«L'ipertensione cronica è sempre più diffusa in gravidanza, probabilmente a causa della maggiore prevalenza dell'obesità nelle donne in età riproduttiva e all'aumentare dell'età materna al momento della gravidanza. Pertanto, l'esposizione ai farmaci antipertensivi è diventata comune all'inizio della gravidanza» premettono gli autori, guidati da Brian T. Bateman, del Brigham and Women's Hospital e Harvard Medical School di Boston.
«I beta-bloccanti sono una delle classi di farmaci antipertensivi più frequentemente utilizzate in gravidanza» aggiungono, osservando che fino all'1% delle gravidanze negli Stati Uniti, per esempio, coinvolge l'esposizione del primo trimestre ai farmaci. Che ci sia un legame tra l'uso di un beta-bloccante e le successive malformazioni congenite è «controverso» sostengono Bateman e colleghi.
Modelli animali hanno suggerito che i farmaci possono danneggiare lo sviluppo fetale e una recente meta-analisi d studi su «donne incinte non ha riscontrato un aumento del rischio di malformazioni congenite in generale ma ha segnalato un aumento significativo dei rischi per difetti cardiaci, labio- o palatoschisi e difetti del tubo neurale» scrivono i ricercatori.
Questi nuovi dati però appaiono molto rassicuranti, evidenziando come i clinici possono prescrivere in tranquillità i beta-bloccanti alle donne in gravidanza, non essendoci un reale aumento di rischi di malformazioni per il bambino.
Analizzati i registri di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti
Per il loro studio, Bateman e colleghi hanno analizzato i dati dei registri di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti, esaminando le donne con ipertensione che sono state esposte ai beta-bloccanti durante il primo trimestre e le cui gravidanze avevano portato alla nascita di un bambino nato vivo.
Nella coorte nordica, al 19,1% delle 3.577 donne incluse erano stati prescritti beta-bloccanti, mentre nella coorte statunitense lo stesso era accaduto all'11,2% delle 14.900 donne considerate. Le donne che hanno ricevuto beta-bloccanti tendevano a essere di età più avanzata, con maggiori probabilità di avere avuto in precedenza un parto e più inclini ad assumere farmaci per il diabete.
Dopo aggiustamento per una serie di possibili fattori confondenti, non è risultato un aumento significativo del rischio che i bambini sarebbero nati con malformazioni se la loro madre fosse stata trattata con beta-bloccanti.
In particolare, il rapporto di rischio aggiustato e il relativo intervallo di confidenza al 95% sono risultati pari a, rispettivamente, 1,07 (0,89-1,30) per qualsiasi malformazione maggiore, 1,12 (0,83-1,151) per qualsiasi malformazione cardiaca, 1,97 (0,74-5,25) per labio- o palatoschisi e 1,37 (0,58-3,25) per malformazioni del sistema nervoso centrale (SNC), con quest’ultimo dato riferito solo su dati USA.
Questi risultati escludono la possibilità di un grande aumento di difetti alla nascita associati all'uso di beta-bloccanti, concludono i ricercatori, aggiungendo che «i potenziali rischi per il feto devono essere bilanciati con i rischi per la madre associati all'ipertensione non trattata».
Priorità alla salute materna, da cui discende quella del feto
«Qualunque cosa possa confondere la relazione tra l'uso di un farmaco specifico in gravidanza e un esito perinatale negativo, la salute materna rimane la priorità di qualsiasi clinico o genitore. Inoltre, il benessere del feto dipende dal benessere materno e la malattia materna non trattata mette a repentaglio la salute di un feto e può abbreviare una gravidanza» scrivendo in un editoriale di commento Joel G. Ray, del St. Michael's Hospital dell’Università di Toronto (Canada), in sintonia con le conclusioni di Bateman e colleghi.
«Di conseguenza, i beta-bloccanti dovrebbero essere usati in gravidanza quando indicati per il trattamento di varie condizioni mediche materne e il labetalolo dovrebbe essere una scelta di prima linea di trattamento per l'ipertensione cronica».
L'apparente aumento del rischio tra le donne che assumono beta-bloccanti che è stato osservato in precedenza potrebbe essere dovuto a fattori confondenti, sottolinea Ray, in quanto l'ipertensione stessa potrebbe essere responsabile di difetti alla nascita.
I medici dovrebbero essere consapevoli di due cose quando tratta questa popolazione, afferma. In primo luogo, i beta-bloccanti aumentano il rischio di restrizione della crescita fetale intrauterina, quindi è necessario utilizzare l’ecografia per valutare lo sviluppo a partire dall'inizio del terzo trimestre.
Inoltre, le donne in gravidanza con ipertensione, diabete e obesità sono a maggior rischio di pre-eclampsia, quindi dovrebbero assumere da 81 a 162 mg di acido acetilsalicilico al giorno, aggiunge Ray.
Il punto di forza di questa analisi, è stato infine fatto notare, è la grande dimensione dei dati provenienti dai registri presi in considerazione, tale da rendere questo studio probabilmente uno dei migliori effettuati in questo settore.
Fonte https://www.pharmastar.it/news/cardio/ipertensione-in-gravidanza-nel-primo-trimestre-i-beta-bloccanti-non-aumentano-il-rischio-di-difetti-alla-nascita--27939
«I beta-bloccanti sono una delle classi di farmaci antipertensivi più frequentemente utilizzate in gravidanza» aggiungono, osservando che fino all'1% delle gravidanze negli Stati Uniti, per esempio, coinvolge l'esposizione del primo trimestre ai farmaci. Che ci sia un legame tra l'uso di un beta-bloccante e le successive malformazioni congenite è «controverso» sostengono Bateman e colleghi.
Modelli animali hanno suggerito che i farmaci possono danneggiare lo sviluppo fetale e una recente meta-analisi d studi su «donne incinte non ha riscontrato un aumento del rischio di malformazioni congenite in generale ma ha segnalato un aumento significativo dei rischi per difetti cardiaci, labio- o palatoschisi e difetti del tubo neurale» scrivono i ricercatori.
Questi nuovi dati però appaiono molto rassicuranti, evidenziando come i clinici possono prescrivere in tranquillità i beta-bloccanti alle donne in gravidanza, non essendoci un reale aumento di rischi di malformazioni per il bambino.
Analizzati i registri di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti
Per il loro studio, Bateman e colleghi hanno analizzato i dati dei registri di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti, esaminando le donne con ipertensione che sono state esposte ai beta-bloccanti durante il primo trimestre e le cui gravidanze avevano portato alla nascita di un bambino nato vivo.
Nella coorte nordica, al 19,1% delle 3.577 donne incluse erano stati prescritti beta-bloccanti, mentre nella coorte statunitense lo stesso era accaduto all'11,2% delle 14.900 donne considerate. Le donne che hanno ricevuto beta-bloccanti tendevano a essere di età più avanzata, con maggiori probabilità di avere avuto in precedenza un parto e più inclini ad assumere farmaci per il diabete.
Dopo aggiustamento per una serie di possibili fattori confondenti, non è risultato un aumento significativo del rischio che i bambini sarebbero nati con malformazioni se la loro madre fosse stata trattata con beta-bloccanti.
In particolare, il rapporto di rischio aggiustato e il relativo intervallo di confidenza al 95% sono risultati pari a, rispettivamente, 1,07 (0,89-1,30) per qualsiasi malformazione maggiore, 1,12 (0,83-1,151) per qualsiasi malformazione cardiaca, 1,97 (0,74-5,25) per labio- o palatoschisi e 1,37 (0,58-3,25) per malformazioni del sistema nervoso centrale (SNC), con quest’ultimo dato riferito solo su dati USA.
Questi risultati escludono la possibilità di un grande aumento di difetti alla nascita associati all'uso di beta-bloccanti, concludono i ricercatori, aggiungendo che «i potenziali rischi per il feto devono essere bilanciati con i rischi per la madre associati all'ipertensione non trattata».
Priorità alla salute materna, da cui discende quella del feto
«Qualunque cosa possa confondere la relazione tra l'uso di un farmaco specifico in gravidanza e un esito perinatale negativo, la salute materna rimane la priorità di qualsiasi clinico o genitore. Inoltre, il benessere del feto dipende dal benessere materno e la malattia materna non trattata mette a repentaglio la salute di un feto e può abbreviare una gravidanza» scrivendo in un editoriale di commento Joel G. Ray, del St. Michael's Hospital dell’Università di Toronto (Canada), in sintonia con le conclusioni di Bateman e colleghi.
«Di conseguenza, i beta-bloccanti dovrebbero essere usati in gravidanza quando indicati per il trattamento di varie condizioni mediche materne e il labetalolo dovrebbe essere una scelta di prima linea di trattamento per l'ipertensione cronica».
L'apparente aumento del rischio tra le donne che assumono beta-bloccanti che è stato osservato in precedenza potrebbe essere dovuto a fattori confondenti, sottolinea Ray, in quanto l'ipertensione stessa potrebbe essere responsabile di difetti alla nascita.
I medici dovrebbero essere consapevoli di due cose quando tratta questa popolazione, afferma. In primo luogo, i beta-bloccanti aumentano il rischio di restrizione della crescita fetale intrauterina, quindi è necessario utilizzare l’ecografia per valutare lo sviluppo a partire dall'inizio del terzo trimestre.
Inoltre, le donne in gravidanza con ipertensione, diabete e obesità sono a maggior rischio di pre-eclampsia, quindi dovrebbero assumere da 81 a 162 mg di acido acetilsalicilico al giorno, aggiunge Ray.
Il punto di forza di questa analisi, è stato infine fatto notare, è la grande dimensione dei dati provenienti dai registri presi in considerazione, tale da rendere questo studio probabilmente uno dei migliori effettuati in questo settore.
Fonte https://www.pharmastar.it/news/cardio/ipertensione-in-gravidanza-nel-primo-trimestre-i-beta-bloccanti-non-aumentano-il-rischio-di-difetti-alla-nascita--27939
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