Se una mamma in attesa fa il vaccino anti-pertosse durante il terzo trimestre di gravidanza, gli anticorpi prodotti dal suo sistema immunitario passano la barriera della placenta e raggiungono il nascituro, che risulta così protetto dal rischio di contagio per i primi sei mesi dopo la nascita, in attesa di completare il ciclo vaccinale previsto nell’infanzia e disporre dei propri anticorpi. Per questa ragione, quattro società scientifiche, la Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica, la Società Italiana di Pediatria, la Federazione Italiana Medici Pediatri e la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale, raccomandano la vaccinazione anti-pertosse nel terzo trimestre di gravidanza a tutte le future mamme. L’indicazione è contenuta nel Calendario per la Vita, un documento aggiornato ogni due anni che elenca le vaccinazioni consigliate sulla base delle più recenti evidenze scientifiche. Non è, però, compresa tra quelle offerte gratuitamente dal servizio sanitario pubblico secondo il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale attualmente in vigore, né secondo il piano 2016-2018, in fase di approvazione. Come regolarsi, quindi? La somministrazione del vaccino in gravidanza comporta rischi per la salute della donna e del nascituro? Qual è la probabilità che un bimbo contragga la pertosse nelle prime settimane di vita, prima di ricevere in prima persona la vaccinazione? E quali sono i rischi in caso di infezione in così tenera età? Ecco le risposte degli esperti.
Non è pericoloso somministrare vaccini in gravidanza?
“In gravidanza si presta particolare attenzione a non assumere farmaci che non siano strettamente necessari”, osserva Paolo Bonanni, ordinario di Igiene dell’Università di Firenze. “Alcuni sono controindicati perché possono arrecare danni allo sviluppo e alla salute del feto, ma ciò non significa che tutti i farmaci siano nocivi. Nel caso dei vaccini, durante l’attesa sono controindicati quelli che contengono microrganismi vivi attenuati. Il vaccino anti-pertosse utilizzato oggi in Italia contiene solo frammenti del batterio della pertosse, la Bordetella pertussis, dunque non comporta un maggior rischio in gravidanza. Nel nostro Paese, il vaccino anti-pertosse non si trova in commercio in formulazione singola, ma solo in formulazione trivalente, associato a quello anti-tetanico e a quello anti-difterico. Anche questi due sono sicuri in gravidanza. La vaccinazione anti-tetanica è raccomandata alle future mamme nei Paesi in via di sviluppo, dove è più elevato il rischio di tetano neonatale, e abbiamo abbondanza di dati sulla sua innocuità per la donna e per il nascituro. Anche per il vaccino anti-pertosse abbiamo abbondanza di dati, perché dal 2011 è raccomandato a tutte le donne in attesa negli Stati Uniti e dal 2012 in Gran Bretagna, Belgio, Israele, Nuova Zelanda, Argentina e altri Paesi e in questi anni la letteratura medica non ha evidenziato problemi”.
Se la futura mamma si è vaccinata da piccola, ha già gli anticorpi da trasmettere al nascituro. Che necessità c’è di ripetere la vaccinazione in gravidanza?
“Purtroppo, la memoria immunitaria indotta dalla vaccinazione anti-pertosse, come pure quella indotta dalla malattia, è di breve durata”, risponde Bonanni. “Il vaccino protegge per circa 7-8 anni, la malattia per una decina di anni. Nel corso della vita ci si può ammalare più volte di pertosse ed è quello che spesso accade agli adulti, nonostante siano stati vaccinati da piccoli. Non ce ne accorgiamo perché nell’adolescente e nell’adulto la pertosse ha sintomi sfumati rispetto a quelli nel bambino e viene confusa con l’influenza o con una bronchite. La donna adulta che è stata vaccinata da piccola e che aspetta un bambino non ha più anticorpi da trasmettere al nascituro. Gli studi fatti dimostrano che per estendere la protezione al feto, la madre deve vaccinarsi durante il terzo trimestre di gravidanza, possibilmente tra la 27a e la 32a settimana. E naturalmente, la vaccinazione andrebbe ripetuta a ogni nuova gravidanza”.
Se la mamma si vaccina in gravidanza, il bambino non ha più bisogno di fare il vaccino?
“L’immunità conferita dalla vaccinazione materna ha una durata di circa sei mesi, quel che basta per proteggere il neonato nella fase in cui è più vulnerabile al rischio del contagio e in cui un’eventuale infezione sarebbe più pericolosa per lui”, spiega Paolo Bonanni. “Il calendario vaccinale per l’età pediatrica prevede che la prima dose di vaccino venga somministrata al bambino nel terzo mese di vita, cioè al compimento dei due mesi. La seconda dose è prevista al compimento dei quattro mesi e la terza a un anno. La vaccinazione materna non sostituisce quella diretta del bambino, ma serve a proteggerlo in attesa che riceva le prime due dosi e sviluppi da solo un’adeguata quantità di anticorpi”.
Qual è la probabilità che un bimbo di poche settimane di vita, che non frequenta coetanei e trascorre molto tempo in casa, si ammali di pertosse?
I primi sei mesi di vita sono proprio la fascia d’età in cui viene segnalata la maggiore incidenza di pertosse in Europa. Secondo l’ultimo rapporto epidemiologico annuale pubblicato dall’European Centre for Disease Prevention and Control nel 2016, con dati relativi al 2014, nel nostro continente si ammalano di pertosse 50 bambini ogni 100.000 nel primo anno di età, dei quali l’83% si ammala nei primi sei mesi di vita. Non è un dato sorprendente, considerato che i bambini più grandi sono meno suscettibili perché protetti dalla vaccinazione e che le infezioni degli adulti spesso non vengono segnalate perché i sintomi sono più blandi e non vengono riconosciute come tali. “La ragione per cui il batterio arriva ai bimbi di poche settimane di vita è che continua a circolare tra gli adulti”, spiega Bonanni. “Poiché la memoria immunitaria è breve, l’adulto si ammala, spesso senza saperlo, e può trasmetterlo a un neonato. Nel 50% dei casi di infezioni nelle prime settimane di vita è la mamma stessa a contagiare il bambino. Anni fa è stato proposta una strategia definita ‘a bozzolo’ per proteggere i più piccoli: raccomandare la vaccinazione dei genitori e degli altri adulti di famiglia per circondare il neonato di persone immuni. La strategia si è rivelata inefficace perché c’è sempre qualche adulto estraneo con cui il bambino entra in contatto occasionale nelle prime settimane di vita: un parente o un amico in visita, una baby sitter… È più efficace indurre l’immunità nel bimbo attraverso la vaccinazione materna in gravidanza, quello che si propone oggi. Non dimentichiamo che la pertosse per un bambino così piccolo rappresenta una grave minaccia. Spesso i piccoli ammalati devono essere ricoverati in terapia intensiva e aiutati con l’ossigeno a respirare e non sono rari i decessi”.
Fonte http://www.dolceattesa.com/gravidanza/pertosse-vaccinarsi-gravidanza-conviene_prevenzione_salute-ed-esami/
Non è pericoloso somministrare vaccini in gravidanza?
“In gravidanza si presta particolare attenzione a non assumere farmaci che non siano strettamente necessari”, osserva Paolo Bonanni, ordinario di Igiene dell’Università di Firenze. “Alcuni sono controindicati perché possono arrecare danni allo sviluppo e alla salute del feto, ma ciò non significa che tutti i farmaci siano nocivi. Nel caso dei vaccini, durante l’attesa sono controindicati quelli che contengono microrganismi vivi attenuati. Il vaccino anti-pertosse utilizzato oggi in Italia contiene solo frammenti del batterio della pertosse, la Bordetella pertussis, dunque non comporta un maggior rischio in gravidanza. Nel nostro Paese, il vaccino anti-pertosse non si trova in commercio in formulazione singola, ma solo in formulazione trivalente, associato a quello anti-tetanico e a quello anti-difterico. Anche questi due sono sicuri in gravidanza. La vaccinazione anti-tetanica è raccomandata alle future mamme nei Paesi in via di sviluppo, dove è più elevato il rischio di tetano neonatale, e abbiamo abbondanza di dati sulla sua innocuità per la donna e per il nascituro. Anche per il vaccino anti-pertosse abbiamo abbondanza di dati, perché dal 2011 è raccomandato a tutte le donne in attesa negli Stati Uniti e dal 2012 in Gran Bretagna, Belgio, Israele, Nuova Zelanda, Argentina e altri Paesi e in questi anni la letteratura medica non ha evidenziato problemi”.
Se la futura mamma si è vaccinata da piccola, ha già gli anticorpi da trasmettere al nascituro. Che necessità c’è di ripetere la vaccinazione in gravidanza?
“Purtroppo, la memoria immunitaria indotta dalla vaccinazione anti-pertosse, come pure quella indotta dalla malattia, è di breve durata”, risponde Bonanni. “Il vaccino protegge per circa 7-8 anni, la malattia per una decina di anni. Nel corso della vita ci si può ammalare più volte di pertosse ed è quello che spesso accade agli adulti, nonostante siano stati vaccinati da piccoli. Non ce ne accorgiamo perché nell’adolescente e nell’adulto la pertosse ha sintomi sfumati rispetto a quelli nel bambino e viene confusa con l’influenza o con una bronchite. La donna adulta che è stata vaccinata da piccola e che aspetta un bambino non ha più anticorpi da trasmettere al nascituro. Gli studi fatti dimostrano che per estendere la protezione al feto, la madre deve vaccinarsi durante il terzo trimestre di gravidanza, possibilmente tra la 27a e la 32a settimana. E naturalmente, la vaccinazione andrebbe ripetuta a ogni nuova gravidanza”.
Se la mamma si vaccina in gravidanza, il bambino non ha più bisogno di fare il vaccino?
“L’immunità conferita dalla vaccinazione materna ha una durata di circa sei mesi, quel che basta per proteggere il neonato nella fase in cui è più vulnerabile al rischio del contagio e in cui un’eventuale infezione sarebbe più pericolosa per lui”, spiega Paolo Bonanni. “Il calendario vaccinale per l’età pediatrica prevede che la prima dose di vaccino venga somministrata al bambino nel terzo mese di vita, cioè al compimento dei due mesi. La seconda dose è prevista al compimento dei quattro mesi e la terza a un anno. La vaccinazione materna non sostituisce quella diretta del bambino, ma serve a proteggerlo in attesa che riceva le prime due dosi e sviluppi da solo un’adeguata quantità di anticorpi”.
Qual è la probabilità che un bimbo di poche settimane di vita, che non frequenta coetanei e trascorre molto tempo in casa, si ammali di pertosse?
I primi sei mesi di vita sono proprio la fascia d’età in cui viene segnalata la maggiore incidenza di pertosse in Europa. Secondo l’ultimo rapporto epidemiologico annuale pubblicato dall’European Centre for Disease Prevention and Control nel 2016, con dati relativi al 2014, nel nostro continente si ammalano di pertosse 50 bambini ogni 100.000 nel primo anno di età, dei quali l’83% si ammala nei primi sei mesi di vita. Non è un dato sorprendente, considerato che i bambini più grandi sono meno suscettibili perché protetti dalla vaccinazione e che le infezioni degli adulti spesso non vengono segnalate perché i sintomi sono più blandi e non vengono riconosciute come tali. “La ragione per cui il batterio arriva ai bimbi di poche settimane di vita è che continua a circolare tra gli adulti”, spiega Bonanni. “Poiché la memoria immunitaria è breve, l’adulto si ammala, spesso senza saperlo, e può trasmetterlo a un neonato. Nel 50% dei casi di infezioni nelle prime settimane di vita è la mamma stessa a contagiare il bambino. Anni fa è stato proposta una strategia definita ‘a bozzolo’ per proteggere i più piccoli: raccomandare la vaccinazione dei genitori e degli altri adulti di famiglia per circondare il neonato di persone immuni. La strategia si è rivelata inefficace perché c’è sempre qualche adulto estraneo con cui il bambino entra in contatto occasionale nelle prime settimane di vita: un parente o un amico in visita, una baby sitter… È più efficace indurre l’immunità nel bimbo attraverso la vaccinazione materna in gravidanza, quello che si propone oggi. Non dimentichiamo che la pertosse per un bambino così piccolo rappresenta una grave minaccia. Spesso i piccoli ammalati devono essere ricoverati in terapia intensiva e aiutati con l’ossigeno a respirare e non sono rari i decessi”.
Fonte http://www.dolceattesa.com/gravidanza/pertosse-vaccinarsi-gravidanza-conviene_prevenzione_salute-ed-esami/
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