Adele Lapertosa a maggio del 2013 finalmente è diventata mamma. Nel 2011, lei e suo marito, che da un anno cercavano di avere un figlio, hanno scoperto che avrebbero dovuto ricorrere alla provetta per realizzare il loro sogno. “Ci siamo dovuti sottoporre a tre cicli di fecondazione assistita, in tre centri diversi, prima di riuscire ad avere nostra figlia”. Un'esperienza che definisce difficile e logorante.
Per questo Adele, giornalista dell’Ansa e del Fatto Quotidiano, ha scritto il libro "Il bambino possibile" (Pensiero Scientidico Editore), in cui illustra il percorso della procreazione medicalmente assistita (Pma): dalle analisi da fare e le tecniche disponibili, ai problemi psicologici da superare, fino alla storia della Legge 40 che disciplina la Pma in Italia.
Una sorta di bussola, dunque, per chi cerca di diventare genitore nonostante la diagnosi di infertilità. Un vademecum per aiutare chi deve affrontare, o sta prendendo in considerazione, la fecondazione assistita.
1. Cos'è l'infertilità
“È un problema medico – con la stessa dignità di una colite ulcerosa o dell’artrosi – di cui non ci si deve vergognare. È una patologia, che come tale va curata, e non un capriccio, come vi sentirete accusare da molti” scrive. Secondo la definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per infertilità si intende l'assenza di concepimento dopo 12/24 mesi di rapporti mirati e non protetti.
2. Quali esami per diagnosticarla
Entrambi i partner devono sottoporsi ad alcuni esami per arrivare a una diagnosi di infertilità. Per la donna il punto di partenza è un’ecografia alle ovaie. Le vengono poi prescritti dosaggi ormonali (di Fsh, Lh, 17 beta estradiolo, prolattina, Tsh e ormone antimulleriano), la ricerca degli anticorpi della clamidia e tampone vaginale e cervicale per clamidia e micoplasma. Per l’uomo invece step iniziale sono l’esame del liquido seminale (spermiogramma e test di capacitazione) e la spermiocoltura, per vedere se ci sono delle infezioni in corso, oltre a una valutazione clinica da parte dell’andrologo e un’ecografia del testicolo.
Per approfondire meglio la situazione e le cause di una possibile infertilità possono essere eseguiti ulteriori esami (per lui: dosaggi ormonali, indagini genetiche, test di frammentazione del Dna degli spermatozoi, ricerca di anticorpi antispermazoi; per lei: sterosalpingografia per controllare lo stato delle tube di Falloppio, indagini genetiche e isteroscopia per “vedere” all’interno della cavità uterina).
3. Accettare la diagnosi di infertilità può essere molto difficile
“Accettare di avere questo problema può gettare nella disperazione più nera e spesso finisce per diventare un'ossessione. Riuscire quindi a gestire tutto il carico di ansie e sentimenti negativi è senz'altro una delle prove più difficili” racconta Lapertosa.
Alcuni per esempio vivono la diagnosi di infertilità (e tutto ciò che ne consegue) come una vergogna da nascondere, altri fanno fatica a parlarne, anche con i familiari e gli amici più stretti. Non mancano infatti commenti (difficili da digerire) da parte di chi non comprende, se non addirittura disapprova, l'idea di ricorrere alla fecondazione assistita, ostinandosi (a detta loro) a cercare un figlio a tutti i costi, “contro il volere della natura”.
Non sono da sottovalutare, inoltre, le difficoltà che possono insorgere nel gestire la relazione (e la vita sessuale) con il partner. “Possono instaurarsi pensieri di rabbia e rivalsa verso il o la 'colpevole'”. E ancora “può succedere che per voi sia un dramma, e per lui o lei invece no, o non ve lo dia a vedere”.
Insomma, la diagnosi è un momento molto difficile: “sappiate che è normale stare male e che avete diritto a prendervi il tempo necessario per elaborare quello che è di fatto una sorta di lutto”.
6. Come scegliere il centro
“Un buon punto di partenza per affrontare la procreazione assistita è quello di informarsi bene prima di scegliere lo specialista e la struttura da cui farsi seguire” suggerisce Lapertosa. “Non sempre il nome blasonato è garanzia del miglior trattamento. Un buon medico dovrebbe essere disponibile ad ascoltare, rispondere alle domande e chiarire tutti i dubbi, per quanto stupidi possano sembrare”.
Per quanto riguarda i centri, non esiste una classifica, ma è bene prestare attenzione a degli indicatori che possono essere utili per capirne la qualità: per esempio, “il numero di cicli di procreazione assistita fatti in un anno, di gravidanze ottenute e di bambini nati vivi, la possibilità di congelare ovociti ed embrioni sovrannumerari, il tipo di servizi offerti”.
Ecco cosa chiedere al centro cui vi rivolgete per capirne il livello:
1. rispondenza alle normative Ue per gli standard di qualità;
2. numero di cicli fatti in un anno;
3. numero di gravidanze ottenute per ciclo e per trasferimento;
4. numero di bambini nati vivi;
5. possibilità di congelare ovociti ed embrioni sovrannumerari;
6. giorni di apertura;
7. tipo di servizi offerti (diagnosi, tecniche, trattamento altre patologie, specialisti presenti);
8. anni di attività;
9. percentuale di gravidanze plurime su quelle totali ottenute;
10. pubblicazioni scientifiche.
7. Le tecniche di Pma (Fivet e Icsi le più proposte)
Ne esistono diverse. Per cui, con il medico si valuta e si decide quella più adatta al particolare problema della coppia. In ogni caso, “le procedure più diffuse ed eseguite, e che è più facile che vi sentiate proporre, sono la Fivet e l’Icsi” scrive Lapertosa.
La Fivet (fecondazione in vitro con trasferimento dell’embrione) prevede il prelievo degli ovociti dalla donna, “con un intervento detto pickup che si fa in day hospital”. Sugli ovociti recuperati si versa poi una goccia di liquido seminale. “Se vengono fecondati, gli embrioni ottenuti vengono trasferiti nell’utero (per un massimo di tre a seconda dell’età e della fase di sviluppo degli embrioni). Questa tecnica si può utilizzare se l’infertilità maschile è lieve, perché richiede un numero di spermatozoi nel liquido seminale sufficiente, almeno di 1 milione per millilitro, e che siano di buona qualità e attivi abbastanza da arrivare da soli nell’ovocita per fecondarlo” spiega Lapertosa.
Con l'Icsi (microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo per la fecondazione dell’ovocita e trasferimento dell’embrione ottenuto in utero), invece, il singolo spermatozoo viene inserito direttamente, grazie a una micropipetta, nell’ovocita. Questa tecnica “permette di superare le difficoltà di fecondazione quando gli spermatozoi sono poco attivi e mobili o in caso di ovocita crioconservato. Per la sua applicazione l’unica condizione necessaria è la vitalità degli spermatozoi”.
8. Il piano terapeutico: tipo e quantità di farmaci
Al momento di iniziare un ciclo di Pma, il centro di fecondazione assistita rilascia il piano terapeutico in cui sono indicati il tipo e la quantità di farmaci da usare per la stimolazione ormonale, per produrre ovuli e spermatozoi in quantità superiore a quelli che il corpo naturalmente sviluppa.
“In Italia, la prescrizione e l’uso dei farmaci per un ciclo di pma sono regolamentati dalla Nota 74 dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). E sono a carico del Servizio sanitario nazionale (quindi si paga solo il ticket) se la diagnosi e il piano terapeutico sono compilati da centri specializzati, individuati dalle Regioni e dalle Province autonome”. Senza il piano terapeutico in sostanza non è possibile avere la prescrizione di farmaci a carico del Ssn. Stessa cosa, cioé i farmaci (così come tutte le cure) bisogna pagarli di tasca propria, se si ha più di 45 anni o si decide di rivolgersi a un centro straniero.
9. I costi
Il fattore economico è “senz’altro uno dei tasti dolenti da affrontare al momento di fare una Pma”. Se ci si mette in lista d’attesa in una struttura pubblica, si spende poco ma si può essere chiamati magari dopo un anno: “12 mesi preziosissimi riproduttivamente parlando”. Altrimenti “si può fare subito in un centro privato spendendo molti soldi, e con il rischio di dover ripetere la spesa più volte”, a seconda dei cicli.
“Un’indagine condotta nel 2012 dalla Commissione d’inchiesta della Camera sugli errori e il disavanzo sanitario ha calcolato che complessivamente avere un figlio 'in provetta' in Italia costa in media 12.300 euro (includendo non solo i costi della terapia riproduttiva, ma anche le spese per la gravidanza, visite, ecografie, esami, parto, eventuali ricoveri e costi dovuti a complicanze). E che le famiglie pagano 3000-4000 euro se fanno ricorso al privato, circa 200 euro se si tratta di un centro pubblico o convenzionato”. In ogni caso, la regolamentazione sul rimborso dei cicli di procreazione assistita è diversa da regione a regione.
10. Quanti cicli?
Non sempre si è così fortunati da avere successo al primo tentativo. Anzi, nella maggior parte dei casi bisogna sottoporsi a più cicli. “E ognuno e ogni coppia ha il suo limite di sopportazione. Qualsiasi cosa decidiate, però, decidetela in due e non da soli” raccomanda Lapertosa che cita uno studio danese del 2009, secondo il quale “il 28% delle coppie riesce a concepire nel giro di un anno, mentre per il 62% la meta agognata arriva nel giro di 3 anni.
Oltre il 40% delle coppie si sottopone a 4 o più cicli di Pma. Il dato positivo però è che quasi il 70% delle coppie riesce ad avere almeno un figlio entro 5 anni dall’inizio del percorso di fecondazione assistita, anche se, è bene ribadirlo, i tassi di successo non sono assoluti ma dipendono dalle condizioni di ogni membro della coppia e anche dalla struttura presso cui ci si rivolge”.
Fonte https://www.nostrofiglio.it/concepimento/fecondazione-assistita/10-cose-da-sapere-sulla-fecondazione-assistita-raccontate-da-chi-lha-vissuta-sulla-sua-pelle
Per questo Adele, giornalista dell’Ansa e del Fatto Quotidiano, ha scritto il libro "Il bambino possibile" (Pensiero Scientidico Editore), in cui illustra il percorso della procreazione medicalmente assistita (Pma): dalle analisi da fare e le tecniche disponibili, ai problemi psicologici da superare, fino alla storia della Legge 40 che disciplina la Pma in Italia.
Una sorta di bussola, dunque, per chi cerca di diventare genitore nonostante la diagnosi di infertilità. Un vademecum per aiutare chi deve affrontare, o sta prendendo in considerazione, la fecondazione assistita.
1. Cos'è l'infertilità
“È un problema medico – con la stessa dignità di una colite ulcerosa o dell’artrosi – di cui non ci si deve vergognare. È una patologia, che come tale va curata, e non un capriccio, come vi sentirete accusare da molti” scrive. Secondo la definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per infertilità si intende l'assenza di concepimento dopo 12/24 mesi di rapporti mirati e non protetti.
2. Quali esami per diagnosticarla
Entrambi i partner devono sottoporsi ad alcuni esami per arrivare a una diagnosi di infertilità. Per la donna il punto di partenza è un’ecografia alle ovaie. Le vengono poi prescritti dosaggi ormonali (di Fsh, Lh, 17 beta estradiolo, prolattina, Tsh e ormone antimulleriano), la ricerca degli anticorpi della clamidia e tampone vaginale e cervicale per clamidia e micoplasma. Per l’uomo invece step iniziale sono l’esame del liquido seminale (spermiogramma e test di capacitazione) e la spermiocoltura, per vedere se ci sono delle infezioni in corso, oltre a una valutazione clinica da parte dell’andrologo e un’ecografia del testicolo.
Per approfondire meglio la situazione e le cause di una possibile infertilità possono essere eseguiti ulteriori esami (per lui: dosaggi ormonali, indagini genetiche, test di frammentazione del Dna degli spermatozoi, ricerca di anticorpi antispermazoi; per lei: sterosalpingografia per controllare lo stato delle tube di Falloppio, indagini genetiche e isteroscopia per “vedere” all’interno della cavità uterina).
3. Accettare la diagnosi di infertilità può essere molto difficile
“Accettare di avere questo problema può gettare nella disperazione più nera e spesso finisce per diventare un'ossessione. Riuscire quindi a gestire tutto il carico di ansie e sentimenti negativi è senz'altro una delle prove più difficili” racconta Lapertosa.
Alcuni per esempio vivono la diagnosi di infertilità (e tutto ciò che ne consegue) come una vergogna da nascondere, altri fanno fatica a parlarne, anche con i familiari e gli amici più stretti. Non mancano infatti commenti (difficili da digerire) da parte di chi non comprende, se non addirittura disapprova, l'idea di ricorrere alla fecondazione assistita, ostinandosi (a detta loro) a cercare un figlio a tutti i costi, “contro il volere della natura”.
Non sono da sottovalutare, inoltre, le difficoltà che possono insorgere nel gestire la relazione (e la vita sessuale) con il partner. “Possono instaurarsi pensieri di rabbia e rivalsa verso il o la 'colpevole'”. E ancora “può succedere che per voi sia un dramma, e per lui o lei invece no, o non ve lo dia a vedere”.
Insomma, la diagnosi è un momento molto difficile: “sappiate che è normale stare male e che avete diritto a prendervi il tempo necessario per elaborare quello che è di fatto una sorta di lutto”.
6. Come scegliere il centro
“Un buon punto di partenza per affrontare la procreazione assistita è quello di informarsi bene prima di scegliere lo specialista e la struttura da cui farsi seguire” suggerisce Lapertosa. “Non sempre il nome blasonato è garanzia del miglior trattamento. Un buon medico dovrebbe essere disponibile ad ascoltare, rispondere alle domande e chiarire tutti i dubbi, per quanto stupidi possano sembrare”.
Per quanto riguarda i centri, non esiste una classifica, ma è bene prestare attenzione a degli indicatori che possono essere utili per capirne la qualità: per esempio, “il numero di cicli di procreazione assistita fatti in un anno, di gravidanze ottenute e di bambini nati vivi, la possibilità di congelare ovociti ed embrioni sovrannumerari, il tipo di servizi offerti”.
Ecco cosa chiedere al centro cui vi rivolgete per capirne il livello:
1. rispondenza alle normative Ue per gli standard di qualità;
2. numero di cicli fatti in un anno;
3. numero di gravidanze ottenute per ciclo e per trasferimento;
4. numero di bambini nati vivi;
5. possibilità di congelare ovociti ed embrioni sovrannumerari;
6. giorni di apertura;
7. tipo di servizi offerti (diagnosi, tecniche, trattamento altre patologie, specialisti presenti);
8. anni di attività;
9. percentuale di gravidanze plurime su quelle totali ottenute;
10. pubblicazioni scientifiche.
7. Le tecniche di Pma (Fivet e Icsi le più proposte)
Ne esistono diverse. Per cui, con il medico si valuta e si decide quella più adatta al particolare problema della coppia. In ogni caso, “le procedure più diffuse ed eseguite, e che è più facile che vi sentiate proporre, sono la Fivet e l’Icsi” scrive Lapertosa.
La Fivet (fecondazione in vitro con trasferimento dell’embrione) prevede il prelievo degli ovociti dalla donna, “con un intervento detto pickup che si fa in day hospital”. Sugli ovociti recuperati si versa poi una goccia di liquido seminale. “Se vengono fecondati, gli embrioni ottenuti vengono trasferiti nell’utero (per un massimo di tre a seconda dell’età e della fase di sviluppo degli embrioni). Questa tecnica si può utilizzare se l’infertilità maschile è lieve, perché richiede un numero di spermatozoi nel liquido seminale sufficiente, almeno di 1 milione per millilitro, e che siano di buona qualità e attivi abbastanza da arrivare da soli nell’ovocita per fecondarlo” spiega Lapertosa.
Con l'Icsi (microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo per la fecondazione dell’ovocita e trasferimento dell’embrione ottenuto in utero), invece, il singolo spermatozoo viene inserito direttamente, grazie a una micropipetta, nell’ovocita. Questa tecnica “permette di superare le difficoltà di fecondazione quando gli spermatozoi sono poco attivi e mobili o in caso di ovocita crioconservato. Per la sua applicazione l’unica condizione necessaria è la vitalità degli spermatozoi”.
8. Il piano terapeutico: tipo e quantità di farmaci
Al momento di iniziare un ciclo di Pma, il centro di fecondazione assistita rilascia il piano terapeutico in cui sono indicati il tipo e la quantità di farmaci da usare per la stimolazione ormonale, per produrre ovuli e spermatozoi in quantità superiore a quelli che il corpo naturalmente sviluppa.
“In Italia, la prescrizione e l’uso dei farmaci per un ciclo di pma sono regolamentati dalla Nota 74 dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). E sono a carico del Servizio sanitario nazionale (quindi si paga solo il ticket) se la diagnosi e il piano terapeutico sono compilati da centri specializzati, individuati dalle Regioni e dalle Province autonome”. Senza il piano terapeutico in sostanza non è possibile avere la prescrizione di farmaci a carico del Ssn. Stessa cosa, cioé i farmaci (così come tutte le cure) bisogna pagarli di tasca propria, se si ha più di 45 anni o si decide di rivolgersi a un centro straniero.
9. I costi
Il fattore economico è “senz’altro uno dei tasti dolenti da affrontare al momento di fare una Pma”. Se ci si mette in lista d’attesa in una struttura pubblica, si spende poco ma si può essere chiamati magari dopo un anno: “12 mesi preziosissimi riproduttivamente parlando”. Altrimenti “si può fare subito in un centro privato spendendo molti soldi, e con il rischio di dover ripetere la spesa più volte”, a seconda dei cicli.
“Un’indagine condotta nel 2012 dalla Commissione d’inchiesta della Camera sugli errori e il disavanzo sanitario ha calcolato che complessivamente avere un figlio 'in provetta' in Italia costa in media 12.300 euro (includendo non solo i costi della terapia riproduttiva, ma anche le spese per la gravidanza, visite, ecografie, esami, parto, eventuali ricoveri e costi dovuti a complicanze). E che le famiglie pagano 3000-4000 euro se fanno ricorso al privato, circa 200 euro se si tratta di un centro pubblico o convenzionato”. In ogni caso, la regolamentazione sul rimborso dei cicli di procreazione assistita è diversa da regione a regione.
10. Quanti cicli?
Non sempre si è così fortunati da avere successo al primo tentativo. Anzi, nella maggior parte dei casi bisogna sottoporsi a più cicli. “E ognuno e ogni coppia ha il suo limite di sopportazione. Qualsiasi cosa decidiate, però, decidetela in due e non da soli” raccomanda Lapertosa che cita uno studio danese del 2009, secondo il quale “il 28% delle coppie riesce a concepire nel giro di un anno, mentre per il 62% la meta agognata arriva nel giro di 3 anni.
Oltre il 40% delle coppie si sottopone a 4 o più cicli di Pma. Il dato positivo però è che quasi il 70% delle coppie riesce ad avere almeno un figlio entro 5 anni dall’inizio del percorso di fecondazione assistita, anche se, è bene ribadirlo, i tassi di successo non sono assoluti ma dipendono dalle condizioni di ogni membro della coppia e anche dalla struttura presso cui ci si rivolge”.
Fonte https://www.nostrofiglio.it/concepimento/fecondazione-assistita/10-cose-da-sapere-sulla-fecondazione-assistita-raccontate-da-chi-lha-vissuta-sulla-sua-pelle
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