Durante la gravidanza e l’allattamento, le abitudini alimentari e lo stile di vita della futura madre sono molto importanti, non solo per il mantenimento in salute della donna, ma anche per prevenire disturbi e malattie al feto prima e al neonato poi.
In questa fase, in particolare, aumenta il fabbisogno di energia, macronutrienti e micronutrienti; diventa quindi importante, per esempio, garantire il giusto apporto di vitamine (come i folati) e di sali minerali (per esempio calcio, fosforo, ferro).
Tra i micronutrienti che negli ultimi anni sono diventati oggetto di maggiore attenzione durante la gestazione, c’è indubbiamente la vitamina D. Il ruolo della vitamina D nel campo della riproduzione umana è riconosciuto da oltre vent’anni, sebbene non sia stato ancora del tutto approfondito. Ma alcuni studi hanno messo in luce le possibili conseguenze di un deficit di tale nutriente.
Una vitamina liposolubile
La vitamina D, chiamata anche calciferolo, appartiene al gruppo delle vitamine liposolubili, cioè quelle che sono assorbite assieme ai grassi alimentari e accumulate nel fegato. Viene prodotta dall’organismo a partire da derivati del colesterolo presenti nella pelle grazie all’azione dei raggi del sole (ma si trova anche in alcuni alimenti di origine animale).
Questa vitamina regola in particolare il metabolismo del calcio (ne favorisce l’assorbimento a livello dell’intestino e il riassorbimento a livello renale), favorisce l’assorbimento intestinale anche del fosforo e stimola i processi di corretta mineralizzazione dello scheletro.
Una carenza di vitamina D può essere causa di rachitismo nei bambini (malattia dello scheletro che comporta fragilità ossea e può portare a fratture e deformazioni), con conseguente arresto della crescita, e di osteomalacia (una forte forma di decalcificazione ossea) negli adulti.
La normale esposizione solare è generalmente sufficiente a coprire il fabbisogno di questa vitamina negli adulti: in genere basta esporre almeno le braccia per 10-40 minuti al giorno, in relazione anche alla stagione e alla colorazione della pelle, evitando, d’estate, le ore centrali in cui il picco di raggi ultravioletti aumenta il rischio di cancro della pelle.
Con l’alimentazione, invece, si introducono generalmente bassi livelli di vitamina D, anche perché le fonti alimentari sono relativamente poche come l’olio di fegato di merluzzo (che è l’alimento più ricco), i pesci grassi (come salmone o sgombro), il tuorlo d’uovo, alcuni formaggi (che però ne contengono livelli non elevati).
Alla larga dalle infezioni
Carenze di vitamina D espongono al rischio di vaginosi batterica che, se contratta in gravidanza, può aumentare la possibilità di complicanze e di parti prematuri. A sostenerlo è uno studio dell’Università di Pittsburgh pubblicato sul Journal of Nutrition, che ha evidenziato come il 41% delle partecipanti aveva una vaginosi batterica e, di queste, il 93% presentava insufficienti livelli di vitamina D.
L’azione protettiva della vitamina D nei confronti dell’infezione vaginale, spiegano i ricercatori, potrebbe far capo alla attività di supporto del sistema immunitario svolta da tale sostanza.
Si tratta di uno studio preliminare, per cui non è giustificabile raccomandare alle donne in gravidanza di assumere dosi elevate di vitamina D, ma è giusto consigliare loro di parlare con il proprio medico per verificare i livelli plasmatici di questa vitamina.
In difesa della placenta
Ma le infezioni in gravidanza possono coinvolgere anche la placenta. Per questo, integrare la dieta in gravidanza con supplementi di vitamina D può proteggere la placenta, rafforzandone le difese immunitarie naturali.
Lo conferma su Biology of Reproduction uno studio dell’University of California di Los Angeles (UCLA) che ha evidenziato come la presenza di vitamina D stimoli la produzione di catelicidina a livello delle cellule destinate a dare origine alla placenta. La catelicidina, proteina dalle proprietà antimicrobiche, è in grado di contrastare lo sviluppo di un’ampia serie di patogeni, come stafilococchi, streptococchi, Escherichia coli.
Carenze di vitamina D associate al rischio di parto cesareo...
D’altra parte, secondo alcuni ricercatori della Boston University School of Medicine e del Boston Medical Center, la carenza di vitamina D non soltanto aumenterebbe il rischio di infezioni, ma anche quello di dover ricorrere a un parto cesareo.
Rischio che, secondo lo studio, pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, risulta quadruplicato nelle gestanti che presentano carenza di vitamina D. Secondi gli esperti, potrebbe essere coinvolto l’aumento della pressione arteriosa, oppure la riduzione generale della forza muscolare che accompagnano la carenza di vitamina D.
... e di problemi ai nascituri
La scoperta è di un’équipe giapponese: la scarsa assunzione di vitamina D in gravidanza può provocare lassità cranica nei neonati. Si tratta di un ammorbidimento delle ossa del cranio che, di solito, è considerata una condizione fisiologica che non necessita trattamenti.
Ma, se la carenza di vitamina D permane anche durante l’allattamento, questa condizione è destinata a protrarsi e a determinare complicazioni in età infantile, come riduzione della massa ossea, diabete di tipo 1 e indebolimento delle difese immunitarie.
E, infine, scongiurare il deficit di vitamina D durante la gravidanza fa bene anche alla salute dentale dei bimbi. A dimostrare per la prima volta a livello scientifico un collegamento tra l’assunzione di vitamina D in gravidanza e la salute dei denti del nascituro sono stati alcuni ricercatori canadesi dell’Università di Manitoba.
È bene tenere presente che durante la gravidanza e l’allattamento l’organismo richiede un maggiore apporto di calcio, il cui assorbimento è favorito dalla vitamina D.
Compensare eventuali carenze con opportune integrazioni, non soltanto permette alle ossa del bambino – e come si è visto anche ai denti – di svilupparsi al meglio, ma consente di provvedere all’aumentato fabbisogno materno in questa delicata fase, salvaguardandone lo stato di salute.
Serviranno ulteriori studi
L’esigenza di ulteriori studi che indaghino la necessità di una supplementazione di vitamina D in tutte le donne in gravidanza è stata ribadita anche da una recente revisione sistematica condotta dalla Cochrane Collaboration, l’ente internazionale no-profit e indipendente, importante punto di riferimento per il mondo scientifico, il cui scopo è quello di raccogliere, valutare criticamente e diffondere le informazioni relative all’efficacia e alla sicurezza degli interventi sanitari.
Tale revisione da un lato conferma che gli studi forniscono prove di benefici derivanti dall’integrazione vitaminica, soprattutto nel ridurre il rischio di basso peso alla nascita, parto pretermine e preeclampsia (chiamata anche gestosi), una patologia della gravidanza caratterizzata da aumento della pressione sanguigna e gonfiori diffusi, che può compromettere il naturale proseguimento della gestazione.
D’altro canto, però, la revisione evidenzia anche come l’eventuale supplementazione di vitamina D combinata con il calcio aumenti il rischio di nascita pretermine. Inoltre, dati sugli effetti avversi dell’integrazione sarebbero mancanti in tutti gli studi, per cui sono richieste ulteriori prove rigorose.
Anche per questo, al momento non ci sono raccomandazioni ufficiali che indichino la necessità di ricorrere di routine all’integrazione di vitamina D durante la gestazione. L’unica vitamina per la quale ciò accade è l’acido folico (o vitamina B9), di cui da tempo in medicina si raccomanda l’assunzione a partire da un mese prima del concepimento e durante la gravidanza in virtù dei benefici documentati che comporta. L’acido folico è stato infatti riconosciuto come essenziale nella prevenzione di alcune malformazioni congenite, particolarmente di quelle a carico del tubo neurale, come la spina bifida.
Vitamina D in gravidanza: quanta ne serve
La dose raccomandata di vitamina D in gravidanza e allattamento è di 600 UI al giorno (pari a 15 μg al giorno).
L’Agenzia Italiana del Farmaco fa sapere che in una donna sana con una corretta e variata dieta alimentare non è indicato effettuare una specifica supplementazione di vitamina D durante i nove mesi.
Il ricorso agli integratori è consigliato solo nelle donne che appartengono a categorie a rischio di carenza, cioè donne del Sud-est asiatico, africane, caraibiche e di origini medio orientali, donne che si espongono raramente al sole oppure donne che seguono un’alimentazione povera di vitamina D.
La carenza di vitamina D va comunque prima documentata attraverso un esame del sangue (si ricerca la quantità di 25 idrossivitamina D, anche indicata come 25(OH)D). Se il dosaggio del nutriente ne conferma i deficit, spetta al medico prescrivere i prodotti più adatti per la cura della carenza.
Fonte https://www.saperesalute.it/vitamina-d-in-gravidanza
In questa fase, in particolare, aumenta il fabbisogno di energia, macronutrienti e micronutrienti; diventa quindi importante, per esempio, garantire il giusto apporto di vitamine (come i folati) e di sali minerali (per esempio calcio, fosforo, ferro).
Tra i micronutrienti che negli ultimi anni sono diventati oggetto di maggiore attenzione durante la gestazione, c’è indubbiamente la vitamina D. Il ruolo della vitamina D nel campo della riproduzione umana è riconosciuto da oltre vent’anni, sebbene non sia stato ancora del tutto approfondito. Ma alcuni studi hanno messo in luce le possibili conseguenze di un deficit di tale nutriente.
Una vitamina liposolubile
La vitamina D, chiamata anche calciferolo, appartiene al gruppo delle vitamine liposolubili, cioè quelle che sono assorbite assieme ai grassi alimentari e accumulate nel fegato. Viene prodotta dall’organismo a partire da derivati del colesterolo presenti nella pelle grazie all’azione dei raggi del sole (ma si trova anche in alcuni alimenti di origine animale).
Questa vitamina regola in particolare il metabolismo del calcio (ne favorisce l’assorbimento a livello dell’intestino e il riassorbimento a livello renale), favorisce l’assorbimento intestinale anche del fosforo e stimola i processi di corretta mineralizzazione dello scheletro.
Una carenza di vitamina D può essere causa di rachitismo nei bambini (malattia dello scheletro che comporta fragilità ossea e può portare a fratture e deformazioni), con conseguente arresto della crescita, e di osteomalacia (una forte forma di decalcificazione ossea) negli adulti.
La normale esposizione solare è generalmente sufficiente a coprire il fabbisogno di questa vitamina negli adulti: in genere basta esporre almeno le braccia per 10-40 minuti al giorno, in relazione anche alla stagione e alla colorazione della pelle, evitando, d’estate, le ore centrali in cui il picco di raggi ultravioletti aumenta il rischio di cancro della pelle.
Con l’alimentazione, invece, si introducono generalmente bassi livelli di vitamina D, anche perché le fonti alimentari sono relativamente poche come l’olio di fegato di merluzzo (che è l’alimento più ricco), i pesci grassi (come salmone o sgombro), il tuorlo d’uovo, alcuni formaggi (che però ne contengono livelli non elevati).
Alla larga dalle infezioni
Carenze di vitamina D espongono al rischio di vaginosi batterica che, se contratta in gravidanza, può aumentare la possibilità di complicanze e di parti prematuri. A sostenerlo è uno studio dell’Università di Pittsburgh pubblicato sul Journal of Nutrition, che ha evidenziato come il 41% delle partecipanti aveva una vaginosi batterica e, di queste, il 93% presentava insufficienti livelli di vitamina D.
L’azione protettiva della vitamina D nei confronti dell’infezione vaginale, spiegano i ricercatori, potrebbe far capo alla attività di supporto del sistema immunitario svolta da tale sostanza.
Si tratta di uno studio preliminare, per cui non è giustificabile raccomandare alle donne in gravidanza di assumere dosi elevate di vitamina D, ma è giusto consigliare loro di parlare con il proprio medico per verificare i livelli plasmatici di questa vitamina.
In difesa della placenta
Ma le infezioni in gravidanza possono coinvolgere anche la placenta. Per questo, integrare la dieta in gravidanza con supplementi di vitamina D può proteggere la placenta, rafforzandone le difese immunitarie naturali.
Lo conferma su Biology of Reproduction uno studio dell’University of California di Los Angeles (UCLA) che ha evidenziato come la presenza di vitamina D stimoli la produzione di catelicidina a livello delle cellule destinate a dare origine alla placenta. La catelicidina, proteina dalle proprietà antimicrobiche, è in grado di contrastare lo sviluppo di un’ampia serie di patogeni, come stafilococchi, streptococchi, Escherichia coli.
Carenze di vitamina D associate al rischio di parto cesareo...
D’altra parte, secondo alcuni ricercatori della Boston University School of Medicine e del Boston Medical Center, la carenza di vitamina D non soltanto aumenterebbe il rischio di infezioni, ma anche quello di dover ricorrere a un parto cesareo.
Rischio che, secondo lo studio, pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, risulta quadruplicato nelle gestanti che presentano carenza di vitamina D. Secondi gli esperti, potrebbe essere coinvolto l’aumento della pressione arteriosa, oppure la riduzione generale della forza muscolare che accompagnano la carenza di vitamina D.
... e di problemi ai nascituri
La scoperta è di un’équipe giapponese: la scarsa assunzione di vitamina D in gravidanza può provocare lassità cranica nei neonati. Si tratta di un ammorbidimento delle ossa del cranio che, di solito, è considerata una condizione fisiologica che non necessita trattamenti.
Ma, se la carenza di vitamina D permane anche durante l’allattamento, questa condizione è destinata a protrarsi e a determinare complicazioni in età infantile, come riduzione della massa ossea, diabete di tipo 1 e indebolimento delle difese immunitarie.
E, infine, scongiurare il deficit di vitamina D durante la gravidanza fa bene anche alla salute dentale dei bimbi. A dimostrare per la prima volta a livello scientifico un collegamento tra l’assunzione di vitamina D in gravidanza e la salute dei denti del nascituro sono stati alcuni ricercatori canadesi dell’Università di Manitoba.
È bene tenere presente che durante la gravidanza e l’allattamento l’organismo richiede un maggiore apporto di calcio, il cui assorbimento è favorito dalla vitamina D.
Compensare eventuali carenze con opportune integrazioni, non soltanto permette alle ossa del bambino – e come si è visto anche ai denti – di svilupparsi al meglio, ma consente di provvedere all’aumentato fabbisogno materno in questa delicata fase, salvaguardandone lo stato di salute.
Serviranno ulteriori studi
L’esigenza di ulteriori studi che indaghino la necessità di una supplementazione di vitamina D in tutte le donne in gravidanza è stata ribadita anche da una recente revisione sistematica condotta dalla Cochrane Collaboration, l’ente internazionale no-profit e indipendente, importante punto di riferimento per il mondo scientifico, il cui scopo è quello di raccogliere, valutare criticamente e diffondere le informazioni relative all’efficacia e alla sicurezza degli interventi sanitari.
Tale revisione da un lato conferma che gli studi forniscono prove di benefici derivanti dall’integrazione vitaminica, soprattutto nel ridurre il rischio di basso peso alla nascita, parto pretermine e preeclampsia (chiamata anche gestosi), una patologia della gravidanza caratterizzata da aumento della pressione sanguigna e gonfiori diffusi, che può compromettere il naturale proseguimento della gestazione.
D’altro canto, però, la revisione evidenzia anche come l’eventuale supplementazione di vitamina D combinata con il calcio aumenti il rischio di nascita pretermine. Inoltre, dati sugli effetti avversi dell’integrazione sarebbero mancanti in tutti gli studi, per cui sono richieste ulteriori prove rigorose.
Anche per questo, al momento non ci sono raccomandazioni ufficiali che indichino la necessità di ricorrere di routine all’integrazione di vitamina D durante la gestazione. L’unica vitamina per la quale ciò accade è l’acido folico (o vitamina B9), di cui da tempo in medicina si raccomanda l’assunzione a partire da un mese prima del concepimento e durante la gravidanza in virtù dei benefici documentati che comporta. L’acido folico è stato infatti riconosciuto come essenziale nella prevenzione di alcune malformazioni congenite, particolarmente di quelle a carico del tubo neurale, come la spina bifida.
Vitamina D in gravidanza: quanta ne serve
La dose raccomandata di vitamina D in gravidanza e allattamento è di 600 UI al giorno (pari a 15 μg al giorno).
L’Agenzia Italiana del Farmaco fa sapere che in una donna sana con una corretta e variata dieta alimentare non è indicato effettuare una specifica supplementazione di vitamina D durante i nove mesi.
Il ricorso agli integratori è consigliato solo nelle donne che appartengono a categorie a rischio di carenza, cioè donne del Sud-est asiatico, africane, caraibiche e di origini medio orientali, donne che si espongono raramente al sole oppure donne che seguono un’alimentazione povera di vitamina D.
La carenza di vitamina D va comunque prima documentata attraverso un esame del sangue (si ricerca la quantità di 25 idrossivitamina D, anche indicata come 25(OH)D). Se il dosaggio del nutriente ne conferma i deficit, spetta al medico prescrivere i prodotti più adatti per la cura della carenza.
Fonte https://www.saperesalute.it/vitamina-d-in-gravidanza
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