La ricerca era inizialmente partita seguendo l’opinione dei neuroricercatori infantili, secondo la quale i neonati fino al nono mese d’età, sono in una fase della propria vita, in cui il cervello crea capacità e competenze in grado di influenzare la crescita neurologica del bambino, potenziando le sue competenze negli anni a seguire.
Parlare in un determinato modo ai bambini, svilupperebbe infatti la connessione tra quello che vedono e quello che sentono; gli effetti di tale procedura, si amplificano fino a 4 o 5 anni dopo.
Prima di tutto, una continua spiegazione degli oggetti che si mostrano al bambino, implementa la sua capacità a riconoscere volti e oggetti e in secondo luogo, aiuta il cervello a capire quanto deve essere dettagliata la memorizzazione dei dettagli visti e sentiti.
Secondo questo studio, inoltre, l’impegno dei genitori nel continuare a nominargli il nome degli oggetti, aiuterebbe il bambino a creare delle etichette, che serviranno successivamente anche per un miglioramento degli apprendimenti futuri.
Lo studio iniziale, fatto anni fa, pubblicato su riviste scientifiche, si basava sulla certezza che nonostante i neonati dai 6 ai 9 mesi fossero in grado perfettamente di riconoscere e distinguere le differenze tra un volto famigliare e uno non conosciuto, dal 9° mese in poi, queste capacità vengono meno.
Il motivo di tale passo indietro, risiede nel fatto che i bambini interagiscono più con un gruppo rispetto ad un altro e di conseguenza tendono ad individuare solo ciò che conoscono meglio, per ripetizione ed abitudine (perceptional narrowing).
Lo studio consisteva nel dividere in due gruppi diversi genitori con i propri figli e consegnare loro un libro illustrato con foto di scimmie e passeggini.
Un gruppo, adeguatamente istruito di ricercatori, doveva mostrare ai bambini le foto, indicandoli con nomi strettamente individuali e unici come Bob o Fiona. Mentre l’altro gruppo, doveva procedere indicando le figure con nomi generici, dicendo solo scimmie o passeggini.
Osservando i tempi di risposta fisica e neurologica e le tempistiche di osservazione dell’infante, si è dimostrato che i bambini appartenenti al gruppo dove erano state spiegate le foto in maniera specificatamente individuale, avrebbero sviluppato una capacità maggiore di distinzione degli oggetti visti in futuro (in questo caso, scimmie e passeggini).
La Dottoressa Scott, insieme a due dottorandi, Hillary Hadley e Charisse Pickron, ha voluto concludere il primo studio iniziale, verificando se, a distanza di 4 o 5 anni, si fossero presentati risultati sostanziali nella crescita neurologica dei bambini, confrontandoli ad oggi con ulteriori test.
Ha quindi preso nuovamente gli stessi bambini di anni prima, divisi come la scorsa volta e ha aggiunto un ulteriore confronto, reclutando anche bambini mai esaminati, perché voleva capire se le risposte date, fossero solo il frutto di una memoria selettiva pregressa e di una reazione ad uno stimolo già visto o dimostrasse lo sviluppo di una capacità più evoluta.
Il risultato dell’intero studio, pubblicato anche sulla rivista specializzata “Developmental Science”, ha dimostrato che i bambini precedentemente sottoposti alla visione di foto, con indicazioni individuali e specifiche, incrementano vantaggi e comportamenti neurologici per il riconoscimento di volti ed oggetti.
I bambini del primo gruppo, infatti, hanno sviluppato negli anni, rispetto a tutti gli altri esaminati, una velocità maggiore nell’associazione di volti e parole quasi paragonabili a quella che si riscontra negli adulti.
I genitori vanno quindi, spronati ad incentivare e stimolare i figli al riconoscimento degli oggetti e dei volti, perché è proprio nella fase entro il primo anno di vita, che il cervello getta le basi per gli apprendimenti e le capacità future del bambino.
Fonti :
– The lasting effects of process-specific versus stimulus-specific learning during infancy
Authors Hillary Hadley, Charisse B. Pickron, Lisa S. Scott
– Naming People and Objects in Baby’s First Year May Offer Learning Benefits Years Later
UMass Amherst study suggests naming between 6 and 9 months lays “learning foundation”
Parlare in un determinato modo ai bambini, svilupperebbe infatti la connessione tra quello che vedono e quello che sentono; gli effetti di tale procedura, si amplificano fino a 4 o 5 anni dopo.
Prima di tutto, una continua spiegazione degli oggetti che si mostrano al bambino, implementa la sua capacità a riconoscere volti e oggetti e in secondo luogo, aiuta il cervello a capire quanto deve essere dettagliata la memorizzazione dei dettagli visti e sentiti.
Secondo questo studio, inoltre, l’impegno dei genitori nel continuare a nominargli il nome degli oggetti, aiuterebbe il bambino a creare delle etichette, che serviranno successivamente anche per un miglioramento degli apprendimenti futuri.
Lo studio iniziale, fatto anni fa, pubblicato su riviste scientifiche, si basava sulla certezza che nonostante i neonati dai 6 ai 9 mesi fossero in grado perfettamente di riconoscere e distinguere le differenze tra un volto famigliare e uno non conosciuto, dal 9° mese in poi, queste capacità vengono meno.
Il motivo di tale passo indietro, risiede nel fatto che i bambini interagiscono più con un gruppo rispetto ad un altro e di conseguenza tendono ad individuare solo ciò che conoscono meglio, per ripetizione ed abitudine (perceptional narrowing).
Lo studio consisteva nel dividere in due gruppi diversi genitori con i propri figli e consegnare loro un libro illustrato con foto di scimmie e passeggini.
Un gruppo, adeguatamente istruito di ricercatori, doveva mostrare ai bambini le foto, indicandoli con nomi strettamente individuali e unici come Bob o Fiona. Mentre l’altro gruppo, doveva procedere indicando le figure con nomi generici, dicendo solo scimmie o passeggini.
Osservando i tempi di risposta fisica e neurologica e le tempistiche di osservazione dell’infante, si è dimostrato che i bambini appartenenti al gruppo dove erano state spiegate le foto in maniera specificatamente individuale, avrebbero sviluppato una capacità maggiore di distinzione degli oggetti visti in futuro (in questo caso, scimmie e passeggini).
La Dottoressa Scott, insieme a due dottorandi, Hillary Hadley e Charisse Pickron, ha voluto concludere il primo studio iniziale, verificando se, a distanza di 4 o 5 anni, si fossero presentati risultati sostanziali nella crescita neurologica dei bambini, confrontandoli ad oggi con ulteriori test.
Ha quindi preso nuovamente gli stessi bambini di anni prima, divisi come la scorsa volta e ha aggiunto un ulteriore confronto, reclutando anche bambini mai esaminati, perché voleva capire se le risposte date, fossero solo il frutto di una memoria selettiva pregressa e di una reazione ad uno stimolo già visto o dimostrasse lo sviluppo di una capacità più evoluta.
Il risultato dell’intero studio, pubblicato anche sulla rivista specializzata “Developmental Science”, ha dimostrato che i bambini precedentemente sottoposti alla visione di foto, con indicazioni individuali e specifiche, incrementano vantaggi e comportamenti neurologici per il riconoscimento di volti ed oggetti.
I bambini del primo gruppo, infatti, hanno sviluppato negli anni, rispetto a tutti gli altri esaminati, una velocità maggiore nell’associazione di volti e parole quasi paragonabili a quella che si riscontra negli adulti.
I genitori vanno quindi, spronati ad incentivare e stimolare i figli al riconoscimento degli oggetti e dei volti, perché è proprio nella fase entro il primo anno di vita, che il cervello getta le basi per gli apprendimenti e le capacità future del bambino.
Fonti :
– The lasting effects of process-specific versus stimulus-specific learning during infancy
Authors Hillary Hadley, Charisse B. Pickron, Lisa S. Scott
– Naming People and Objects in Baby’s First Year May Offer Learning Benefits Years Later
UMass Amherst study suggests naming between 6 and 9 months lays “learning foundation”
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