sabato 31 ottobre 2020

Infertilità e Fivet. Il mio miracolo

 Avevo 19 anni quando iniziani a provare a diventare mamma. Passarono i mesi e niente, ogni mese arrivava il ciclo. All'inizio non mi preoccupai: pensavo fosse normale che dovesse passare un po' di tempo. Dopo ormai 6 mesi, iniziai a preoccuparmi, andai dal medico di famiglia per farmi prescrivere le analisi necessarie.

Feci tutto nel giro di un mese ed era tutto okay, il medico mi disse che era normale provare fino a un anno e mezzo. Infatti passarono due anni e convinsi mio marito a fare l'esame della spermiogramma. Venne fuori che i suoi spermatozoi erano troppo "deboli", che morivano per "strada" e che la possibilità di rimanere incinta era troppo bassa.

Mi cadde il cielo in testa, non riuscivo a credere di avere pochissime possibilità di diventare mamma. Era il mio desiderio più grande, il mio sogno. Quanto piangevo ogni mese, quando arrivava il ciclo. Era una delusione. Decidemmo con mio marito di provare e di sperare fino ai miei 25 anni per una gravidanza. Ci buttammo sul lavoro, che era la nostra "consolazione". Arrivammo a festeggiare i miei 30 anni.

Le mie sorelle mi parlarono della fivet, erano informate su come funzionava e su quanto costava. Così parlammo a lungo e valutammo ogni conseguenza. Ci registrammo nell'ospedale vicino a noi, nel quale ci dissero che i tempi erano lunghi, così prendemmo la decisione di essere seguiti privatamente.

La prima volta era tutto nuovo per noi. Facemmo tanti esami e spendemmo tanti soldi, ma eravamo fiduciosi. Fu un percorso difficile e stressante soprattutto per me. Tra visite e tanti medicinali, io speravo tanto in una gravidanza. Invece niente... tutto negativo: la prima, la seconda e la terza volta, tutto ciò nel giro di due anni. 

Ero devastata, mio marito mi disse "basta": perché ormai non arrivava, era meglio lasciare perdere. Non riuscivo a darmi pace e non volevo rassegnarmi: era il mio sogno più grande, non poteva finire così. Poi un giorno incontrai una conoscente, che mi disse che era incinta e mi raccontò che aveva fatto la fivet. Mi disse anche il nome della ginecologa. Io parlai con mio marito, gli dissi che questa era l'ultima volta che ci provavo. Così, feci un po' di ricerche in Internet e trovai la clinica dove lavorava la ginecologa.

La contattai e presi un appuntamento: me lo diedero dopo 10 giorni, non vedevo l'ora: ero in ansia e speravo tanto. Arrivò il grande giorno: il 12 gennaio 2016 parlammo, io spiegai la nostra situazione e da quel giorno iniziò la mia quarta preparazione per la fivet. Prenotai tutti gli esami e ad aprile iniziai la terapia, il 22 maggio 2016 entrai in sala operatoria dove mi prelevarono ovociti. Dopo tre giorni andai di nuovo in sala operatoria per il trasferimento degli embrioni. Dopo 15 giorni dovevo fare l'esame dell'hcg per vedere come era andata. Furono due settimane lunghissime...

Infertilità e Fivet. Il mio miracolo

Arrivò il grande giorno: l'11 giugno 2016. Non dimenticherò mai la telefonata della ginecologa: "Signora, ce l'abbiamo fatta". Non riuscivo a crederci, ero felicissima. Mi fissò il giorno per la prima ecografia tre settimane dopo, l'8 luglio. Il giorno 7 andai in bagno a fare pipì e, mentre tornavo in ufficio, mi sentii "calda". Tornai in bagno e vidi sangue. Mi crollò il mondo addosso.

Chiamai la ginecologa, che mi disse di andare subito in clinica. Mi fece l'ecografia interna. Ero piena di sangue. Mi prescrisse punture di progesterone. Bisognava aspettare e sperare.

Tornai da lei dopo una settimana. Ero sicura che ci fosse perché avevo sempre il senso di vomito, la dottoressa confermò che c'era solo un embrione (avevamo deciso di trasferirne due). Ecco spiegata l'emorragia: uno non c'era più. Ogni 5 settimanenandavo a fare un controllo. Alla 11esima settimana mi dissero che avevo la placenta bassa.

Speravamo che salisse e invece non si muoveva. Alla 19esima settimana la dottoressa mi disse "placenta previa centrale". Dovevo stare attenta non fare sforzi e soprattutto dovevo correre al pronto soccorso nel caso di perdite rosse. Altro che dolce attesa! Ero sempre stressata e preoccupata, speravo di arrivare alla 36esima settimana.

Il tempo non passava quasi mai, ero tutto il giorno a casa. Alla 25 settimana avevo tutto pronto: avevo comprato, lavato e stirato tutto, in attesa dell'arrivo del piccolo. Il 18 gennaio stabilirono la data del cesareo. Il 27 gennaio è nato il mio miracolo. 

Fonte https://mammenellarete.nostrofiglio.it/voglio-un-figlio/storia-infertilita-fivet

Sclerosi multipla in gravidanza, visite neurologiche gratuite al Fatebenefratelli-Isola Tiberina

 Consulenze neurologiche gratuite per donne con sclerosi multipla in gravidanza o con programma di gravidanza: questa l’iniziativa proposta dall’Ospedale Fatebenefratelli-Isola Tiberina di Roma il 12 novembre nell’ambito dell’(H)-Open Day organizzato dalla Fondazione Onda, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere, con il coinvolgimento degli ospedali del network Bollini Rosa e Centri Sclerosi Multipla aderenti.

L’obiettivo dell’(H)Open Day è quello di essere al fianco delle donne con sclerosi multipla per accompagnarle e guidarle nel percorso della gravidanza, dalla programmazione al post partum.

In particolare, i medici dell’Ambulatorio di Neurologia del Fatebenefratelli-Isola Tiberina, saranno a disposizione delle donne in gravidanza affette da sclerosi multipla al fine di rispondere a domande  riguardanti la gestione della malattia durante l’attesa, il parto ed il puerperio con particolare attenzione alle terapie specifiche e alla programmazione degli esami neuroradiologici.

Tale attività di consulenza verrà effettuata nell’arco della mattina del giorno 12 novembre 2020. Prenotazione esclusivamente telefonica, in data unica: il 2 novembre, al numero 0668370260, ore 18-19.30.

L’iniziativa della Fondazione Onda gode del patrocinio della Società Italiana di Neurologia (SIN) e dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla(AISM).

I servizi offerti sono consultabili sul sito www.bollinirosa.it dove sarà possibile visualizzare l’elenco dei centri aderenti con indicazioni su date, orari e modalità di prenotazione.

Fonte https://www.insalutenews.it/in-salute/sclerosi-multipla-in-gravidanza-visite-neurologiche-gratuite-al-fatebenefratelli-isola-tiberina/

Vivere una gravidanza serena ai tempi del Covid-19: ecco i preziosi consigli del Dottor Antonio De Tommaso

 Gravidanza e coronavirus: un tema delicato, del quale se ne parla poco.

La gravidanza dovrebbe essere un momento magico per ogni donna, ma ai tempi del Covid-19, purtroppo, non sempre è facile affrontare questo periodo – già di per sé ricco di emozioni – in maniera serena. Per poter offrire alle neo mamme la possibilità di vivere la loro gravidanza in tranquillità e serenità, abbiamo accolto i preziosi consigli del Dottor Antonio De Tommaso, medico ginecologo operativo all’Ospedale Bolognini di Seriate e presso il suo studio privato a Clusone.

“Le donne in gravidanza – spiega il Dottor De Tommaso – non sembrano essere soggette a
maggiori problematiche rispetto alla popolazione adulta sana in caso di infezione da coronavirus. A titolo precauzionale, però, sono considerate soggetti più vulnerabili e sono quindi raccomandati l’isolamento e la limitazione dei contatti. Essenziale è attuare tutte le norme igienico sanitarie, come lavarsi spesso le mani, disinfettare le superfici con disinfettanti a base di alcool o cloro, non assumere farmaci senza la prescrizione del medico e indossare in modo corretto la mascherina, coprendo sia naso che bocca”.

Trattandosi di un nuovo tipo di virus, le evidenze scientifiche in possesso di medici e operatori sanitari non sono totali ma, in seguito all’esperienza vissuta nei mesi scorsi, è possibile gestire meglio la situazione. Una delle più grandi paure per una donna in dolce attesa riguarda il rischio di aborto: “In base alle conoscenze attuali, il virus non sembra aumentare il rischio di aborto e non risultano casi di trasmissione dalla madre al feto durante la gravidanza o il parto. La probabilità di alterazioni nello sviluppo del feto legate all’infezione da Covid-19 è bassa. È molto importante che le gestanti eseguano tutti i controlli medici durante il corso della gravidanza e post parto. Durante la gravidanza, sarebbe auspicabile accedere il meno possibile ai pronti soccorso, se non per gravi problemi di salute, in modo da ridurre la possibilità di contagio”.

Per quanto riguarda il tanto atteso momento del parto, in caso di partoriente affetta da Covid-19, non è detto che sia necessario ricorrere per forza ad un taglio cesareo: “Al momento – prosegue il Dottor De Tommaso – non esistono dati che indichino che non si possa partorire spontaneamente. Tuttavia, in caso di difficoltà respiratorie che rendano necessario far nasce il bambino nel più breve tempo possibile, è raccomandata l’effettuazione del cesareo. Non vi sono dati che sconsigliano il ricorso all’epidurale in caso di positività al virus, mentre il parto in acqua in caso di infezione da coronavirus è altamente sconsigliato”.

Un’altra questione delicata riguarda il periodo dell’allattamento, ma anche in questo caso, pare che il virus non possa essere trasmesso al bambino tramite il latte materno. Importante, però, rispettare una serie di precauzioni in modo da ridurre ancora di più i rischi del contagio al bimbo che, ovviamente, presenta un sistema immunitario molto fragile: “Lavare accuratamente le mani, utilizzare la mascherina durante l’allattamento, considerare la possibilità di tirare il latte e lasciare che sia una persona sana a nutrire il bambino con il biberon, disinfettare biberon e tiralatte dopo l’utilizzo e limitare le visite di parenti ed amici”.

Fonte https://www.valseriananews.it/2020/10/31/vivere-una-gravidanza-serena-ai-tempi-del-covid-19-ecco-i-preziosi-consigli-del-dottor-antonio-de-tommaso/

Emicrania: 2 donne su 10 evitano la gravidanza

 Quasi il 20% delle donne con emicrania ha riferito di evitare la gravidanza a causa del mal di testa, temendo un peggioramento del dolore o che i farmaci influissero sullo sviluppo del loro bambino, anche se le evidenze dimostrano che l’emicrania migliora fino al 75% durante la gestazione. Sono i risultati di uno studio osservazionale condotto presso la Mayo Clinic e pubblicato di recente sulla rivista Mayo Clinic Proceedings.

L’emicrania è una delle principali cause di disabilità i
n tutto il mondo, che colpisce in particolare le donne in età fertile. «Molte delle donne che ne soffrono potrebbero decidere di evitare una gravidanza a causa della condizione. È importante che le donne con emicrania abbiano accesso a informazioni affidabili sulla relazione tra emicrania e gravidanza, così da poter prendere decisioni informate» ha spiegato l’autore principale dello studio Ryotaro Ishii, della Mayo Clinic di Phoenix, Arizona.

Una ricerca basata su questionari

I ricercatori hanno valutato le risposte sulla pianificazione familiare delle donne con emicrania che hanno partecipato all’American Registry for Migraine Research, uno studio osservazionale che ha reclutato partecipanti presso cliniche specializzate per il mal di testa negli Stati Uniti.

L’analisi ha incluso 607 donne con emicrania che hanno completato i questionari da febbraio 2016 a settembre 2019, tra le quali il 19,9% ha riferito di aver evitato di restare incinta. In generale si trattava di soggetti più giovani (p<0,001), che avevano meno figli (p<0,001), con maggiori probabilità di soffrire di emicrania cronica rispetto a quelle che invece non evitavano la gravidanza (p=0,012) e con mal di testa associato alle mestruazioni (p=0,031).

Tra quante hanno evitato la gravidanza, il 72,5% temeva che la propria condizione potesse peggiorare durante la gestazione, il 68,3% che la disabilità causata avrebbe reso difficile la gravidanza e il 76% pensava che i farmaci contro il mal di testa avrebbero influito negativamente sullo sviluppo del bambino. Inoltre il 72,7% era preoccupato di trasmettere ai propri figli geni che avrebbero potuto aumentare il rischio di emicrania.

I risultati dello studio -hanno concluso gli autori- evidenziano l’importanza di educare le donne con emicrania sulle relazioni tra emicrania e gravidanza in modo che possano prendere delle decisioni informate riguardo alla pianificazione familiare.

In realtà l’emicrania migliora in gravidanza

«L’emicrania di solito migliora durante la gravidanza, specialmente tra i pazienti che hanno emicrania senza aura, che inizia con le mestruazioni o emicrania mestruale. In base alla letteratura dal 50 al 75% delle donne migliora decisamente durante la gravidanza, con una significativa riduzione della frequenza e dell’intensità degli attacchi, in particolare durante il secondo e il terzo trimestre» ha affermato Ishii in un’intervista.

«Riguardo ai rischi connessi all’uso di farmaci, la prognosi durante la gravidanza è generalmente buona. Quindi l’impiego di terapie per le fasi acute può essere ridotto e utilizzato in modo graduale o stratificato, mentre i farmaci profilattici spesso non sono necessari» ha aggiunto. «Quando invece è necessario ricorrere a farmaci per controllare la fase acuta, è bene considerarne la sicurezza».

Sull’argomento è intervenuto anche il coautore Todd Schwedt, presidente della ricerca neurologica presso la Mayo Clinic. «Quando è necessario ricorrere a una terapia, esistono farmaci e opzioni non farmacologiche associati a un rischio più basso. È essenziale che le donne che stanno pianificando una gravidanza o che sono già incinte discutano le opzioni di trattamento con il proprio medico».

«Dal canto loro i medici devono riconoscere che l’emicrania ha spesso un impatto sostanziale su molteplici aspetti della vita, inclusi i progetti di avere figli» ha continuato Ishii. «I medici dovrebbero istruire le loro pazienti che stanno prendendo in considerazione la gravidanza sul decorso più probabile dell’emicrania, sul suo trattamento e sui potenziali impatti del mal di testa e della terapia sugli esiti della gestazione».

Fonte https://www.corrierenazionale.it/2020/10/14/emicrania-2-donne-su-10-evitano-la-gravidanza/

Cattiva digestione, tra i soggetti più a rischio le donne in gravidanza

 I disturbi legati alla digestione possono rendere difficoltosa la gestione quotidiana delle attività. Lo stress, lo stile di vita, i cambi ormonali sono tra le principali cause di questo fenomeno che colpisce annualmente molte persone. A questo proposito, è stato evidenziato come le donne in gravidanza siano tra i soggetti in genere più colpiti. Scoprire le caratteristiche di questa problematica e come affrontarla diviene allora il primo tassello per recuperare il proprio benessere.

La digestione è uno dei processi più delicati del corpo umano. Perché tutto proceda al meglio, infatti, è necessario poter fare affidamento su un equilibrio pressoché perfetto, senza il quale vi è il rischio concreto di trovarsi ad affrontare delle difficoltà che compromettono la quotidianità e il benessere generale e di iniziare a soffrire di cattiva digestione.

Le cause alla base di questo disturbo sono molteplici e possono essere legate anche a cambi fisici e ormonali. Proprio per queste ragioni, tra le categorie più a rischio si annoverano le donne in dolce attesa. I nove mesi legati alla gravidanza sono un periodo in cui la futura mamma può essere chiamata spesso a confrontarsi con la cattiva digestione

Non sono però solo le donne in gravidanza a essere colpite da questa problematica che, anzi, risulta estremamente comune, poiché tra i fattori che la determinano ce ne sono di molto comuni, come lo stress, una routine troppo sedentaria o, ancora, uno stile di vita malsano.

Semplici accortezze per curare la cattiva digestione

Una volta stabilito di soffrire di cattiva digestione, è importante capire come intervenire efficacemente sul disturbo.

A questo proposito, può risultare utile consultare approfondimenti dettagliati, per scoprire come curare la cattiva Digestione al meglio, assicurandosi di adottare il rimedio più adatto alle proprie necessità.

Innanzitutto, per contrastare i sintomi provocati da questo disturbo può essere importante assumere prodotti farmaceutici specifici, dunque con la presenza di citrati e vitamina B, così da ottenere rapidamente sollievo.

Inoltre, per recuperare il proprio stato di benessere generale è dunque consigliabile evitare le grandi abbuffate di cibo. Di norma, infatti, l’ideale è mangiare con moderazione a tutti i pasti principali della giornata, così da non sovraccaricare l’organismo.

A seguire è opportuno evitare di coricarsi subito dopo il pasto, così da non favorire l’emergere della nausea. Rimandare anche di poco il momento del riposo consente invece di affrontare il processo al meglio.


È poi essenziale rivedere anche la propria routine, c
he non deve essere troppo sedentaria. Salvo indicazioni specifiche da parte del medico di fiducia, infatti, una moderata attività sportiva è quasi sempre indicata e benefica.


Da ultimo, è bene limitare o eliminare l
’assunzione di cibi grassi, così come di bevande zuccherate, gasate e alcoliche.

Come riconoscere la cattiva digestione

Anche conoscere quali possono essere i sintomi più comuni della cattiva digestione può essere utile per poi intervenire e modificare eventuali comportamenti errati.

La dispepsia, ovvero la difficoltà digestiva, non è mai riconducibile a un unico fattore. Al contrario, nella maggior parte dei casi è sempre un insieme variegato di cause che può portare all’emergere del disturbo.

Nella pratica, in ogni caso, quando si soffre di cattiva digestione ci si può sentire appesantiti, anche dopo aver mangiato piccole quantità di cibo. Può inoltre comparire un senso di nausea e/o di sonnolenza post-prandiale.

A questi sintomi si aggiungono poi la nota sensazione di cerchio alla testa, uno stato di nervosismo, nonché una forte distrazione che impedisce di concentrarsi anche su attività semplici.

Da ultimo, si possono sperimentare nelle fasi più acute anche bruciore o veri e propri dolori di stomaco.

Fonte https://www.nextquotidiano.it/cattiva-digestione-tra-i-soggetti-piu-a-rischio-le-donne-in-gravidanza/

venerdì 30 ottobre 2020

Uovo chiaro, cieco o gravidanza anembrionica: che cos'è e cosa comporta

 Gravidanza anembrionica: cosa implica

Anche quando l'ovulo e lo spermatozoo si incontrano e si fondono correttamente, non è detto che si instauri una gravidanza: anche nel caso in cui nell'utero si impianti l'ovulo fecondato, succede talvolta che non si sviluppi alcun embrione e si verifichi un aborto spontaneo.

Che cos'è una gravidanza anembrionica?

Una gravidanza anembrionica (nota anche come uovo chiaro o cieco) è una condizione clinica in cui, come conseguenza dell'impianto in utero di un ovulo fecondato, non si sviluppa né un embrione, né il suo sacco vitellino. Se si verifica questa condizione, potresti non scoprirlo fino alla fine del primo trimestre e probabilmente si verificherà un aborto spontaneo.

Cosa succede se ho una gravidanza anembrionica?

Anche se la gravidanza non andrà a buon fine, otterrai comunque un risultato positivo su un test di gravidanza, perché la placenta inizia a svilupparsi e inizia a secernere gonadotropina corionica umana (hCG), l'ormone che questi test cercano. All'inizio, potresti anche avere alcuni sintomi comuni della gravidanza, come affaticamento, nausea e dolori al seno. Successivamente, quando i livelli ormonali iniziano a scendere, questi sintomi si attenueranno e probabilmente avrai spotting o sanguinamento.

All'inizio potresti notare delle macchie bruno-rossastre. Successivamente potresti avere crampi o sanguinamento mentre i tuoi livelli ormonali si ritirano. Se hai crampi o sanguinamento, o il tuo utero non cresce come dovrebbe, o se il tuo medico non riesce a sentire il battito cardiaco del bambino con un doppler entro 12 settimane circa, avrai un'ecografia di controllo. Se si tratta di un caso di gravidanza anembrionica, l'ecografia mostrerà un sacco gestazionale vuoto.

Gravidanza anembrionica e aborto spontaneo

È probabile che abortirai, ovvero per espellere il sacco gestazionale e il tessuto accumulato, entro la fine del primo trimestre, anche se potrebbe accadere prima. Il processo di aborto spontaneo può richiedere settimane, tuttavia, e una volta scoperto che non hai in grembo un bambino, potresti scoprire che è troppo difficile da sopportare sia emotivamente sia fisicamente aspettare un aborto spontaneo.

In tal caso, potresti utilizzare farmaci per accelerare il processo di aborto spontaneo. Oppure si può decidere di sottoporsi a una procedura: un curettage dell'utero per aspirazione per asportare residui placentari dopo un aborto. Ci sarà bisogno di rimuovere il tessuto se hai problemi che rendono pericoloso aspettare un aborto spontaneo, come sanguinamento significativo o segni di infezione.

Quando posso provare a concepire di nuovo?

Alcuni medici consigliano di aspettare per concepire fino a quando non hai avuto il ciclo, che probabilmente accadrà da quattro a sei settimane dopo l'aborto o la rimozione del tessuto.

Uno studio scozzese su oltre 30.000 donne ha concluso che le donne che rimangono incinte entro sei mesi da un aborto spontaneo hanno effettivamente le migliori probabilità di avere una gravidanza sana. Quelle donne hanno avuto meno aborti o gravidanze extrauterine rispetto alle donne che sono rimaste incinte da sei a 12 mesi dopo il loro aborto spontaneo.

Tuttavia, sebbene tu possa essere fisicamente pronta a rimanere di nuovo incinta, potresti non sentirti pronto emotivamente. Ogni donna affronta il dolore della perdita precoce di una gravidanza a modo suo, e alcune donne trovano che ci vogliono mesi prima che vogliano provare di nuovo a concepire.

Avere una gravidanza anembrionale una volta significa che è probabile che abortisca di nuovo?

No. Sebbene sia probabile che tu sia preoccupata per la possibilità di un altro aborto spontaneo, gli esperti di fertilità non considerano una singola interruzione precoce di gravidanza un segno che c'è qualcosa che non va in te o nel tuo partner. La maggior parte dei medici aspetterà che una donna abbia avuto due o tre aborti consecutivi per prescrivere speciali esami del sangue e genetici per cercare di scoprire cosa non va.

Fonte https://www.nostrofiglio.it/concepimento/rimanere-incinta/gravidanza-anembrionica-uovo-chiario-cieco

Malattie renali e gravidanza: oggi si può

 Ogni malattia renale può avere conseguenze sulla gravidanza. Questo non significa necessariamente che ne sia un limite o che possa incidere sulla possibile perdita del piccolo o che possa causare malformazioni fetali intrauterine, però è importante ricordare l'estrema necessità di controlli continui. Ad evidenziare queste conclusioni è lo studio condotto dai ricercatori dell'università di Torino e quelli dell’ospedale Brotzu di Cagliari, pubblicato sul Journal of American Society of Nephrology. Gli studiosi italiani, infatti, dopo aver monitorato 504 donne incinte con una patologia renale cronica ed 836 senza problemi di funzionalità renale, hanno appurato che qualunque livello di malattia renale può determinare problemi in gravidanza, dalla cicatrice per un episodio di calcoli alla malattia cronica. 

Una patologia renale, a prescindere dalla sua entità, può avere conseguenze sulla gestazione e può causare un parto prematuro, il ricovero in terapia intensiva neonatale per il piccolo o ipertensione nella madre. Non è il caso di allarmarsi o di ritenere preclusa ogni possibilità di maternità in caso di malattia renale lieve, media o grave che sia, perché, come precisa la coordinatrice dello studio italiano, dottoressa Giorgina Barbara Piccoli, quello che serve anche in questi casi è «un attento follow-up a cui vanno però sottoposte tutte le mamme in dolce attesa». Se in passato proseguire una gravidanza in presenza di una patologia renale era sconsigliato, oggi si ritiene che possa essere portata a termine con esito positivo, con le dovute attenzioni. Vietato scoraggiarsi, quindi, la cicogna non discrimina!

Fonte https://www.tio.ch/rubriche/ti-mamme/1469022/gravidanza-malattie-malattia-malformazioni-ti-mamme

No all’alcol in gravidanza,: i danni al feto durano a lungo

 Sono sempre più numerose le giovani donne che consumano alcol in modo abituale, secondo quanto riferito da una delle ultime relazioni del Ministero della salute al Parlamento su alcol e problemi a esso correlati. Vino, birra, superalcolici hanno effetti nocivi sull’organismo della donna: predispongono all’osteoporosi, ai disturbi del fegato e aumentano il rischio di incorrere in un tumore al seno. Non meno importanti sono poi gli effetti negativi che si verificano consumando alcol in gravidanza: i danni al feto sono pesanti e possono condizionare per tutta la vita la salute di un bambino.

Anche piccole dosi sono pericolose

Sono più a rischio le donne che consumano elevate quantità di alcol in gravidanza. I danni al feto, soprattutto sul sistema nervoso e sui tessuti, si verificano maggiormente nel primo e nel terzo trimestre di gravidanza. La dose sicuramente dannosa è di 80 grammi di alcol puro al giorno, che si raggiunge assumendo alcuni bicchieri di vino, birra, liquori e altri superalcolici. Un bicchiere di vino da 125 ml o una birra in un boccale da 330 ml apportano circa 12 grammi di alcol, così come un bicchierino classico di grappa o liquore. Questo non vuol dire che, per essere tranquille, si possa bere ogni giorno una dose di alcol, perché non si raggiunge la dose a rischio, anzi. Secondo gli esperti, infatti, non esiste una dose minima di alcol per evitare danni al bambino in via di formazione. Per questa ragione, oggi gli esperti raccomandano caldamente alle donne che progettano di avere un bambino di impegnarsi per rinunciare a bere. E se hanno appena scoperto di essere incinte, di smettere. Per questo è nato da poco il Progetto di ricerca “Prevenzione, diagnosi precoce e trattamento mirato dello spettro dei disturbi feto alcolici (Fetal Alcohol Spectrum Disorder, Fasd) e della sindrome feto alcolica (Fetal Alcohol Syndrome, Fas)”, affidato al Centro Nazionale Dipendenze e Doping del’ISS dal Ministero della Salute.

I disturbi nel breve e nel lungo periodo

In merito alla assunzione di alcol in gravidanza, i danni al feto vengono definiti “spettro dei disordini feto-alcolici” o Fasd. Con questa definizione si intendono tutte le anomalie fisiche o comportamentali alle quali è soggetto il bambino, a causa dell’esposizione all’alcol avvenuta nella vita intrauterina. Con diversi livelli di serietà, queste problematiche possono persistere anche per tutta la vita.

Si suddividono in disabilità primarie e d
isabilità secondarie. Del primo gruppo fanno parte i disturbi sia fisici sia neurologici che si notano fin dalla nascita, come anomalie facciali, alterazioni dell’accrescimento, disfunzioni cognitive e comportamentali a causa degli effetti dannosi dell’alcol sullo sviluppo del sistema nervoso.

Le disabilità secondarie sono quelle che compaiono nel corso della vita, anche quando si è adulti e sono il risultato della mancata diagnosi alla nascita dei disturbi del sistema nervoso. Un bambino e, poi, un adulto con disabilità feto-alcoliche secondarie può avere seri disturbi del comportamento a scuola, difficoltà relazionali e sociali, esperienze fallimentari quando si impegna in studio o lavoro, rischio di tossicodipendenza, perfino problemi con la legge. Alla nascita e nei primi anni non è facile diagnosticare questi problemi e, in seguito, è solo possibile intervenire con trattamenti di supporto.

La sindrome feto-alcolica

Ancora più seria è la Fas, o sindrome feto-alcolica, alla quale si pensa siano soggetti almeno 30 bambini su 100 nati da mamme che assumevano molto alcol in gravidanza. I neonati che ne soffrono hanno uno scarso accrescimento sia prima sia dopo la nascita, circonferenza del cranio inferiore alla media, anomalie del viso e del capo, di mandibola e mascella. Possono essere soggetti a malformazioni del cuore, problemi a ossa e reni, bassa statura, peso scarso. Inoltre possono comparire disturbi dell’udito e della vista, strabismo, oltre a particolari forme di occhi, naso e labbra. Ci sono anche disturbi neurologici e cognitivi, iperattività, difficoltà di attenzione e apprendimento.

Spesso questi problemi non sono visibili nei primi anni di vita, ma si manifestano con la crescita e l’ingresso a scuola, quando un intervento diviene via via più difficile e meno risolutivo. L’unico modo sicuro, attualmente conosciuto, per prevenire questi problemi, molto seri e che incidono su tutta la vita di una persona, è smettere appena possibile di bere alcol anche in piccole quantità, visto che non esiste una dose considerata sicura.

Fonte https://www.bimbisaniebelli.it/gravidanza/no-allalcol-in-gravidanza-i-danni-al-feto-durano-a-lungo-80341

Dissezione aortica, donne già predisposte più a rischio durante gravidanza o dopo parto

 La dissezione aortica acuta è una condizione cardiaca abbastanza rara ma pericolosa, soprattutto per le donne in gravidanza e per quelle che hanno appena partorito. Questa condizione si rivela abbastanza difficile da prevenire e da prevedere, come spiegato in un nuovo studio apparso su JAMA Cardiology.

I ricercatori hanno analizzato le esperienze e i dati di 29 donne ricoverate per una dissezione nel corso della gravidanza. La maggior parte dei soggetti soffriva già di una condizione cardiaca, spesso neanche diagnosticata.

La dissezione aortica è abbastanza rara e coinvolge solo tre persone su 100.000 ogni anno. La condizione vede una lacerazione degli strati dell’aorta con il sangue che può accumularsi oppure può fluire in maniera normale.

C’è bisogno di una diagnosi tempestiva per effettuare cure efficienti, cure che a volte possono salvare anche la vita. Ricerche in passato hanno trovato collegamenti tra la dissezione aortica durante la gravidanza che la sindrome di Marfan o la sindrome di Loeys-Dietz. Ulteriori associazioni sono state poi trovate con l’ipertensione.

Nel corso delle loro analisi, i ricercatori hanno scoperto che il 19% dei casi di dissezione aortica in donne con un’età inferiore ai 35 anni può essere collegato con la gravidanza. Questo significa che un soggetto di genere femminile che è già predisposto per questa condizione ha probabilità maggiori di incorrere in dissezione aortica durante la gravidanza.

Secondo i ricercatori ciò è da spiegare nei cambiamenti degli ormoni e in generale del corpo nel corso della gravidanza e subito dopo il parto.

I ricercatori notavano, infine, che tutti i soggetti partecipanti allo studio mostrava una dissezione aortica di tipo A, che è quella più pericolosa. Tutte sono state sottoposte ad intervento chirurgico. Quei soggetti che avevano una dissezione di tipo B avevano invece probabilità maggiori di ricevere solo farmaci (anche se alcuni soggetti del tipo B sono stati sottoposti ad intervento chirurgico).

“È importante capire cosa hanno vissuto queste donne, compresi i fattori di rischio, le condizioni mediche sottostanti e gli esiti finali, al fine di imparare come prendersi cura degli altri e prevenire future dissezioni aortiche in questa popolazione”, spiega Kim Eagle, professore di medicina e direttore del Frankel Cardiovascular Center del Michigan Medicine.

Fonte https://notiziescientifiche.it/dissezione-aortica-donne-gia-predisposte-piu-a-rischio-durante-gravidanza-o-dopo-parto/

Come comincia la gravidanza: cosa accade nella prima settimana?

 La magia comincia quando un singolo spermatozoo feconda l’ovulo, ma in realtà non si parla di gravidanza sino a quando questo risalendo le tube e cominciando già a suddividersi, non si impianterà nell’utero. Questo avviene circa 6 giorni dopo il rapporto sessuale. Dal momento che l’ovulo fecondato è impiantato si parla di embrione. La donna in questa fase non sa di solito di essere incinta, perché ancora non è consapevole del fatto che le mestruazioni non si presenteranno. Il primo giorno di gravidanza viene datato, di solito dopo la prima ecografia, al primo giorno dell’ultima mestruazione.

La gravidanza ha una durata di 40 settimane di media e ogni settimana il feto nella pancia della mamma fa davvero passi da giganti, specialmente durante i primi mesi. Le settimane non sono sempre proprio 40, ovviamente, tutto dipende dai casi: il bambino di solito si considera a termine fra la 38esima e la 41esima settimana.

La prima settimana di gravidanza: ci sono sintomi?

Premettiamo che non tutte le donne presentano tutti i sintomi della gravidanza: il manifestarsi dell’uno e/o dell’altro dipende da persona a persona e così anche il livello di fastidi generato da ognuno di essi. Durante la prima settimana di solito però non si nota nulla, come già detto, il peso è il medesimo e non è ancora tempo di nausee. Qualche donna sente un po’ di gonfiore al petto o di stanchezza in più, ma di solito questo accade anche prima del presentarsi del ciclo.

Il corpo si sta preparando ad accogliere il bimbo che porterai in grembo per 9 mesi, gli ormoni cominciano a lavorare anche durante la prima settimana, ma non hanno ancora valori tali da farsi sentire, ma accadrà presto. La loro rilevazione non può avvenire nemmeno facendo un test di gravidanza, che infatti si fa al massimo a ridosso del giorno in cui sarebbe dovuto arrivare il ciclo, 4 settimane dopo, quindi, circa, rispetto al famigerato giorno 1, corrispondente al primo giorno di ciclo.

Cosa succede dentro alla pancia durante la prima settimana?

L’ovulo fecondato si presenta come una mora piccolissima, si parla infatti di morula. Le cellule di grasso sono al centro e costituiscono il futuro embrione. Le cellule che stanno attorno diventeranno invece la placenta, una parte importantissima per il tuo piccolo nel corso dei mesi perché è da lì che gli arriverà l’ossigeno e si alimenterà. Annidatosi l’ovulo nell’utero (siamo al sesto giorno) l’embrione comincia a svilupparsi.

Esso ha già tutto il suo corredo genetico, è già un lui o una lei, ma ancora non puoi saperlo. Sappi che l’ovulo è sempre un cromosoma X, mentre lo spermatozoo potrà essere un cromosoma X oppure Y: è l’uomo quindi a definire il sesso del bambino. Se eri già alla ricerca di una gravidanza starai già assumendo acido folico, se così non è, però, richiedilo subito al tuo medico: serve a prevenire i difetti del tubo neurale. Dal momento che ancora non hai ancora fatto gli esami del sangue, probabilmente, comincia ad evitare alcolici, troppo caffè, salumi e lava bene la verdura cruda che consumi.

Fonte https://www.primonumero.it/2020/10/come-comincia-la-gravidanza-cosa-accade-nella-prima-settimana/1530635149/

giovedì 29 ottobre 2020

Bruciore di stomaco in gravidanza e capelli del bambino: tra leggenda e verità


 Una leggenda popolare afferma che il bruciore di stomaco durante la gravidanza sia causato dalla crescita dei capelli del bambino nella pancia della mamma. La comunità scientifica ha sempre preso le distanze da questa ipotesi: il bruciore di stomaco non c'entrerebbe nulla con i capelli del feto, così come il reflusso gastroesofageo.


Nonostante questo, però, ci sarebbe uno studio del 2006 condotto da un team di ricercatori che sembrerebbe al contrario confermare questa leggenda del bruciore di stomaco tra i sintomi della crescita dei capelli nel bambino: su di un gruppo di 64 donne, infatti, il 78% delle pazienti che hanno sofferto di un grave o moderato bruciore di stomaco durante la gravidanza, hanno poi constatato dopo il parto la nascita di bambini con una quantità di capelli superiore alla media. Le donne che invece non hanno avuto acidità, reflusso gastroesofageo o bruciore di stomaco tra i sintomi della gravidanza, hanno avuto bambini quasi del tutto privi di capelli.

Questo studio da solo non basta a confermare la verità della leggenda popolare, soprattutto perché non suffragato da ulteriori risultati scientifici. Il collegamento tra bruciore di stomaco e capelli del bambino in gravidanza resta ancora solo un mito.


Fonte https://www.alfemminile.com/gravidanza/acidita-in-gravidanza-s4017950.html

Aborto spontaneo, superare il tabù del dolore

 Nelle scorse settimane su Instagram si è acceso un dibattito su aborto spontaneo, i tabù legati al dolore e il diritto di mostrare al mondo la sofferenza per la perdita. Ad aprirlo è stata la modella Chrissy Teigen, che alla ventesima settimana di gravidanza, dopo un periodo difficile, ha subito un'emorragia e ha perso il suo terzo figlio a causa di un aborto spontaneo. 

Aborto spontaneo, i tabù e il caso Chrissy Teigen

Gli scatti che Chrissy Teigen ha scelto di pubblicare sul suo popolatissimo profilo Instagram sono un racconto intimo del senso di perdita che si prova quando hai già dato un nome al tuo bambino e hai già cominciato a considerarlo parte della famiglia. Le critiche che ha subito per aver scelto di narrare a suo modo la perdita precoce di un bambino l'hanno spinta a pubblicare un post su Medium in cui spiega che per lei quegli scatti hanno avuto una valenza terapeutica: in quest'ottica le sue foto mentre stringe il figlio con accanto al marito John Legend diventano parte di un racconto per superare il dolore di un aborto, un modo per provare a dare una spiegazione a quanto accaduto. Nel post Chrissy spiega di aver chiesto al marito e alla madre, entrambi riluttanti, di scattare le foto che la modella ha poi pubblicato su Instagram scatenando la reazione dei suoi milioni di followers (e non solo).

Chrissy Teigen ha scritto su Medium: "Ho chiesto io a mia madre e mio marito di fare delle foto, non importa quanto li facessero sentire a disagio. Ho spiegato a John che ne avevo bisogno e che doveva farlo lui. Lo ha odiato, davvero. Non aveva senso per lui in quel momento. Ma io sapevo di aver bisogno di fissare quel momento per sempre, allo stesso modo di come ricordo il nostro bacio quando ci siamo incontrati all'altare o le lacrime di gioia quando sono arrivati Luna e Miles. Avevo assoluto bisogno di raccontare questa storia". 

Nel post la modella si scusa anche con i suoi fan di aver scomodato sensazioni negative, di aver aperto voragini emotive troppo grandi da sopportare e, soprattutto, di averli fatti sentire a disagio col racconto di un aborto spontaneo a 20 settimane. Come per la morte in utero (come viene considerata la perdita in momenti più avanzati della gravidanza, dopo le 28 settimane) anche l'aborto spontaneo ha la sua narrativa: spesso sono parole che le persone non vogliono sentirsi dire perché troppo violente, crude e dolorose. Non c'è un modo giusto o sbagliato, solo quello che si è scelto per parlarne. Aprire il dibatittito su questi temi diventa fondamentale per non lasciar cadere il dolore e il lutto in secondo piano, per elaborarlo e ricominciare.

Affrontare il dolore dopo la perdita di un bambino

Perdere un bambino nelle prime fasi della gestazione o a causa della morte perinatale (dalla ventottesima settimana di gravidanza a sette giorni dopo il parto) è un'esperienza privata, che non può essere giudicata dall'esterno perché troppo personale. Per la mamma e per la coppia, per la famiglia che subisce la perdita. Dopo un aborto spontaneo cambia tutto, persino le mestruazioni. Ed elaborare la perdita è un processo che, spesso, rompe l'equilibrio del benessere mentale di tutte le persone che diventano, loro malgrado, protagonisti della storia. Secondo le ricerche e le testimonianze raccolte dalla Miscarriage Association, le conseguenze di un aborto sulla salute psicologica della mamma e del papà sono evidenti. Nascono tutte dal bias del "dovrei fare", del dover a tutti i costi razionalizzare un evento che ha invece un grosso impatto emotivo. Secondo l'associazione, i pensieri che intervengono dopo un aborto o la morte perinatale sono legati all'idea di ciò che gli altri vorrebbero da noi. Provare e mostrare dolore spesso non è ammesso, perché socialmente inaccettabile.

Gli esperti hanno individuato alcune frasi che le persone che hanno subito un aborto spontaneo hanno pensato almeno una volta dopo l'esperienza:

"Dovrei reagire meglio"

"Dovrei essere più forte"

"Dovrei offrire più supporto al mio partner"

"Tutto questo è colpa mia"

"C'è qualcosa di sbagliato in me"

"Ho fatto deprimere tutti"

In questo circolo vizioso il dolore non solo non viene fuori, ma viene anche represso. Spesso però manifestare la sofferenza è uno dei primi passi per elaborare il lutto, senza sentirsi il carico del benessere o dell'umore altrui.

Fonti per questo articolo: Miscarriage Association, https://www.miscarriageassociation.org.uk/your-feelings/your-mental-health/

Cinture di sicurezza in gravidanza: consigli utili

 Sono in gravidanza, ho il pancione e dunque non posso mettere le cinture di sicurezza. Un’equazione che molte future mamme avranno fatto, sbagliando. In primo luogo perché indossare la cintura in automobile non comporta alcun problema per il nascituro, a condizione che l’utilizzo sia corretto e non esistano controindicazioni specifiche. E poi anche perché la legge impone espressamente, non a caso, che anche le donne in stato interessante che salgano su un veicolo si adeguino alla norma che prescrive tassativamente l’attivazione del dispositivo di sicurezza. Una piccola fettuccia di tela può salvare due vite.

Cinture di sicurezza: cosa prevede la legge

Le cinture di sicurezza in auto devono essere usate anche durante i nove mesi di gravidanza. Lo dice chiaramente l’articolo numero 172 (comma 8, lettera f) del Codice della strada che prevede l’esonero dall’uso delle cinture di sicurezza per le donne in stato di gravidanza soltanto qualora ne ricorrano determinate condizioni. Dovrà essere il proprio ginecologo a comprovare una specifica situazione di rischio per il feto legato all’utilizzo della cintura

Il medico dovrà mettere nero su bianco tale prescrizione e la donna in gravidanza ha l’obbligo di condurre sempre con sè nel veicolo la certificazione da esibire a richiesta degli organi addetti ai controlli. Una norma che si applica senza soluzione di continuità. Contrariamente ad una corrente di pensiero abbastanza diffusa, l’obbligo di legge non si disapplica automaticamente negli ultimi mesi di gestazione ma resta valido per tutti i nove mesi fino a prova (certificazione medica) contraria.

A vincere fastidi e idiosincrasie può servire un dato statistico concludente: l’utilizzo della cintura di sicurezza in gravidanza riduce in media del 70 per cento la gravità dei possibili traumi. In commercio perdipiù esistono dispositivi che mirano ad alleviare, se non il fastidio fisico minimo che la cintura comporta, i disagi percepiti in una fase nella quale è comprensibile avere una sensibilità accresciuta.

E’ il caso dell’adattatore, dispositivo grazie al quale la cintura attraversa le cosce anziché il ventre, evitando così la sensazione di oppressione della pancia in crescita. In ogni caso, per avere la massima sicurezza e il minor disagio la cintura di sicurezza va allacciata al di sotto sotto del pancione facendola passare sopra il bacino. La parte trasversale deve passare sulla spalla, fra i seni e al lato della pancia.

Va detto che invece l’airbag, salvavita per eccellenza in auto, è sconsigliabile alle donne in stato interessante. Il suo improvviso gonfiarsi potrebbe essere molto pericoloso per il feto ed è pertanto consigliabile indietreggiare il sedile il più possibile quando si occupa il lato del passeggero. Se si è alla guida è opportuno inclinare il volante alzandolo verso il petto, così da allontanare la pancia il più possibile.

Fonte http://motori.quotidiano.net/comefare/cintura-sicurezza-gravidanza-consigli-utili.htm

Gravidanza: peperoncino sì o no per le future mamme?

 Il peperoncino porta moltissimi vantaggi alla nostra vita. Con un consumo periodico migliora la circolazione sanguigna, la motilità intestinale. Inoltre si riduce il colesterolo nel sangue.

Questa pianta è un potente antiossidante espettorante, previene le infezioni, stimola la vitalità dei tessuti e attiva il merabolismo, oltre ad essere un antibatterico e un antistaminico naturale. Tuttavia il consumo di peperoncino in gravidanza è uno dei dubbi che fanno capolino quando la donna scopre di essere incinta.

Peperoncino in gravidanza: si può mangiare?

Tra le amanti del piccante è abbastanza frequente prendersi cura di una pianta in casa per averlo sempre a disposizione, ma quando è in arrivo un bambino, è ancora così sano consumare il peperoncino? Da parte dei nutrizionisti il consiglio è quello di seguire una dieta equilibrata, con un consumo moderato di cibo piccante. Alcuni studi ne dimostrano l’efficacia, altri ne impongono una limitazione nel consumo.

Non esiste una regola: per alcuni potrebbe favorire un parto prematuro o addirittura la perdita del bambino. Alcuni invece sconsigliano di consumare alte dosi di peperoncino in gravidanza, per via della capsaicina che potrebbe avere degli effetti collaterali. Altri ne sono incredibili sostenitori.

C’è da precisare che la voce di chi ritiene che il peperoncino in gravidanza possa essere consumato in maniera moderata è molto più alta rispetto a quella che invece lo “demonizza”. Generalmente (a parte alcuni cibi che sono assolutamente sconsigliati) il peperoncino rientra nella categoria di quelli che possono essere consumati ma in maniera moderata.

I principali vantaggi del peperoncino in piccole quantità sono date dall’alto contenuto di vitamina C, vitamina A, B e di flavonoidi, luteina, betacarotene, sali minerali, ferro, magnesio e potassio. Gli effetti positivi sull’organismo della donna in gravidanza, riguardano soprattutto l’afflusso del sangue ed il miglioramento del benessere di entrambi (mamma e figlio)… e allora via libera per tutte ma sempre con moderazione!

Fonte https://www.greenstyle.it/gravidanza-peperoncino-si-o-no-per-le-future-mamme-335761.html

Smagliature in gravidanza, come prevenirle: i rimedi pre e post parto

 Durante il periodo della gravidanza sul corpo possono comparire le smagliature: compaiono principalmente a causa dell'aumento di peso, per gli sbalzi ormonali e soprattutto per la nuova forma che assume il corpo: l'aumento del pancione infatti mette a dura prova l'elasticità dei tessuti della pelle, non pronti ad un così rapido aumento del peso. Le smagliature in gravidanza compaiono solitamente a partire dal secondo trimestre, tra il sesto e l'ottavo mese e le zone più colpite sono generalmente il seno, l'addome e l'interno coscia. Inizialmente le smagliature si presentano come delle striature rosse o rosate: in questa fase è possibile intervenire per contrastarle, mentre con il passare del tempo, una volta cicatrizzate, diventano bianche ed è più difficile, se non quasi impossibile, rimuoverle. Seguendo uno stile di vita sano e non sedentario, un'alimentazione corretta e utilizzando i giusti prodotti specifici è però possibile prevenirle e se sono già comparse contrastarle. Negli ultimi tempi fortunatamente le smagliature non sono più viste come un tabù dopo che celebrities come Ashley Graham e Kylie Jenner hanno mostrato orgogliosamente le loro smagliature sui social diventando paladine del movimento Body Positivity. Ecco tutti i consigli per prevenire le smagliature e i rimedi pre e post parto per
contrastarle.

Smagliature in gravidanza: cosa sono e quando compaiono

Le smagliature compaiono quando la pelle non è abbastanza elastica da sopportare l‘aumento di peso e il cambio di volume che il corpo subisce durante il periodo gestazionale. Si tratta di piccole lesioni della pelle che si creano dalla rottura del legame tra collagene ed elastina e si manifestano attraverso striscioline longitudinali che possono comparire sull'addome, ma anche su seno e cosce e che solitamente compaiono intorno al quinto e sesto mese, ma che possono comparire fino all'ottavo, quando la pelle è maggiormente tesa. Le cause non sono solo da attribuire alla poca elasticità della pelle, ma anche alla predisposizione genetica e ai fattori ormonali. Nelle donne giovani, quando l'attività ormonale è più intensa, la possibilità che compaiono le smagliature è maggiore. È necessario distinguere tra due tipi di smagliature: le smagliature rosse sono relativamente recenti ed è più facile intervenire con prodotti specifici per eliminarle, mentre le smagliature bianche sono più difficili da trattare in quanto la lacerazione della pelle è ormai una vera e propria cicatrice.


Come prevenire le smagliature in gravidanza

Per prevenire le smagliature in gravidanza la cosa fondamentale è adottare uno stile di vita sano ed equilibrato. La prevenzione arriva non solo da prodotti cosmetici in grado di rendere più elastica la pelle, ma anche dall'attività fisica moderata e da un'alimentazione sana. Per quanto riguarda i prodotti si possono applicare fin dalle prime settimane creme e oli a base di principi attivi nutrienti ed elasticizzanti, consultando sempre prima il medico o il farmacista. Efficaci anche i massaggi drenanti che stimolano la corretta circolazione, da effettuare dopo il primo trimestre. Per quanto riguarda l'alimentazione uno degli alleati migliori in gravidanza è l'acqua: per mantenere una corretta idratazione dell'organismo e anche della pelle, favorendone così il nutrimento e l'elasticità, è importante bere almeno un litro e mezzo di acqua al giorno. Tra gli alimenti invece, sono da prediligere cibi antiossidanti e ricchi di vitamina E, come ad esempio la frutta secca e verdure come spinaci, asparagi, ceci, crescione, marroni, broccoli, pomodori, e quelli che contengono omega 3 come il pesce azzurro e gli oli vegetali. Per quanto riguarda l'attività fisica in gravidanza è consigliata un'attività leggera per 30 minuti al giorno, come ad esempio una passeggiata oppure attività acquatiche.

I rimedi post-gravidanza per trattare le smagliature

E se le smagliature compaiono, cosa bisogna fare dopo il parto per contrastarle? Dopo la nascita del bimbo è buona abitudine ritagliarsi qualche momento di coccole: prenditi cura anche del tuo corpo applicando prodotti a base di olio di mandorle dolci, olio di rosa canina, collagene, elastina e vitamina E. Sono ingredienti in grado di rendere la pelle morbida ed elastica, e la vitamina E accelera la guarigione delle lesioni cutanee. I cosmetici per combattere le smagliature post parto levigano la pelle e contrastano il colore rossastro, facendo così apparire la pelle più omogenea. Un aiuto può arrivare dai massaggi e trattamenti mirati da effettuare in un centro estetico che aiutino a rassodare la pelle rendendola più compatta.


Fonte: https://donna.fanpage.it/smagliature-in-gravidanza-come-prevenirle-i-rimedi-pre-e-post-parto/


mercoledì 28 ottobre 2020

Perché il tartufo è pericoloso in gravidanza

 Durante la gravidanza ci sono degli accorgimenti da fare riguardo l’alimentazione. Quello che la mamma ingerisce va direttamente al feto. Quindi è bene tenersi lontani da alcuni alimenti. Tra questi c’è anche il tartufo.  Questo è il periodo in cui comincia la stagione dei tartufi. Una prelibatezza che arricchisce il sapore di ogni piatto. Ma da cui è bene tenersi lontano in gravidanza. Vediamo perché.

Cos’è il tartufo

Il tartufo è un fungo ipogeo, cioè che vive sotto terra. Ha la forma di un tubero e si può trovare vicino alle radici di alcune piante. Soprattutto nocciolo, pioppo, quercia e tiglio. Esistono diverse specie, le più rinomate sono il tartufo bianco e il tartufo nero pregiato.

Gli usi in cucina sono svariati. Ottimo per un primo con le tagliatelle, può essere usato anche per ricavarne un olio tartufato delizioso.

Perché il tartufo è pericoloso in gravidanza

Il tartufo, come abbiamo detto, vive sotto terra. È
proprio per questo che è potenzialmente dannoso per la salute delle donne in gravidanza. Infatti si corre il rischio di contrarre la toxoplasmosi.

La toxoplasmosi è una patologia che contratta dalla donna nel periodo di gestazione può causare gravi problemi al feto. Il tartufo essendo fresco può considerarsi pericoloso al pari della carne cruda per le future mamme. Inoltre è un alimento che per quanto si riesca a pulire bene è impossibile da sterilizzare.

Quindi è un alimento da evitare assolutamente?

È bene consultare il proprio medico, ma esistono alcuni modi per poter mangiare il tartufo in maniera più sicura:

a) Congelato: il rischio di presenza di toxoplasmosi si azzera dopo averlo tenuto congelato per almeno 3 giorni.

b) Essiccato: per poter essere venduto essiccato, il tartufo subisce dei processi di sterilizzazione e pastorizzazione che ne garantiscono la sicurezza.

c) Liofilizzato: come per quello essiccato, il tartufo liofilizzato subisce dei processi che garantiscono l’annientamento del batterio della toxoplasmosi.

Anche se come abbiamo visto esistono alcuni metodi che ne permettono un consumo senza rischi, è sempre bene essere prudenti. Rinunciare al tartufo per 9 mesi è un sacrificio che si può fare.

Ed ecco perché il tartufo è pericoloso in gravidanza.

Fonte https://www.proiezionidiborsa.it/perche-il-tartufo-e-pericoloso-in-gravidanza/

Prezzemolo e gravidanza: fa male?

 Si può mangiare il prezzemolo in gravidanza? Oppure è pericoloso? E' vero che potrebbe causare aborto? E la toxoplasmosi?


"Ho letto su internet che il prezzemolo in gravidanza
potrebbe portare all'aborto e stimolare la contrazione dell'utero", "E' vero che il prezzemolo è pericoloso in gravidanza?"

Sono alcune delle domande che si pongono le mamme quando si parla di prezzemolo nei nove mesi di attesa. Ma che cosa c'è di vero? Il prezzemolo è pericoloso in gravidanza?

Le proprietà del prezzemolo

Il prezzemolo ha diverse proprietà: è diuretico, digestivo e stimola la motilità intestinale. Grazie al contenuto di vitamine è antiossidante e immunostimolante e, non per ultimo, rimineralizzante.

Contiene però apiolo e miristicina che sono due sostanze che hanno un'azione contrattile a livello uterino. In grandi dosi o in dose concentrate potrebbero stimolare le contrazioni uterine e creare emorragie. Non si parla certamente di qualche foglia di prezzemolo perché la concentrazione di tali molecole in una manciata di questa spezia è irrisoria e non è sufficiente per stimolare le contrazioni.

L'olio essenziale di prezzemolo

Un discorso diverso va fatto invece per l'olio essenziale di prezzemolo. Diverse evidenze scientifiche sono concordi nel controindicare l'uso di olio essenziale di prezzemolo per il suo effetto.

(Newall CA, Anderson LA, Phillipson JD. 1996. Herbal medicines: a guide for health-care professionals. London: The Pharmaceutical Press. Birth Defects)

Prezzemolo e toxoplasmosi

Un discorso a parte va invece fatto per le erbe aromatiche e la toxoplasmosi. Prezzemolo, ma anche basilico, finocchietto, prezzemolo, salvia, rucola: spesso sono usati come ingredienti importanti (pensiamo al pesto alla genovese) o elementi di decorazione dei piatti. Anche in questo caso vanno consumati solo se accuratamente lavati da parte delle donne negative al toxo-test.


Fonte https://www.nostrofiglio.it/gravidanza/salute-e-benessere/prezzemolo-gravidanza

Solo una celiachia non diagnosticata e trattata correttamente può compromettere la fertilità e la gravidanza

 La celiachia è una condizione sempre più diffusa, soprattutto nel sesso femminile. Le donne celiache, però, non devono temere: questa intolleranza, se ben controllata, non impedisce di avere una vita normale. Anche la gravidanza è possibile, a patto di seguire una dieta priva di glutine.


È un’intolleranza al glutine

La celiachia è una malattia su base autoimmune. Dipende, infatti, da un funzionamento anomalo del sistema di difesa naturale. In pratica, nelle persone celiache, il sistema immunitario riconosce il glutine, un complesso di proteine contenute in alcuni cereali di uso comune (come frumento, orzo, segale e farro), come sostanza estranea. Di conseguenza, quando il glutine entra nell’intestino, innesca una risposta immunitaria esagerata, che porta alla produzione di anticorpi, che finiscono con l’attaccare l’organismo stesso. Il risultato è la comparsa di una lesione della mucosa intestinale, che ricopre tutto l’intestino e ne permette il corretto funzionamento. Nel tempo, vengono danneggiati anche i villi intestinali, le strutture che permettono l’assorbimento delle sostanze nutritive.


Problemi quando non è diagnosticata

La celiachia, di per sé, non compromette la gravidanza. Il problema è la celiachia non diagnosticata e, quindi, non trattata. Infatti, se la donna non sa di avere questa intolleranza permanente al glutine e, dunque, mangia alimenti che lo contengono, può non riuscire ad assorbire sostanze nutritive importanti per il concepimento e la gestazione, come calcio, ferro e folati. Senza dimenticare che gli autoanticorpi prodotti dal sistema immunitario possono arrivare a danneggiare anche le ovaie, la tiroide, gli organi riproduttivi e le cellule placentari. Di conseguenza, come ricordato dalla dottoressa Alessandra Graziottin, specialista in Ginecologia-Ostetricia e Oncologia potrebbero subentrare problemi di fertilità. Se la donna riesce a rimanere incinta, invece, potrebbe avere un rischio aumentato di anemia e problemi a carico del nascituro, come malformazioni del tubo neurale e problemi nello sviluppo scheletrico. Inoltre, secondo recenti studi, le donne celiache che non seguono una dieta gluten-free potrebbero avere maggiori probabilità di andare incontro a un aborto spontaneo nelle prime settimane di gravidanza. 


La soluzione è la dieta gluten-free

Per tutte queste ragioni, è fondamentale che le donne che sospettano di avere una celiachia o hanno disturbi anomali lo facciano presente al ginecologo e al medico prima del concepimento e anche durante la gravidanza. Se scoprono di essere effettivamente celiachie possono correre ai ripari, iniziando a seguire una dieta senza glutine.  L’ideale è cominciare la dieta gluten-free da sei mesi prima del concepimento, come spiegato dalla professoressa Nicoletta De Simone, del dipartimento per la tutela della salute della donna e della vita nascente del Policlinico Gemelli di Roma.

Fonte https://www.bimbisaniebelli.it/gravidanza/dieta/celiachia-in-gravidanza-se-controllata-nessun-rischio-27864

Covid-19 e gravidanza, misure di prevenzione

 Gravidanza e coronavirus: come comportarsi? Sulla base di ciò che è noto alla comunità scientifica fino ad oggi, il Centers for Disease Control and Prevention ha stilato una serie di indicazioni per le donne incinte affinché non contraggano il Covid-19.

condo il CDC le future mamme corrono il rischio di contrarre il Covid-19 di più rispetto alle donne non in gravidanza. Inoltre, le donne in dolce attesa con il Covid-19 possono rischiare anche complicazioni di vario tipo come il parto pretermine.

Cerchiamo di sapere di più al riguardo e di capire quali sono le misure necessarie, previste dal CDC, per proteggersi dal virus Covid-19 quando si è in dolce attesa. 

Non c'è modo per essere sicure al cento per cento di non contrarre il virus, quindi è importante comprendere i rischi e sapere come portare avanti la gravidanza nel modo più sicuro possibile. In generale, più sono le persone con cui si interagisce, più si interagisce da vicino con loro e più lunga è l'interazione, maggiore è il rischio di contrarre e diffondere il Covid-19.


Ecco alcuni passaggi preventivi che è possibile mettere in atto per evitare l'infezione legata al Covid-19:

  • Limitate il più possibile le interazioni a stretto contatto con altre persone.
  • Quando uscite o interagite con altri al di fuori del vostro nucleo familiare, indossate una maschera, soprattutto quando altre misure di distanziamento sociale sono difficili da mantenere. Indossare una maschera non sostituisce azioni quotidiane di prevenzione come lavarsi spesso le mani ed evitare il contatto ravvicinato con altre persone.
  • Evitate coloro che non indossano maschere o chiedete ad altri intorno a voi di indossare una maschera, se possibile.
  • State ad almeno 1,8 m di distanza da persone che sono al di fuori della vostra famiglia.
  • Lavate le mani con acqua e sapone per almeno 20 secondi. Se l'acqua e il sapone non sono disponibili, utilizzate un disinfettante per le mani con almeno il 60% di alcol.
  • Evitate di svolgere attività in cui adottare misure di protezione può essere difficile e in cui non è possibile mantenere le distanze sociali.
Fonte https://www.nostrofiglio.it/gravidanza/salute-e-benessere/covid-gravidanza-prevenzione

Acidità e bruciore di stomaco in gravidanza: consigli e accorgimenti

 Combattere l'acidità durante la gravidanza non è sempre facile, soprattutto perché - come ben sapranno le future mamme - è sempre bene ricorrere il meno possibile a terapie a base di farmaci. Prima ancora di servirsi di rimedi naturali, sarebbe bene mettere in pratica alcuni piccoli accorgimenti: si tratta di semplici consigli che riguardano il tuo stile di vita che potranno aiutarti in modo naturale a ridurre acidità, reflusso e bruciore di stomaco.

Per prima cosa, cura la tua alimentazione consumando dei pasti leggeri, ma frequenti. A stomaco pieno, infatti, è più difficile per i succhi gastrici risalire attraverso l'esofago provocando acidità. Il consiglio è quello di mangiare almeno cinque volte al giorno: colazione, spuntino, pranzo, merenda e cena, senza mai eccedere nelle porzioni ed evitando in maniera categorica dei pasti troppo abbondanti in orario serale.

Che cibi evitare durante la gravidanza per non incorrere in acidità? Prima di tutto le pietanze fritte, piene di grassi e molto speziate, poi i cibi acidi come pomodori e agrumi. No anche a bevande gassate, zuccherate e alcoliche, tè e caffè. Sarebbe bene, inoltre, evitare di coricarsi subito dopo aver mangiato, perché la posizione sdraiata favorisce il reflusso gastroesofageo. Fare una passeggiata dopo i pasti può essere molto utile per digerire al meglio!

Anche dormire in una posizione inclinata, con la testa e la parte superiore del busto leggermente sollevate può essere utile contro l'acidità durante la gravidanza. Prova a elevare la testiera del tuo letto di circa 10 centimetri per la notte! Infine, scegli sempre un abbigliamento comodo, che non stringa troppo sullo stomaco e cerca di evitare quei movimenti che possano aumentare la pressione sulla zona addominale.

Fonte https://www.alfemminile.com/gravidanza/acidita-in-gravidanza-s4017950.html

martedì 27 ottobre 2020

La gravidanza nelle pazienti psichiatriche

 L’inizio della gestazione si caratterizza, oltre che per un importante cambiamento nello stile di vita e nella forma del corpo, per un enorme cambiamento dell’assetto ormonale, il quale influisce sull’umore della donna, che gradualmente dovrà imparare a gestire la nuova produzione di ormoni. Se per una donna che non ha mai avuto esordi psicopatologici questo rappresenta un momento di difficoltà, che richiede pazienza e utilizzo di risorse per adattarsi ai molteplici cambiamenti della gestazione, per le donne che hanno avuto precedenti difficoltà psichiatriche, questo può rappresentare un’enorme sfida. Questi cambiamenti, infatti, da una parte possono causare una parziale o totale inefficacia della terapia farmacologica, che va rivista e modificata, dall’altra possono incidere sull’umore e sul comportamento della gestante, causando a volte notevoli difficoltà.

Gli studi sulla gravidanza attualmente non hanno ancora permesso di comprendere se questa fase della vita possa rappresentare un fattore protettivo verso esordi o recidive psicopatologici, o se, al contrario, possa rappresentare un fattore di rischio: mentre alcuni riportano un’attenuazione delle difficoltà legate a precedenti psicopatologie, altri evidenziano la loro esacerbazione, nuovi esordi o recidive di precedenti disturbi. L’azione protettiva o esacerbante della gravidanza sembra essere legata ad una molteplicità di elementi: storia di vita, tratti di personalità, status sociale ed economico, numero di gravidanze precedenti, possono intervenire nella prognosi psichica della gestante, sia in termini positivi, sia negativi.

Data la difficoltà degli studi in tal proposito nello stabilire se la gravidanza possa o meno giovare alle donne che hanno sofferto o soffrono di disturbi psichici, le attuali linee guida propendono per una programmazione ad hoc della gestazione. Tale spazio di manovra presenta una serie di vantaggi importanti nella tutela della salute fisica e psicologica di mamma e bambino: in accordo con il clinico, infatti, le pazienti possono rimodulare in anticipo la terapia farmacologica o sospenderla, se il quadro clinico della paziente lo permette, in favore della sola psicoterapia, riducendo il più possibile gli effetti dannosi che gli psicofarmaci potrebbero avere sul feto, senza incidere negativamente sull’equilibrio psichico della gestante (Cartabellotta et al., 2015).

Non è ancora chiaro quindi se la gravidanza sia effettivamente un pericolo per le donne che hanno precedentemente sofferto di disturbi psichiatrici o se, al contrario, sia un fattore protettivo, ma si è reso necessario individuare le strategie necessarie a permettere loro di vivere la maternità e, prima di essa, la gravidanza, con il maggior grado di sicurezza possibile, al fine di garantire loro il diritto alla maternità, senza rischiare che sia il bambino a pagarne il prezzo.

Effetti della gestazione sulla paziente psichiatrica: rischi peri- e post-natali

Come indicato dalle linee guida, essere affette da psicopatologia implica che la gravidanza debba essere attentamente programmata per ridurre al minimo il rischio di recidiva, peggioramento sintomatologico o, in caso di terapia farmacologica, effetti dannosi su feto e madre.

Ma cosa accade ad una gestante che, prima della gravidanza, aveva disturbi psichici?

I principali disturbi psichici analizzati dalla letteratura nel periodo gravidico sono i disturbi d’ansia, i disturbi dell’umore, il disturbo bipolare, i disturbi alimentari e la schizofrenia.

I disturbi d’ansia sono i più diffusi tra le gestanti, ma anche i meno individuati dai clinici: spesso è difficile diagnosticare un peggioramento della sintomatologia o un nuovo esordio in gravidanza, poiché la tendenza dei clinici che circondano la gestante è quella di attribuire la preoccupazione ad una normale condizione di cambiamento della donna. La fisiologica preoccupazione, però, è ben distante dalla preoccupazione patologica, che invece può essere fonte di forte stress per la donna in attesa. Prendendo in analisi il Disturbo di Panico, molti studi sembrano dimostrare che la gestazione abbia effetti molto diversi a seconda di come si presentava la sintomatologia prima della gravidanza: secondo Cohen e colleghi (1996) i sintomi tendono a migliorare quando la precedente sintomatologia era lieve, mentre tendono a peggiorare se prima della gravidanza la donna presentava sintomi più severi. Questo aspetto potrebbe essere influenzato anche dalla produzione ormonale tipica della gravidanza che, con l’aumento di estradiolo e progesterone, produce un effetto ansiolitico; tali livelli ormonali subiscono un crollo circa 4 o 5 giorni dopo il parto, aumentando la possibilità di un peggioramento repentino nel post partum (Cohen et al., 1994; Klein et al., 1994; Reddy et al., 2005). Come per il Disturbo di Panico, anche per il Disturbo d’Ansia Generalizzato, la produzione di estradiolo e progesterone sembra proteggere le donne da una possibile esacerbazione della sintomatologia, sebbene possano persistere pensieri di tipo ansioso, con la sola eccezione di sintomi come ipoventilazione e tachicardia, che possono peggiorare in gravidanza, soprattutto in risposta ai cambiamenti corporei (Cowley, 1989). Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo, invece, sembra essere messo a dura prova dalla gestazione: secondo Neziroglu e colleghi, la sintomatologia sicuramente peggiora, andando a interferire, in base al tipo di comportamento messo in atto in risposta all’ossessione, con il decorso della gravidanza (Neziroglu et al., 1992).

Anche per i disturbi dell’umore, il corretto inquadramento diagnostico è più complesso durante la gestazione: alcuni segni tipici della depressione, come astenia, cambiamenti di peso o difficoltà legate al ciclo del sonno, possono essere erroneamente confusi con segni tipici della gravidanza. In realtà, il tasso di depressione in gravidanza mostra una prevalenza del 7% al primo trimestre, 12,8% al secondo e 12% al terzo (Bennet et al., 2004); tra i fattori di rischio, uno dei più importanti consiste proprio nell’avere una precedente storia di episodi depressivi e/o di depressione post natale (Ryan, Milis, Misri, 2005). Un aspetto interessante riguarda il fatto che la depressione prenatale e quella postnatale sembrano mostrare configurazioni tipiche, che permettono di porre l’accento su differenti aspetti sintomatologici in base alla fase in cui si trova la donna: Kammerer e colleghi (2006) hanno individuato sintomi tipici della depressione melanconica nel periodo della gravidanza, con insonnia, iporessia e scarsa reattività del tono dell’umore, associata ad aumento dei livelli di cortisolo, mentre la depressione postnatale sembra più simile alla depressione atipica, con ipersonnia, labilità emotiva e iperfagia, associata ad una riduzione dei livelli di cortisolo (Kammerer, Taylor, Glover, 2006).

Episodi depressivi, inoltre, sembrano manifestarsi durante la gravidanza similmente a quanto avviene normalmente (APA, 2013), con la peculiarità di riportare contenuti ed eventuali deliri alla dimensione materna, al futuro accudimento del bambino, all’insicurezza circa il diventare madre (Giardinelli et al., 2008). Da non sottovalutare, inoltre, il rischio che caratterizza le gestanti che hanno scelto di interrompere il trattamento farmacologico per programmare il concepimento: secondo uno studio di Cohen e collaboratori (Cohen et al., 2006), infatti, nel 68% dei casi, queste donne vanno incontro a ricadute durante la gravidanza, soprattutto nel primo trimestre.

Per quanto riguarda il disturbo bipolare, la letteratura sembra avere pareri contrastanti circa il suo miglioramento o, al contrario, peggioramento, durante la gestazione (Freeman, Gelenberg, 2005). Ciò che invece appare evidente è la necessità di non interrompere la terapia autonomamente: secondo lo studio di Viguera e colleghi (Viguera et al., 2007), le donne che sospendono bruscamente la terapia a base di stabilizzatori dell’umore, presentano il doppio delle possibilità di ricadute rispetto alle donne che proseguono la terapia. D’altro canto, considerando le possibili interferenze sullo sviluppo del feto, l’ideale sarebbe poter optare per una sospensione graduale della terapia nel primo trimestre di gravidanza, soluzione adottabile per quelle donne che hanno avuto lunghi periodi di remissione della sintomatologia prima del concepimento.

Nelle donne affette da schizofrenia, spesso la gravidanza non è programmata, ma è piuttosto frutto di comportamenti sregolati, basse condizioni socioeconomiche, tendenza all’impulsività o promiscuità. In queste donne, il rischio maggiore è imputabile all’imprevedibilità dell’impatto che la gestazione può avere sulle loro condizioni psichiche (Howard, 2005): comportamenti disregolati, abuso di alcol e fumo, carenza di cure prenatali, scarsità di igiene personale sono solo alcune delle manifestazioni che potrebbero emergere durante la gestazione. Il periodo puerperale, inoltre, rappresenta un ulteriore momento delicato, che può vedere l’esacerbarsi dei deliri e dei comportamenti disorganizzati (Chandra et al., 2006). Tuttavia, la letteratura evidenzia come la maternità possa provocare un miglioramento sulla salute psichica della donna, che vede modificare il proprio status all’interno della famiglia, ridurre lo stigma sociale e generalmente ottenere un allargamento della propria rete di supporto, aspetti che migliorano lo stato della paziente (Craig & Abel, 2001). Tutto questo impone un’attenzione particolare verso le donne schizofreniche, sia nel periodo prenatale, sia in quello puerperale, con interventi diretti e specifici che tutelino la salute di madre e figlio.

In donne con storia di disturbi alimentari, la gravidanza rappresenta un momento di notevole difficoltà, in cui ci si confronta con quegli aspetti che hanno rappresentato il nucleo di un periodo difficile: l’aumento di peso, il cambiamento della forma del proprio corpo, il nuovo ruolo sociale e il cambiamento della relazione con le proprie figure genitoriali. Tutto questo può riaccendere il disturbo, portando a nuove condotte restrittive e di eliminazione (Mitchell, Bulik, 2006) che possono provocare l’aborto, o determinare basso peso alla nascita, prematurità e necessità di ricorrere al parto cesareo (Crow et al., 2004). Un’attenzione particolare è necessaria nelle donne che hanno ottenuto un miglioramento o una remissione della sintomatologia nel periodo gestazionale: per queste donne, il periodo del puerperio, potrebbe rappresentare un momento di recidiva importante, per la fretta di recuperare il corpo e il peso desiderati (Lacey, Smith, 1987).

La gravidanza rappresenta di per sé un importante fattore di stress, che come tale può rappresentare un importante fattore eziologico nello sviluppo di disturbi psichici in donne che presentano aspetti di vulnerabilità. L’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), tipicamente iperattivata in condizioni di stress, può avere importanti effetti sullo sviluppo del feto e può indurre un parto prematuro (Glover, O’Connor, 2002; Kurki et al., 2000); condizioni di depressione o ansia, tipicamente le più frequentemente riscontrate durante la gestazione, possono attivare l’asse HPA, producendo le conseguenze tipiche dello stress prolungato (Brockington, Macdonald, Wainscott, 2006).

Da non sottovalutare è anche il concetto di Attaccamento Prenatale (APN), che si riferisce allo sviluppo di un legame basato sul concetto di accudimento della madre verso il bambino che nascerà: questo aspetto, che costituisce una primordiale forma di relazione tra madre e bambino, è considerata prognostica del rapporto che i due avranno dopo il parto. Oltre a costituire un importante indicatore per lo sviluppo della relazione nel post partum, fornisce anche indicazioni circa la capacità di prendersi cura del bambino e la sua sensibilità nell’interazione (Della Vedova, 2005). L’APN sembra evolversi e crescere con l’aumentare dell’età gestazionale: potendo vedere il proprio bambino crescere attraverso le ecografie prenatali e potendolo man mano sentire sempre più presente nel proprio ventre, le future mamme sembrano investire sempre di più emotivamente nel bambino (Barone, 2014; Della Vedova, 2008). Recenti studi hanno indagato la possibilità che tale costrutto possa essere influenzato da aspetti più prettamente clinici, come ansia o depressione. In particolare, si è visto che, mentre i sintomi depressivi possono interferire con l’intensità dell’APN (Barone, 2014), l’ansia, soprattutto in casi di sintomatologia severa, può determinare una tendenza alla distrazione della madre rispetto ai bisogni del proprio bambino (Hopkins, 2018). Un aspetto importante dell’Attaccamento Prenatale è la possibilità di utilizzarlo, tra gli altri, come parametro per individuare precocemente quelle situazioni in cui si ha un maggiore rischio di stress genitoriale (Mazzeschi, 2015) o di sviluppo di depressione post partum (Alhusen, 2013), potendo così intervenire precocemente sulla madre e sulla coppia.

È importante inoltre ricordare che il periodo della gestazione di per sé è caratterizzato da una serie di indicazioni cliniche che scandiscono il periodo della gestazione in maniera continua e regolare: vitamine, integratori, visite di monitoraggio, screening prenatali e analisi di vario tipo, diventano una routine nella donna in attesa. Questo aspetto, che di per sé può rappresentare un elemento di stress, potrebbe diventare ancora più gravoso in quelle donne che devono sottoporsi a psicoterapia o che, continuando ad assumere psicofarmaci, devono essere monitorate costantemente. Tutto questo potrebbe, oltre che causare stress, influire sulla compliance terapeutica, portando la donna a saltare le sedute o a dimenticare o rifiutare il farmaco. Una buona psicoeducazione e un costante supporto psicologico sono fondamentali nel monitorare la salute della donna e mantenere un buon grado di compliance nelle terapie.

Possibili conseguenze della terapia farmacologica

Non sempre è possibile, per la donna che pianifica una gravidanza, abbandonare del tutto la terapia farmacologica: come tutelare allo stesso tempo la salute psichica della paziente e quella del nascituro? Dato che la maggior parte degli psicofarmaci ha la capacità di interferire, anche gravemente, sullo sviluppo del feto, la terapia farmacologica dev’essere attentamente rimodulata. La scelta del clinico, quindi, potrà procedere su due strade: modificare il farmaco o modificare il dosaggio.

L’elemento fondamentale da tenere in considerazione è da una parte la salute psichica della donna, dall’altra la tossicità del farmaco per il feto: il cambiamento o la sospensione della terapia, infatti, devono tener conto sia delle conseguenze dirette sulla salute di madre e bambino, sia sulle conseguenze che potrebbe comportare un peggioramento della sintomatologia materna in termini di comportamento. Se il farmaco ha la capacità di attraversare la placenta e influire sullo sviluppo del feto, è importante considerare quanto può incidere sul benessere del piccolo e, in quest’ottica, è importante tenere conto dell’età gestazionale, che fornisce indicazioni circa lo stadio di sviluppo del piccolo e, di conseguenza, le possibili implicazioni dell’assunzione di un determinato farmaco durante quel periodo della gravidanza.

In considerazione di questi elementi, gli studi dimostrano che tra gli antidepressivi, psicofarmaci notevolmente diffusi, possono avere effetti importanti sul feto: secondo una recente review (Goracci et al., 2015), gli antidepressivi possono avere effetti teratogeni e impattare negativamente sulla crescita del feto, provocando nel 30% dei casi una sindrome astinenziale nel neonato, caratterizzata da pianto frequente, tremori, difficoltà nel ciclo del sonno, ipertonicità o mioclono, tachipnea, disturbi gastrointestinali; questa sintomatologia tende a risolversi autonomamente nel 70% dei casi in circa 3-5 giorni dalla nascita (Levinson-Castiel et al., 2006; Ferreira et al., 2007). L’effetto negativo degli antidepressivi sul feto è imputabile alla capacità del farmaco di attraversare la placenta, arrivando ad essere presente nel sangue del piccolo: la concentrazione del farmaco nel sangue fetale sembra essere proporzionale a quella della madre, ad eccezione di alcune molecole. Dato l’aumentato rischio di ricadute depressive per le donne che sospendono improvvisamente la terapia farmacologica, prossimo al 70%, con conseguente scarsa adesione ai controlli di routine e alterazione dello stile di vita (Bellantuono et al., 2006), risulta fondamentale utilizzare questi dati per modificare il trattamento in favore, laddove possibile, di una molecola meno dannosa per il feto. Secondo la review citata, gli antidepressivi con maggiori effetti dannosi sembrano essere i SSRI (Goracci et al., 2015).

Le benzodizepine, comunemente associate all’uso ansiolitico, sono tra i farmaci più sconsigliati durante la gestazione: la psicoterapia si è dimostrata parimenti efficace, al punto da poterne sostituire gli effetti, soprattutto in considerazione della probabilità di provocare parto prematuro, basso peso alla nascita e difficoltà respiratorie (Yonkers, Gilstad-Hayden, Forray, Lipkind, 2017).

Per gli antipsicotici gli effetti avversi sullo sviluppo del feto sono molteplici e differenziati a seconda della molecola: tutti i farmaci appartenenti a questa categoria attraversano la barriera placentare, andando a determinare una concentrazione del farmaco nel sangue fetale. Si è visto che tutti i farmaci antipsicotici possono avere effetti teratogenici nel primo trimestre e che i neurolettici possono avere effetti dannosi sul feto anche nel secondo e terzo trimestre (Grover, Avasthi, Sharma, 2006): data la mole di dati a disposizione, nel caso in cui si ritenga necessario mantenere la terapia farmacologica, la preferenza è quella dei neurolettici tipici, che a dosaggi minimi sembrano essere quelli con il minor rischio di danni sullo sviluppo del feto (Yaeger, Smith, Altshuler, 2006).

In considerazione di tutti questi elementi, appare evidente la difficoltà del clinico nella scelta del trattamento terapeutico in un momento tanto delicato, soprattutto se la gravidanza non è stata attentamente pianificata, preparando la paziente in anticipo al periodo della gestazione e ad un eventuale cambiamento della terapia.

In quest’ottica, fondamentale è la presenza della psicoterapia, che permette sia di monitorare la donna, per scongiurare eventuali ricadute, contenendo il cambiamento e lavorando sull’accettazione dei cambiamenti in corso, sia di intervenire come sostituto o coadiuvante del farmaco, riducendo il rischio che si manifesti nuovamente il disturbo o che intervenga un nuovo episodio psichiatrico. Altro aspetto fondamentale della psicoterapia è l’intervento sulla coppia, che permette di lavorare sia in termini di preparazione alla genitorialità, sia in termini di ‘lavoro di squadra’ nel supporto alla futura madre, andando a ridurre il rischio di compromissione della compliance e, di conseguenza, di ricaduta psichiatrica.

Conclusioni

Tenendo conto dei dati che la letteratura nazionale e internazionale ha fornito, sono state messe a punto delle specifiche linee guida per l’intervento con le donne affette da psicopatologia durante la gestazione, utili per guidare la pratica clinica dei professionisti sanitari che intervengono nella cura delle donne con patologie psichiatriche nel periodo della gestazione (NICE, 2014). Le linee guida insistono su pianificazione, modificazione della terapia farmacologica con, dove possibile, abbandono del farmaco in favore della psicoterapia, screening psicologico periodico e supporto psicologico costante durante e dopo la gravidanza.

Proprio il supporto psicologico sembra essere lo strumento di elezione per la prevenzione di ricadute e di nuove psicopatologie nella gravidanza e nel puerperio e rappresenta l’unica possibilità di intervento tempestivo in caso di manifestazione di sintomi ‘sentinella’.

Il supporto, che consiste nel creare un momento di riflessione e di dialogo per mamme e papà, rappresenta anche un momento di costante psicoeducazione e di costruzione dello spazio affettivo per il bambino. Attraverso questi interventi, si aumenta nei futuri genitori la conoscenza di quanto avverrà, preparandoli ad affrontare il cambiamento, ma allo stesso tempo si permetto loro di creare gradualmente un bagaglio di capacità genitoriali che rendono maggiore la percezione di autoefficacia. Un ulteriore aspetto del supporto consiste nel riconoscimento e validazione delle emozioni che caratterizzano questo periodo, dando spazio sia a quelle positive, sia a quelle negative, e lavorando allo sviluppo delle abilità necessarie ad affrontare la nuova sfida della genitorialità. Da non sottovalutare, inoltre, la capacità di individuare, durante il supporto, situazioni a rischio, permettendo quindi l’inserimento dell’intervento terapeuti, laddove risulti necessario.

Altro importante strumento nella prevenzione e nell’intervento tempestivo, è il supporto nel puerperio: spesso concepito come prosecuzione del supporto gestazionale, sempre più spesso tale servizio accompagna le neomamme anche nel primo periodo di vita del bambino. Si tratta sia di un valido aiuto nell’esprimere ed elaborare il proprio vissuto di madre, condividendo dubbi, paure e difficoltà del nuovo ruolo di genitore, sia di un momento di monitoraggio, che consente, ancora una volta, di individuare eventuali segnali allarmanti e di intervenire su di essi prima che vadano a costituire un disturbo vero e proprio.

Fonte  https://www.stateofmind.it/2020/10/gravidanza-pazienti-psichiatriche/

INFERTILITÀ MASCHILE, SI PUÒ PREVEDERE DAL DNA

 L’infertilità maschile è una condizione che riguarda circa il 7% degli uomini. Le cause sono varie, fra queste:


  • Cause genetiche: un’imperfetto sviluppo dei testicoli.
  • Disfunzione erettile: legate al 5% dei casi di infertilità.
  • Infezioni uro-seminali: possono danneggiare gli spermatozoi, i canali seminali, la prostata ecc.
  • Malattie sessualmente trasmesse: Sifilide, Gonorrea, Clamidia, Papillomavirus possono causare infertilità.
  • Farmaci: alcuni farmaci come gli antitumorali o quelli per il colesterolo alto costituiscono un fattore a rischio.
  • Traumi
  • Stili di vita: uno stile di vita sedentario, una cattiva alimentazione e il consumo di bevande alcoliche sono tutti fattori di rischio. Inoltre, il fumo di tabacco o cannabis riduce il numero di spermatozoi e limita la loro motilità.
  • Rischi ambientali: radiazioni, pesticidi, solventi.


Infertilità maschile, il nuovo studio

Un nuovo studio condotto dai ricercatori dell’Università del Massachussets ad Amherst ha permesso di individuare, negli spermatozoi, un marcatore in grado di prevedere il grado di riproduttività maschile. In questo modo, quindi, si potrebbe anche prevedere il grado di probabilità di ottenere una gravidanza.

I ricercatori sostengono che durante il processo di formazione delle cellule riproduttive maschili, il numero di Dna mitocondriale all’interno degli spermatozoi, diminuisce fino a 10 volte. In questo modo permetterebbe di essere molto basso durante la fecondazione, poiché ricordiamo che il Dna mitocondriale viene ereditato soloamente per via materna.

Fonte https://www.yeslife.it/2020/10/26/infertilita-maschile-si-puo-prevedere-dal-dna/