Sono molte le persone che si vedono costrette a convivere ogni giorno con malattie croniche intestinali, per esempio la Colite Ulcerosa e il Morbo di Crohn. Come nel caso di tutte le patologie autoimmuni, anche questo genere di malattie sono contraddistinte da una fase acuta in cui si evidenziano i sintomi e una remissiva. Le persone affette da tali problematiche, con molta probabilità, devono sottoporsi a cure pressoché continuate e, nei casi più gravi, persino a interventi chirurgici. Ciò che pochi sanno, tuttavia, è che si possono avere ripercussioni sia sulla fertilità che sulla salute del feto durante la gestazione.
Gravidanza a rischio
Durante l’ottavo Congresso Nazionale dell’Italian Group for the study of Inflammatory Bowel Disease, organizzato da Marco Daperno, Claudio Papi e Fernando Rizzello, sono emersi aspetti rilevanti circa il morbo di Crohn. «L’attività di malattia, al concepimento o durante la gestazione, è in grado di influenzare negativamente l’esito della gravidanza – dichiara la Dr.ssa Aurora Bortoli, Fondazione IBD Onlus Piemonte – aumentando la probabilità di aborto spontaneo, parto pre-termine (< 37 settimane) e basso peso alla nascita (< 2500 gr). Al contrario, se la malattia è in remissione al concepimento, ha un minimo o nullo effetto sulla gravidanza ed il suo esito. È estremamente importante, quindi, iniziare una gravidanza in periodo di remissione della malattia (da 3-6 mesi) per ridurre il rischio di esito sfavorevole della gravidanza».
Ma c’è chi ha paura della terapia
Il problema principale pare riguardare la terapia. Sono molti i casi di pazienti che denotano molto più timore per le cure che non per la patologia in sé. Non a caso un recente studio condotto in Australia ha evidenziato come le terapie rivolte alle MICI – le malattie croniche intestinali – fanno paura alla maggior parte delle donne in gravidanza. L’84% delle persone intervistate, infatti, ha asserito di aver paura che il farmaco potesse essere rischioso per il feto. Solo il 19%, invece, si riteneva maggiormente preoccupata per i sintomi indotti dalla patologia.
Meglio rivolgersi al proprio medico
Come sempre accade, quando si è affetti da malattie così importanti è essenziale interpellare il proprio medico ed evitare il fai da te. «Frequentemente la percezione dell’importanza della terapia e il comportamento nei confronti dei farmaci era influenzata dalla discussione e dai consigli di familiari o amici, oppure dalle informazioni ottenute attraverso Internet, senza rivolgersi al proprio medico. Valutazioni successive hanno messo in evidenza come il punto di vista dei pazienti sulla fertilità e sulla gravidanza sia strettamente legato alla propria conoscenza delle problematiche correlate a questi aspetti, tanto da indurre, in molti casi, una «infertilità volontaria», continua la dottoressa Aurora Bortoli.
Minor fertilità
Secondo quanto emerso da recenti studi, le donne affette da colite ulcerosa possono avere una fertilità pressoché normale durante i periodi di remissione. D’altro canto in chi ha contratto la malattia di Crohn vi è sempre una minor fertilità, forse a causa dell’infiammazione a livello pelvico. Ma c’è una differenza tra la popolazione di sesso maschile e quello femminile. Mentre le donne non assistono a variazioni sulla fertilità durante l’assunzione dei farmaci, gli uomini sì. Ma è importante sottolineare che tale effetto regredisce 2-3 mesi dopo l’ultima dose.
L’importanza del dialogo
«In conclusione, va incoraggiato con i pazienti un dialogo e una discussione per fare in modo che dubbi e preoccupazioni riguardo alla fertilità, alla gravidanza e alla terapia durante la gestazione e l’allattamento vengano espressi al proprio gastroenterologo, oltre che al ginecologo, al pediatra e al medico di medicina generale. La Fondazione IBD-Onlus e IG-IBD hanno iniziato una collaborazione tra Gastroenterologi, Ginecologi e Pediatri per raggiungere un consenso interdisciplinare rispetto ai principali problemi clinici che si possono verificare prima, durante e dopo la gravidanza, nei pazienti affetti da MICI. Lo scopo è quello di sviluppare una linea guida comune da diffondere nella comunità Gastroenterologica, Ginecologica e Pediatrica, nonché ai pazienti sia con documentazione scritta, che con incontri educativi», conclude la Dottoressa Bortoli.
Fonte https://www.diariodelweb.it/salute/articolo/?nid=20171204_469009
Gravidanza a rischio
Durante l’ottavo Congresso Nazionale dell’Italian Group for the study of Inflammatory Bowel Disease, organizzato da Marco Daperno, Claudio Papi e Fernando Rizzello, sono emersi aspetti rilevanti circa il morbo di Crohn. «L’attività di malattia, al concepimento o durante la gestazione, è in grado di influenzare negativamente l’esito della gravidanza – dichiara la Dr.ssa Aurora Bortoli, Fondazione IBD Onlus Piemonte – aumentando la probabilità di aborto spontaneo, parto pre-termine (< 37 settimane) e basso peso alla nascita (< 2500 gr). Al contrario, se la malattia è in remissione al concepimento, ha un minimo o nullo effetto sulla gravidanza ed il suo esito. È estremamente importante, quindi, iniziare una gravidanza in periodo di remissione della malattia (da 3-6 mesi) per ridurre il rischio di esito sfavorevole della gravidanza».
Ma c’è chi ha paura della terapia
Il problema principale pare riguardare la terapia. Sono molti i casi di pazienti che denotano molto più timore per le cure che non per la patologia in sé. Non a caso un recente studio condotto in Australia ha evidenziato come le terapie rivolte alle MICI – le malattie croniche intestinali – fanno paura alla maggior parte delle donne in gravidanza. L’84% delle persone intervistate, infatti, ha asserito di aver paura che il farmaco potesse essere rischioso per il feto. Solo il 19%, invece, si riteneva maggiormente preoccupata per i sintomi indotti dalla patologia.
Meglio rivolgersi al proprio medico
Come sempre accade, quando si è affetti da malattie così importanti è essenziale interpellare il proprio medico ed evitare il fai da te. «Frequentemente la percezione dell’importanza della terapia e il comportamento nei confronti dei farmaci era influenzata dalla discussione e dai consigli di familiari o amici, oppure dalle informazioni ottenute attraverso Internet, senza rivolgersi al proprio medico. Valutazioni successive hanno messo in evidenza come il punto di vista dei pazienti sulla fertilità e sulla gravidanza sia strettamente legato alla propria conoscenza delle problematiche correlate a questi aspetti, tanto da indurre, in molti casi, una «infertilità volontaria», continua la dottoressa Aurora Bortoli.
Minor fertilità
Secondo quanto emerso da recenti studi, le donne affette da colite ulcerosa possono avere una fertilità pressoché normale durante i periodi di remissione. D’altro canto in chi ha contratto la malattia di Crohn vi è sempre una minor fertilità, forse a causa dell’infiammazione a livello pelvico. Ma c’è una differenza tra la popolazione di sesso maschile e quello femminile. Mentre le donne non assistono a variazioni sulla fertilità durante l’assunzione dei farmaci, gli uomini sì. Ma è importante sottolineare che tale effetto regredisce 2-3 mesi dopo l’ultima dose.
L’importanza del dialogo
«In conclusione, va incoraggiato con i pazienti un dialogo e una discussione per fare in modo che dubbi e preoccupazioni riguardo alla fertilità, alla gravidanza e alla terapia durante la gestazione e l’allattamento vengano espressi al proprio gastroenterologo, oltre che al ginecologo, al pediatra e al medico di medicina generale. La Fondazione IBD-Onlus e IG-IBD hanno iniziato una collaborazione tra Gastroenterologi, Ginecologi e Pediatri per raggiungere un consenso interdisciplinare rispetto ai principali problemi clinici che si possono verificare prima, durante e dopo la gravidanza, nei pazienti affetti da MICI. Lo scopo è quello di sviluppare una linea guida comune da diffondere nella comunità Gastroenterologica, Ginecologica e Pediatrica, nonché ai pazienti sia con documentazione scritta, che con incontri educativi», conclude la Dottoressa Bortoli.
Fonte https://www.diariodelweb.it/salute/articolo/?nid=20171204_469009
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