e pronto a crescere, maturare ed infine nascere.

Annidamento, i sintomi da osservare

        In pochi mesi, dal nulla si genera un individuo, e quasi senza farsi accorgere, infatti ci sono mamme che, complice un’abitudine a salti mestruali o irregolarità si accorgono della gravidanza quando sono già nel secondo mese. Ma non sempre questo processo avviene in silenzio, vi sono infatti diversi sintomi di annidamento che possono aiutarci a seguire il cammino dell’embrione.

        Il fatto è che fecondazione ed annidamento avvengono nella fase che la donna percepisce come premestruale, in un periodo in cui la futura mamma non è concentrata ad ascoltare i segnali del suo corpo, di cui inizia ad accorgersi solo quando il salto mestruale la mette in allerta.

        Ma i segnali possono esserci, infatti durante l’impianto si possono percepire piccole fitte nella parte bassa del bacino e a livello del perineo, e ci possono essere perdite ematiche, dovute proprio all’erosione dell’endometrio ed alla risposta ormonale alla fecondazione. Subito dopo saranno evidenti la tensione mammaria e indolenzimento a livello del basso ventre. Questi sintomi spesso vengono interpretati a posteriori in quanto sono molto simili ai dolori premestruali cui molte donne sono abituate, e solo al sopraggiungere del salto mestruale e delle prime nausee prendono tutto il loro significato.

        Le perdite ematiche in questa fase della gravidanza possono essere frequenti e dovute a numerosi fattori, le perdite da impianto ne sono una dimostrazione. In questa fase il corpo subisce sbalzi ormonali e modificazioni vascolari importanti che possono giustificare sintomi e perdite; è importante ascoltare se stesse senza ansia, e chiedere il parere al proprio ginecologo per capire se i sintomi sono legati a problematiche o sono solo segni fisiologici della gravidanza iniziale, da ascoltare e seguire nel tempo per comprendere e ammirare dall’esterno l’incredibile percorso del piccolo individuo che si sta formando e con straordinaria determinazione si fa strada fino a venire al mondo, da due cellule iniziali, grazie al corpo della sua mamma.

        Se vuoi saperne di più su quello che succede nel corso della gestazione, leggi anche l’articolo Settimane di gravidanza, il diario mese per mese, la nostra guida step by step per conoscere l’evoluzione dello sviluppo del bambino e le trasformazioni del corpo femminile durante tutta la dolce attesa.

Fonte https://lines.it/ginecologia/gravidanza/come-inizia-una-gravidanza-limpianto

mercoledì 29 agosto 2018

Gravidanza e sterilità: sintomi, cause, rimedi

Картинки по запросу Gravidanza e sterilità       Spesso infertilità e sterilità vengono confuse e assimilate. In realtà non si tratta della stessa cosa. La sterilità infatti indica l’incapacità biologica di un uomo oppure di una donna di concepire, mentre con il termine infertilità si intende l’incapacità da parte di una donna in grado di concepire di portare a termine la gravidanza. In lingua inglese per entrambe le situazioni viene utilizzata la parola “infertility”, cosa che nel tempo ha portato ad una sovrapposizione dei termini. Anche in ambito formale spesso la differenza viene elusa dalle autorità sanitarie, dai progetti ministeriali e dal personale medico, che utilizzano i due termini come fossero sinonimi.

       Secondo l’International Council on Infertility Information Dissemination (INCIID, Consiglio Internazionale per la Diffusione di Informazioni sull’Infertilità) una coppia è sterile quando dopo un anno di rapporti protetti non si è verificato il concepimento, mentre una donna è sterile se, superati i 35 anni, dopo sei mesi non riesce a rimanere incinta. Una donna è infertile invece quando, pur rimanendo incinta, non riesce a portare a termine la gravidanza.

Sterilità primaria e secondaria
       Il termine sterilità primaria fa riferimento a uomini e donne che non sono mai stati in grado di concepire un figlio. La sterilità secondaria invece indica una coppia (oppure un uomo o una donna) che hanno già avuto dei figli, ma che non riescono a concepirne un secondo. Le cause di questa condizione possono essere varie, spesso sono legate a problemi ormonali o fisici, ma anche psicologici, come l’eccessivo stress provato nel tentativo di avere un bambino.

Картинки по запросу Gravidanza e sterilitàLa sterilità femminile
        La donna raggiunge il suo periodo di massima fertilità a 23 anni, questa poi decresce in modo lento sino ai 30 anni e più rapidamente fra i 30 e i 35. Dopo i 35 anni la fertilità subisce un fortissimo calo, sino alla menopausa, quando la donna smette di ovulare. L’ovulo della donna è fecondabile tra il 17° e il 12° giorno prima del ciclo, al di fuori di questi giorni non è possibile la fecondazione. I fattori che impediscono la fecondazione dell’ovulo possono essere molti e dipendono sempre dai singoli casi. Fra le prime cause di sterilità, secondo alcuni studi, ci sarebbe la carenza di acido folico.

Fonte https://dilei.it/mamma/gravidanza-sterilita-sintomi-cause-rimedi/476299/

Rimanere incinta: perché non riesci?

non riuscire a rimanere incinta
       “Perché non riesco a rimanere incinta?” - Sono sempre di più le donne che si ritrovano a fare i conti con questa domanda, anche perché l’essere umano non è poi così fertile se paragonato agli altri animali. È stato riportato infatti che la probabilità di concepimento per ciclo nella donna non arriva al 25%. Se si pensa che nei conigli addirittura sfiora il 100% traiamo le dovute conclusioni riguardo alle reali possibilità della nostra specie! Non è quindi così facile rimanere incinta… e subito!

       Eppure, capita che per la maggior parte delle coppie il pensiero “non riesco a rimanere incinta, cosa posso fare?” diventi un tormentone già dopo il primo mese di ricerca prole senza riuscire a concepire.

       Se vogliamo essere ancora più precisi e facciamo un grafico sulla fertilità nella specie umana, disegnando una curva della popolazione normale che cerca figli nel tempo, vediamo che la media della popolazione, ovvero l’apice della nostra curva, riesce a concepire dopo circa sei mesi di rapporti mirati. Ma quando allora la coppia viene definita sterile, e quando è consigliabile iniziare le prime indagini per scoprirne le cause?

Fertilità e infertilità

       Nella pratica corrente, si parla di infertilità dopo un anno di ricerca di un figlio senza esito, periodo in cui secondo i calcoli precedenti, avrebbe dovuto concepire più del 90% delle coppie fertili. A questo punto, pur sapendo che in quasi la metà dei casi non troveremo alcuna causa, è bene procedere con esami più approfonditi. Vedremo poi più nel dettaglio quali esami siano da fare.

       L’infertilità colpisce il 15% delle coppie in età riproduttiva (ben circa 6 milioni di coppie) e rappresenta un problema sempre più crescente negli ultimi anni e in tutti i paesi del mondo.

       Più precisamente si riconosce un’infertilità primaria, quando la coppia non ha mai avuto figli e non è mai stata in grado di concepire; un’infertilità secondaria quando si è già verificato nella coppia un concepimento, esitato in un parto a termine, un aborto o una gravidanza extrauterina.

La fertilità raggiunge il suo apice verso i 25 anni nella donna, rimanendo costante fino ai 35 anni di età, per poi iniziare a calare progressivamente nel tempo. Anche nell’uomo, contrariamente a quello che si crede, l’età incide sulla qualità del seme, pur non essendoci un traguardo vero e proprio come invece accade nella donna che va in menopausa più o meno ad un’età ben definita.

       La ricerca di un figlio viene ad oggi sempre più posticipata e sono sempre più le coppie che decidono di intraprendere una gravidanza in età più avanzata rispetto a prima; questo comporta sicuramente una riduzione del numero e della qualità delle cellule uovo e degli stessi spermatozoi come abbiamo visto.

Non riesco a rimanere incinta: perché?

       Diversi fattori, tra cui l’inquinamento ambientale e lo stile di vita, giocano un ruolo fondamentale nella fertilità: ad esempio, l’abuso di sostanze come fumo e alcolici, l’uso cronico di alcuni farmaci o droghe, professioni a rischio per esposizione a sostanze tossiche o radiazioni. Anche uno stress psicofisico prolungato è in grado di ridurre transitoriamente la fertilità in una coppia, andando ad alterare sia l’ovulazione che la spermatogenesi.

       In tutti questi casi, la rimozione del fattore di rischio già in sé permette di migliorare la situazione e di incrementare la fertilità dell’individuo e della coppia stessa.

       Non dimentichiamoci poi quei periodi definibili di subfertilità fisiologica, come l’allattamento e la premenopausa, in cui è davvero difficile rimanere incinta.

       Ma possiamo fare qualcosa per incrementare la nostra fertilità o dobbiamo aspettare passivamente che passi questo fatidico anno di ricerca per poter procedere ad ulteriori accertamenti?

Non riesco a rimanere incinta: cosa posso fare?

       Si sente parlare in giro di posizioni per rimanere incinta, da assumere durante il rapporto per facilitare la fecondazione, o di pozioni magiche da ingerire nel periodo fertile… Vediamo di far luce su questi “rimedi della nonna”. Dopo un rapporto sessuale, gli spermatozoi depositati nel corpo femminile raggiungono la tuba in circa 5 minuti; quindi non servono assolutamente a nulla le posizioni acrobatiche antigravitazionali assunte dalla donna per favorire la risalita degli spermatozoi. È invece necessario che ci sia un numero adeguato di spermatozoi in grado di muoversi in modo rettilineo e progressivo e che abbiano una forma normale in modo da riuscire a penetrare nell’uovo quando lo incontrano!

       Invece è risaputo che alcuni rimedi fitoterapici utilizzati ancora in diverse popolazioni nel mondo ed arrivati anche a noi siano in grado di migliorare la fertilità. La Maca per esempio è una pianta dell’America latina con notevoli proprietà stimolanti la fertilità sia femminile che maschile.

       Senz’altro adottare uno stile di vita corretto senza troppe ansie e aumentare semplicemente il numero di rapporti a settimana (uno a giorni alterni sarebbe l’ideale!) sarebbero strategie sufficienti a metterci la coscienza a posto di aver fatto tutto il possibile per cercare un figlio.

Non riesco a rimanere incinta: quali esami devo fare?

       Quindi abbiamo capito che per l’essere umano non è così facile rimanere incinta, che cercare un figlio è un lavoro vero e proprio e quindi bisogna incrementare l’attività sessuale e che bisogna aspettare almeno un anno di ricerca prima di procedere a fare indagini mirate.

       A questo punto, passato un anno di ricerca gravidanza senza esito, vediamo quali sono gli esami utili per cercare le possibili cause di infertilità e curarle là dove possibile.

Картинки по запросу Rimanere incinta: perché non riesci?       Essenzialmente sono tre gli step necessari per una corretta fecondazione: la presenza dell’uovo, la presenza dello spermatozoo, il passaggio aperto per far sì che le due cellule si incontrino, ovvero la tuba aperta.

       L’uomo deve raccogliere il seme, che viene analizzato mediante lo spermiogramma, esame che permette di rilevare il numero, la motilità e le forme normali degli spermatozoi. In caso di un’alterazione di questi tre parametri è bene rivolgersi successivamente ad un andrologo, poiché esistono preparati farmacologici in grado di risanare la situazione.  Più raramente si ricorre alla correzione chirurgica di un varicocele, patologia che consiste nella dilatazione delle vene del testicolo, quando ritenuto corresponsabile.

       Per valutare la qualità dell’ovulazione la donna deve fare una valutazione ormonale, mediante prelievo del sangue eseguito in fasi diverse del ciclo mestruale, unitamente ad un’ecografia transvaginale che permette di vedere la maturazione dei follicoli nell’ovaio e contemporaneamente la preparazione dell’endometrio (rivestimento interno dell’utero) all’impianto. La donna può così valutare anche la sua “riserva ovarica”, ovvero la qualità delle uova di cui dispone.

       Altro esame a cui la donna deve sottoporsi è la valutazione dell’apertura delle tube (pervietà tubarica). Quest’ultima permette di studiare la sede in cui avviene l’incontro della cellula uovo e dello spermatozoo (fecondazione), e nello stesso tempo la morfologia della cavità uterina, sede dove avverrà successivamente l’impianto dell’embrione. Gli esami a disposizione attualmente che permettono di valutare questo sono l’isterosalpingografia e l’isterosonografia.

       Una volta eseguiti gli accertamenti richiesti, la coppia si potrà rivolgere al ginecologo di fiducia che si occupi di infertilità per capire se ci sia una causa alla base dell’infertilità e per valutare le cure del caso.

       Le cause più frequenti di infertilità sono da ricondurre a problemi dell’ovulazione o comunque a problematiche ormonali, a pari merito con il fattore maschile, quindi con un problema di spermatozoi. L’infertilità tubarica ricopre una minima percentuale dei casi.

       In quasi la metà dei casi però non si trova alcuna causa e si parla di infertilità idiopatica o “sine causa” appunto.

       Diversi sono i farmaci che si possono utilizzare per stimolare un’ovulazione un po' deficitaria o per sostenere la fase del ciclo carente, qualora la causa dell’infertilità fosse ormonale e comunque trattabile perché non così grave da impedire la ricerca di una gravidanza fai da te.

       Qualora invece le tube fossero chiuse, o gli spermatozoi davvero compromessi da impedire un concepimento spontaneo, o alla fine non si è neanche arrivati a trovare una causa, non tutto è perduto, perché si può ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) ed aumentare così la possibilità di rimanere incinta.

        Queste tecniche variano a seconda della causa che provoca l’infertilità, ma sarà il vostro ginecologo di fiducia ad inviarvi presso i centri dedicati.

Fonte https://lines.it/ginecologia/gravidanza/rimanere-incinta-perche-non-riesci

Cresce il social freezing, ma solo il 7% delle donne usa ovuli congelati

        Il social freezing, una sorta di assicurazione contro un declino della fertilità legato all’età, è in molti paesi una tecnica abbastanza praticata, ma in Italia ancora poco conosciuta. Per capire chi sono coloro che scelgono di farlo, gli esperti del Centro di Bruxelles per la medicina della riproduzione hanno registrato l’esperienza di 563 donne che hanno congelato le uova tra gennaio 2009 e novembre 2017. Ne è emerso che l’età media di coloro che congelavano le uova era di 36,5 anni e in media veniva congelato (in genere tramite vetrificazione) un numero medio di 8,5 ovuli a paziente ad ogni ciclo di trattamento.
Картинки по запросу Cresce il social freezing
       Ma finora solo il 12,8% (72 su 563) è rientrato in clinica per effettuare un trattamento di riproduzione e solo il 6,7% (43) ha avuto i propri ovuli scongelati, fecondati e trasferiti. Il tasso di sopravvivenza globale delle uova scongelate era del 73%, a dimostrazione dell’elevata efficienza della vetrificazione; in totale però solo una su 3 ha ottenuto la gravidanza dopo il trasferimento degli embrioni, ovvero 32,6% (14 su 43). Questo avviene, afferma il primo autore della ricerca Michel De Vos, perché “tornano a un’età media di 42 anni dopo aver vetrificato i loro ovociti ad un’età media di 36”. Ma, come con qualsiasi trattamento di fertilità, la qualità delle uova diminuisce marcatamente con l’età, e le percentuali di successo sono inferiori al 33% nelle donne che congelano le loro uova oltre questa età.

Fonte ANSA

Gravidanza: Cantare al pancione farà piangere di meno il bebè

       Ad affermarlo è la stessa scienza grazie alla ricerca portata avanti da un team di ricercatori tutto italiano condotta dall’Università di Milano Bicocca e pubblicata sulla rivista inglese  “Women and Birth”.

       Questo studio ha visto coinvolte circa 170 future mamme che sono state seguite dalla loro 24 settimana gestazionale fino ad un mese dopo il parto.Gli studiosi le hanno sottoposte ad una serie di domande relative alle loro abitudini e ai loro comportamenti durante i nove mesi e dopo il parto, prestando attenzione alle loro abituale o meno tendenza a cantare al proprio piccolo.Le future mamme sono state poi suddivise in due gruppi: chi aveva l’abitudine a cantare al pancione e chi no.

       I ricercatori hanno poi esaminato i bambini dopo la nascita e chiesto alle mamme di descrivere i comportamenti, il carattere e gli atteggiamenti dei loro bambini, ciò è servito ai ricercatori per capire se i bambini si comportavano tutti allo stesso modo o erano influenzati dal comportamento delle loro madri. Le risposte hanno messo in luce come il 25% dei bambini nati da madri “silenziose” presentavano maggiori vagiti e pianti rispetto ai piccoli nati da madri canterine, circa il 18%. Il canto nel periodo gestazionale ha avuto effetti positivi anche sulle coliche: i bambini che avevano avuto mamme canterine erano in grado di piangere circa 15 minuti in meno rispetto a chi aveva avuto madri silenziose.

        Inoltre i ricercatori hanno valutato anche il tipo di attaccamento nella diade sia prima che dopo al nascita attraverso l’ausilio del  Prenatal attachment inventory (Pai) mettendo in evidenza come nei 3 mesi successivi alla nascita i piccoli cresciuti con le ninne nanne presentavano un maggiore livello di attaccamento.

Fonte https://www.chedonna.it/2017/05/02/gravidanza-cantare-al-pancione-fara-piangere-meno-bebe/

Italiane in menopausa: non trascurate il cuore

Картинки по запросу Italiane in menopausa        Le trasformazioni meno evidenti non vanno però trascurate, perchè abbassandosi il livello di estrogeni, il cuore delle donne è esposto a rischi pari a quello degli uomini.

        E sembra che solo una donna su cinque sia consapevole dell’indebolimento del proprio cuore durante la menopausa. Tre su dieci sono invece consapevoli di essere a rischio quanto il sesso forte, per quanto riguarda il cuore.
        Lo rivelano i dati raccolti da Ipsos su 752 italiane in occasione del Mese della donna Pro-Activ, una campagna di sensibilizzazione ed informazione sul benessere in menopausa, che si svolgerà nel corso di questo mese in 8 città italiane.
        L’iniziativa, che ha come testimonial Loretta Goggi, si svolgerà in quattro weekend consecutivi, e coinvolgerà medici e nutrizionisti a disposizione delle over 45 per test gratuiti del colesterolo e consulenze alimentari personalizzate.


        La fine dell’età fertile provoca nella donna un aumento del colesterolo e dei trigliceridi, a causa del cambiamento nel profilo lipidico, dovuto alla perdita degli ormoni ovarici. Se l’87% delle intervistate sa di dover mantenere uno stile di vita sano, con un’attività fisica regolare, riducendo il fumo, e mangiano correttamente, solo il 42% si è dichiarato disposto a mettere in pratica i buoni propositi.
        Maria Luisa Brandi, a capo dell’Unità operativa metabolismo osseo dell’ospedale di Careggi di Firenze, a proposito dei disturbi della menopausa ammonisce:
Livelli elevati di colesterolo, che si manifestano spesso dopo la menopausa, costituiscono un fattore di rischio significativo per le patologie cardiovascolari. Con la perdita degli ormoni ovarici si assiste infatti nelle donne a un progressivo cambiamento del profilo lipidico, caratterizzato da un aumento del colesterolo totale (in particolare del colesterolo ‘cattivo’ Ldl) e dei trigliceridi, e da una riduzione del colesterolo ‘buono’ Hdl. Tali alterazioni costituiscono un rischio di patologia cardiovascolare significativamente maggiore per la donna in menopausa, rispetto all’uomo e alla donna in pre-menopausa.

        Silvia Migliaccio, nutrizionista e specialista in Endocrinologia del Dipartimento di fisiopatologia medica dell’università La Sapienza di Roma, sostiene che sono sufficienti piccolo accorgimenti per prevenire i rischi di malattie cardiovascolari:
Svolgere attività fisica regolare, evitare il fumo, imparare a controllare lo stress e seguire un’alimentazione equilibrata e varia, mantenendo un peso adeguato. E’ importante stimolare le donne a rendersi conto che possono evitare il problema del colesterolo adottando misure semplici. Eventualmente introducendo nella propria alimentazione una quantità di 2-2,5 grammi di fitosteroli, tra i modi più efficaci per ridurre il colesterolo Ldl con la dieta.

Fonte https://www.medicinalive.com/medicina-tradizionale/ricerca-e-sperimentazione/italiane-in-menopausa-non-trascurate-il-cuore/

Gravidanza: Vitamine in gravidanza, ma fanno bene al nostro bambino?

       A quanto pare assumere le vitamine in gravidanza favorirebbe un  maggiore sviluppo dell’intelligenza nel nostro bambino. Le vitamine hanno un effetto molto positivo sullo sviluppo cognitivo del bebè e negli anni successivi alla nascita.

       A rendere nota questa scoperta uno studio pubblicato sulla  rivista Lancet Global Health e promosso da un team di esperti mondiali. Questa ricerca ha visto coinvolte molte donne incinte seguite durante tutti i nove mesi. Una volta partorito i ricercatori hanno seguito i bambini fino alla pubertà esaminando le capacità cognitive attraverso al somministrazione di test specifici. Lo scopo di questo esame era verificare le somministrazione delle vitamine, da parte delle madri durante la gravidanza, avesse influenzato o meno le  capacità intellettive dei piccoli.

       I risultati hanno mostrato come le madri che avevano assunto vitamine avevano maggiore probabilità di avere figli più intelligenti. In modo particolare si è osservato che i bambini, le cui madri avevano assunto contemporaneamente vitamine e acido folico, tra i 9 e i 12 anni presentavano una memoria procedurale ( quella cioè che ci permette di fare le cose e capire come si usano gli oggetti) più  sviluppata rispetto ai coetanei le cui madri non avevano assunto vitamine. I ricercatori hanno inoltre osservato che è anche l’ambiente in cui il piccolo cresce ad essere determinante per lo sviluppo della sua intelligenza e delle sue capacità cognitive.

       La somministrazione delle vitamine e dell’acido folico è molto importante affinchè il nostro bambino nasca sano e in ottima salute, ma non dobbiamo dare il merito solo a questi due fattori. Lo sviluppo intellettivo del bambino dipende infatti da numerosi elementi tra i quali l’istruzione dei genitori il loro stato socioeconomico e l’ambiente socio culturale.

Fonte https://www.chedonna.it/2017/04/25/gravidanza-vitamine-gravidanza-fanno-bene-al-nostro-bambino/

martedì 28 agosto 2018

Mandorle, nocciole e noci alleate della fertilità maschile

Картинки по запросу Mandorle, nocciole e noci alleate della fertilità maschile
        Mandorle, nocciole e noci sono alleate della fertilità maschile. Mangiarle migliora infatti la qualità dello sperma. Lo rileva uno studio presentato al meeting della European Society of Human Reproduction and Embryology a Barcellona. Per lo studio, i ricercatori hanno reclutato 119 uomini di età compresa tra i 18 e i 35 anni, divisi in due gruppi. Un gruppo ha mangiato 60 grammi di mandorle, nocciole e noci aggiungendole giornalmente alla dieta abituale, mentre il secondo gruppo non lo ha fatto. Dopo 14 settimane, coloro che avevano mangiato la frutta secca risultavano aver avuto significativi miglioramenti nel numero di spermatozoi, nella vitalità, motilità e morfologia (forma), tutti associati alla fertilità maschile. Inoltre, è emersa una significativa riduzione dei livelli di frammentazione del DNA spermatico, un parametro strettamente associato alla sterilità negli uomini. I risultati sono apparsi coerenti con il miglioramento dello sperma osservato in altri studi che hanno esaminato diete ricche di omega-3, antiossidanti come la vitamina C ed E, il selenio e lo zinco e i folati. Le noci sono ricche di molti di questi nutrienti.

        “In letteratura – evidenzia il coautore dello studio Albert Salas-Huetos dell’Università Rovira i Virgili in Spagna- si stanno accumulando le prove che un corretto stile di vita, come ad esempio seguire un modello alimentare sano, potrebbe aiutare il concepimento e, naturalmente, la frutta secca è una componente chiave di una dieta mediterranea sana”.

Fonte ANSA

Emicrania in gravidanza, ecco come curarla

Похожее изображение
        Durante la gestazione assume particolare importanza la prevenzione anti-emicranica. Bisogna considerare misure igieniche e comportamentali capaci di garantire il maggiore benessere possibile: alimentarsi in modo corretto, fare una moderata attività fisica, rispettare i ritmi sonno-veglia ed evitare situazioni di stress. Ma, prima di introdurre una terapia farmacologica, è meglio aspettare e verificare se, come spesso accade, i sintomi si attenuano nel secondo o terzo trimestre.

        Ricordiamo comunque che, tranne in casi di patologia cronica molto debilitante, l’utilizzo dei farmaci antiemicranici è consentito solo per brevi periodi di tempo e a bassi dosaggi. Se compare l’attacco, la donna dovrebbe stare prima di tutto a riposo in ambiente buio e silenzioso, applicando impacchi freddi sulle zone doloranti. Se la crisi non si risolve, il primo farmaco da utilizzare è il paracetamolo a cui associare, in presenza di nausea, caffeina o metoclopramide.

        Se questi accorgimenti non dovessero risultare efficaci, si potrà procedere all’assunzione di triptani. Ma, attenzione, anche i preparati apparentemente più innocui sono stati testati in gravidanza e classificati in base agli eventuali effetti dannosi che possono avere sulla formazione degli organi o sulla crescita del feto. Gli antinfiammatori (Nimesulide) e l’aspirina possono essere assunti tranquillamente nei primi mesi di gravidanza, perché non hanno dimostrato effetti sulla formazione degli organi fetali, mentre è da evitare l’assunzione cronica durante i nove mesi dell’attesa e quella sporadica dopo la 27ma settimana.

Похожее изображение        Fa eccezione l’aspirina a basso dosaggio che può avere effetti favorevoli sulla placenta senza provocare danni al feto, ma deve essere prescritta dal ginecologo. Il paracetamolo, invece, è un medicinale che, nonostante attraversi la barriera placentare, è considerato innocuo. Numerosi studi affermano che l’esposizione del feto non aumenta il rischio d’insorgenza di malformazioni. Rappresenta, quindi, l’antidolorifico di prima scelta.

        Un altro farmaco utilizzato è la metoclopramide: l’effetto sul dolore è scarso, ma riduce la nausea che compare con l’attacco emicranico. Non danneggia il feto, quindi può essere usato senza timore dalla gestante, sempre se il medico lo ritiene necessario. Anche per quanto riguarda i triptani (molto efficaci nel trattamento acuto dell’emicrania) un recente resoconto degli esiti fetali e neo-natali ha concluso che non hanno alcun effetto sull’esito della gravidanza. Al contrario, l’ergotamina è assolutamente controindicata: può provocare, se somministrata nel primo trimestre, un aumento del rischio di aborto e di malformazioni fetali.

Fonte https://www.medicinalive.com/le-eta-della-salute/maternita-e-puericultura/emicrania-in-gravidanza-ecco-come-curarla/

Infertilità femminile: la menopausa precoce

       Si parla di menopausa quando i cicli sono assenti per 12 mesi. Questo periodo è preceduto dalla premenopausa che può durare anche due anni, in cui cominciano alterazioni dei flussi e cambiamenti ormonali. Quando i cicli scompaiono prima dei 40 anni di età si parla di menopausa precoce. Questa spiacevole condizione si verifica in italia nell’1-3% dei casi.

       Tra le cause che determinano la menopausa precoce ci sono predisposizioni genetiche, alterazioni cromosomiche, malattie metaboliche come la galottesemia, malattie autoimmuni, malattie infettive. La menopausa indotta invece viene procurata attraverso i farmaci quando è necessaria alla sopravvivenza della donna, ad esempio in caso di terapie per neoplasie maligne estrogeno-recettive.
foto_menopausa_precoceLa menopausa chirurgica invece si verifica in seguito all’asportazione delle ovaie.

       Nella menopausa precoce si verifica una prematura insufficienza ovarica, ossia una mancata risposta delle ovaie allo stimolo delle gonadotropine FSH e LH. Quindi questi ormoni risulteranno elevati al contrario degli estrogeni e del progesterone che andranno progressivamente a scomparire.

       I segni e sintomi della menopausa precoce relativi sopratutto alla carenza di estrogeni sono l’infertilità per assenza di ovulazione, osteoporosi,invecchiamento precoce, secchezza vaginale, aumento di peso, assenza di ciclo per 3 mesi consecutivi, vampate di calore, disturbi dell’umore e calo del desiderio.

       La menopausa precoce porta delle conseguenze psicologiche importanti sopratutto relative all’impossibilità di concepire e specialmente in donne senza figli, pertanto la diagnosi deve essere accurata ed è necessario differenziarla da altre cause transitorie di disfunzione ovarica e si basa sopratutto sul dosaggio ormonale dell’Fsh ma il test più attendibile è il dosaggio dell’ormone anti Mulleriano AMH, che rivela la quantità ovocitaria.
foto_menopausa-precoce
       La terapia consiste nella somministrazione di ormoni sostitutivi per evitare le patologie da carenza estrogenica, ma questa terapia efficace nel migliorare la qualità della vita non può nulla però sulla fertilità. Si possono tentare le tecniche di stimolazione ovarica ma nella maggior parte dei casi risultano fallimentari.

       Una prevenzione invece è possibile adottando una corretta alimentazione un sano stile di vita ed evitando di fumare. Gli ultimi studi hanno rivelato una influenza negativa del fumo sulla qualità e la quantità del patrimonio genetico e una comparsa della menopausa due anni prima nelle donne fumatrici rispetto alle non fumatrici.

Fonte https://www.passionemamma.it/2014/12/infertilita-femminile-la-menopausa-precoce/

Test integrato in gravidanza, cos’è e come si fa

        Il test integrato in gravidanza è un test di screening che integra i risultati della misurazione della traslucenza nucale e di altri risultati biochimici ottenuti tramite prelievo e analisi del sangue. E’ utile per la diagnosi di malattie cromosomiche  e/o  malformazioni e anomalie del feto.

        Il test integrato in gravidanza è un test di screening e pertanto è un esame non invasivo. Permette di scoprire anomalie del corredo cromosomico, come ad esempio la trisomia 21 che dà luogo alla sindrome di Down o la trisomia 18 responsabile della sindrome di Edwards.

test integrato in gravidanza: cos'è, a cosa serve e come si fa
         A differenza dei test invasivi come villocentesi e amniocentesi, queste indagini non analizzano direttamente il cariotipo del bambino, cioè non guardano direttamente i cromosomi del piccolo e perciò non è necessario effettuare prelievi di cellule fetali che potrebbero comportare un rischio di aborto.

        Vengono misurati dei valori biochimici e morfologici che successivamente permettono di esprimere una percentuale di rischio: non vi è dunque una certezza che il bambino sarà sicuramente sano o sicuramente malato. Viene segnalato se il feto ha un’alta o una bassa probabilità di rischio di essere portatore di malattie. Questo può aiutare le future mamme e i futuri papà a decidere per esami più invasivi o per altre alternative.

QUANDO FARE IL TEST INTEGRATO IN GRAVIDANZA
        Il test integrato in gravidanza non è un test unico, ma è costituito da diversi esami che si devono effettuare in tempi differenti. Solo dopo avere avuto i risultati di tutti i singoli esami è possibile integrarli e avere una risposta univoca.

        Il primo esame da fare è la misura della translucenza nucale, cioè la valutazione ecografica dello spessore della plica nucale, uno spazio che si trova tra la nuca e la pelle del bambino.

        Questo esame va effettuato tra l’11a e la 14° settimana di gestazione quando la plica nucale è maggiormente caratterizzata e il bambino ha una lunghezza tra i 4,5 e gli 8,4 centimetri.

        Nello stesso periodo di gravidanza a questa ecografia specifica si associa anche il dosaggio di due proteine del sangue, per cui è necessario sottoporsi a un prelievo: sono valutate la β-hCG (frazione beta libera della gonadotropina corionica) e PAPP-A (proteina plasmatica A associata alla gravidanza).

        Il secondo test va effettuato tra la 14° e la 18° settimana e consiste nel dosaggio ematico di tre marcatori: l’alfa-fetoproteina (αFP), la beta-gonadotropina corionica (β-hCG) e l’estriolo libero (uE3).

test combinato in gravidanza        Uno svantaggio del test integrato può essere dunque quello di dover aspettare i risultati di tutte queste analisi, attesa che può essere vissuta con una certa apprensione. L’integrazione però di tutti questi valori con anche determinate caratteristiche di ogni singola coppia permette di ridurre la percentuale di possibili falsi positivi, che spesso coincidono con quei casi dall’esito non chiaro o dubbio.

        Nel test integrato in gravidanza si studiano diversi possibili indicatori di difetti cromosomici o di malformazioni fetali.

La prima analisi da fare è il cosiddetto bitest o test combinato.
        Normalmente, durante la gravidanza e fino al parto, aumentano i livelli di PAPP-A (Pregnancy-Associated Plasma Protein A), cioè una proteina prodotta da alcune cellule dell’embrione e dalla placenta.

        La hCG (human Chorionic Gonadotropin) è un ormone prodotto dalla placenta e nel primo trimestre può essere misurato sia in forma libera (free β-hCG) che l’hCG totale. In genere anche questo marcatore aumenta progressivamente nel circolo materno nelle prime 8-10 settimane di gravidanza, ma successivamente diminuisce e si stabilizza durante la gravidanza.

        Fattori di rischio in questo primo esame possono essere un’aumento notevole della free β-hCG e una riduzione della PAPP-A. Anche uno spessore maggiore della translucenza nucale può essere un segnale di rischio aumentato di alterazioni cromosomiche o possibili malformazioni, come difetti del cuore e dei grossi vasi sanguigni o anomalie strutturali dello scheletro.

COSA STUDIA LA SECONDA FASE DEL TEST INTEGRATO IN GRAVIDANZA
         Nella seconda fase del test integrato in gravidanza si raccolgono i valori di tre marcatori che vengono inseriti con le caratteristiche peculiari di ogni coppia in una formula matematica per presentare una stima del rischio di avere un figlio affetto da diverse possibili condizioni.

        Oltre ad anomalie del corredo cromosomico questo test permette anche di stabilire una percentuale di rischio per alcune malformazioni del tubo neurale, come ad esempio la spina bifida.

        La concentrazione di alfa-fetoproteina aumenta nel sangue della mamma se il feto ha anomalie del tubo neurale o della parete addominale. In questo caso quindi è consigliabile effettuare come esame di approfondimento un’ulteriore ecografia verso la 20° settimana. In caso di alterazioni del numero di cromosomi invece questa proteina tende a diminuire del 25-30%. Anche l’estriolo libero diminuisce in caso di trisomie.

         La concentrazione di beta-hCG invece aumenta in caso di trisomia 21 e diminuisce in caso di trisomia 18.

COME LEGGERE I RISULTATI DEL TEST INTEGRATO IN GRAVIDANZA
         Il test integrato in gravidanza ha un’accuratezza (cioè una capacità di dare un risultato corretto) pari al 95%, con una percentuale molto bassa di casi falsi positivi (più o meno 1%).

         Si può migliorare ulteriormente questa capacità e ridurre lo scarto di dubbio eseguendo un’ecografia per valutare lo sviluppo dell’osso nasale (tra l’11° e la 20a settimana) e valutando nel secondo prelievo anche un altro marcatore chiamato inibina A, i cui valori si innalzano in presenza della trisomia 21.

        È importante ricordarsi che il test integrato in gravidanza è costituito da test di screening, cioè test che danno come risultato una percentuale di rischio.

Fonte http://www.vitadamamma.com/178382/test-integrato-in-gravidanza-cose-e-come-si-fa.html

Infertilità: si va verso l’ovaio artificiale umano

        Aperta la strada verso l’ovaio artificiale umano per curare l’infertilità. Per la prima volta le strutture che racchiudono gli ovociti immaturi sono state isolate e fatte crescere su un’impalcatura di tessuto ovarico privato delle sue cellule, finché sono state in grado di funzionare.

Prova contro l’infertilità
        È una prova di principio per curare l’infertilità femminile, dicono i ricercatori del Rigshospitalet di Copenhagen (Danimarca) che hanno condotto lo studio. Attualmente il tessuto ovarico viene conservato prima delle cure e congelato per essere reimpiantato. Tuttavia, osservano gli autori, eliminare le cellule dal tessuto ovarico congelato e trasferire in esso follicoli vitali potrebbe evitare il rischio di reintrodurre cellule maligne potenzialmente presenti nel tessuto originale.

Serve il tessuto ovarico
        Gli esperimenti sono stati fatti con il tessuto ovarico prelevato da donne che avevano voluto conservarlo prima di affrontare una terapia antitumorale. Il primo passo per arrivare all’ovaio artificiale umano è stato eliminare le cellule presenti nel tessuto per mezzo di un processo chimico della durata di tre giorni. In questo modo si è ottenuta una sorta di impalcatura, nella quale sono stati reimpiantati i follicoli.
Infertilità: si va verso l’ovaio artificiale umano
Agli inizi della sperimentazione
        Gli scienziati hanno constatato che i follicoli erano in grado di ripopolare di cellule il tessuto. In seguito l’ovaio artificiale umano è stato trasferito in un topo, dimostrando di sostenere la crescita delle cellule uovo, con un rischio molto ridotto di trasferire cellule maligne. Il prossimo passo sarà capire come si sviluppa l’ovaio ottenuto con questa tecnica, con periodi di osservazione fino a 6 mesi. Quanto ai primi test sull’uomo, richiederanno ancora molti anni.

Fonte https://www.bimbisaniebelli.it/concepimento/infertilita/infertilita-si-va-verso-lovaio-artificiale-umano-53768

lunedì 27 agosto 2018

Una guida per scoprire cause e rimedi del mal di testa in gravidanza

Una guida per scoprire cause e principali rimedi del mal di testa in gravidanza       Il mal di testa in gravidanza è un disturbo molto diffuso specialmente nelle prime settimane, ma quali sono le cause principali e quali i rimedi naturali e non? In generale si tratta di un disturbo dovuto ai cambiamenti ormonali in corso, ma possono subentrare anche altre motivazioni, per esempio stress o mancanza di sufficienti zuccheri nel sangue.
       I rimedi variano a seconda delle cause scatenanti e se in casi estremi, può essere necessario ricorrere a farmaci, solitamente bastano i rimedi naturali e un po' di sana prevenzione. Difatti alcuni fattori possono incidere negativamente, per esempio la disidratazione o una dieta squilibrata che può causare scompensi a livello fisico.

Le cause del mal di testa in gravidanza a seconda del trimestre

       Il mal di testa in gravidanza è normale perché spesso dipende dai cambiamenti ormonali in corso legati all'aumento degli estrogeni, che colpiscono le gestanti soprattutto nelle prime settimane. L'importante è che il disturbo non si presenti con troppa frequenza e in modo particolarmente acuto. Inoltre, c'è da considerare che a seconda del trimestre, cause e sintomi possono un po' variare.

Cause primo trimestre
       Se da un lato l'aumento di estrogeni tipico della gravidanza può aumentare il mal di testa nelle donne che non ne soffrivano prima di rimanere incinte, in quelle soggette può causare la situazione opposta, andando a diminuire il disturbo. Estrogeni a parte, altre cause possibili nel primo trimestre sono:


  • Disidratazione
  • Stress e ansia
  • Difficoltà del sonno
  • Spossatezza
  • Vomito gravidico che può portare a disidratazione
  • Sospensione di farmaci antidepressivi se venivano utilizzati prima della gravidanza.

Cause secondo trimestre
Le cause del mal di testa in gravidanza       Nel secondo trimestre il mal di testa di solito non è più dovuto agli estrogeni perché il corpo si è ormai abituato alla nuova situazione, semmai potrebbe dipendere da leggera anemia, da disturbi di tipo circolatorio o da un aumento della pressione. In caso di anemia è bene intervenire sull'alimentazione facendo in modo di aumentare l'apporto di ferro.

       Un'altra causa possibile nel periodo compreso fra la 14esima e la 27esima settimana di gestazione è rappresentata dalla preeclampsia o gestosi, specialmente se il sintomo è accompagnato da gonfiore agli arti e lampi di luce agli occhi. Questo è un disturbo che si riscontra quando la pressione arteriosa sistolica è maggiore di 140 mmHg e/o la pressione arteriosa diastolica è maggiore di 90 mmHg. Altre possibili cause del mal di testa in questa fase sono:


  • Stipsi
  • Insonnia
  • Difficoltà digestive
  • Cause terzo trimestre

Nel corso del terzo trimestre le cause di mal di testa principali possono essere le seguenti:


  • Postura scorretta a causa del peso del pancione
  • Stress e ansia
  • Insonnia
  • Stitichezza
  • Disidratazione
  • Ipertensione arteriosa.
  • Preeclampsia.

Riposare come rimedio contro il mal di testa       Quando preoccuparsi? In linea di massima solo se il mal di testa è persistente e acuto, situazione che dovrebbe indurvi immediatamente a consultare il medico.

       I rimedi per il mal di testa in gravidanza
Esistono diversi rimedi per il mal di testa in gravidanza, alcuni naturali, altri a base di paracetamolo, uno dei pochi farmaci che si possono assumere durante i 9 mesi. L'assunzione degli uni o degli altri dipende dall'entità del disturbo, se per esempio è insopportabile il paracetamolo può rivelarsi molto utile, in altri casi può bastare Madre Natura o un minimo di prevenzione.

A tal proposito ricordatevi di:


  • Bere molto durante la giornata, almeno un litro e mezzo d'acqua, evitando il rischio di disidratazione.
  • Evitare alcolici.
  • Seguire una dieta varia ed equilibrata in grado di mantenere equilibrati i livelli di zucchero nel sangue.
  • Eseguire un po' di sport ogni giorno, per esempio nuoto, yoga o camminate all'aperto, che aiutano a produrre endorfine in grado di agire come antidolorifici.
  • Riposarsi.
  • Fare piccoli pasti distribuiti nel corso della giornata anziché abbuffarsi solo a pranzo e a cena, facendo attenzione anche alle ore di digiuno prolungate, che sono a rischio mal di testa.
  • Evitare cibi troppo grassi.
  • Fare un bagno caldo.

I rimedi naturali

        I rimedi naturali per il mal di testa in gravidanza sono da preferire rispetto ai farmaci, incluso il paracetamolo, sempre che il disturbo non sia troppo acuto e quindi insopportabile, evenienza che richiede in ogni caso il consulto medico. Ecco i principali:


    Rimedi per il mal di testa in gravidanza
  • Massaggiare il collo senza premere troppo utilizzando un olio naturale.
  • Fare una passeggiata all'aperto per prendere un po' d'aria.
  • Bere un po' di acqua per idratare l'organismo.
  • Mangiare qualcosa di zuccherato per aumentare i livelli di zucchero nel sangue, se il problema è dovuto a un calo degli stessi.
  • Bere una tisana alla lavanda o alla melissa utili per la loro azione rilassante.
  • Fare impacchi freddi avvolgendo delle fette di limone in un panno bagnato e premere l'impacco sulla fronte o sulla parte dolorante.
  • Riposare per qualche ora in un luogo silenzioso.
  • Bere una tazzina di caffè perché la caffeina ha un effetto vasocostrittore che può dare sollievo.
Fonte https://www.foxlife.it/2018/08/27/guida-mal-di-testa-gravidanza-cause-rimedi/