Mentre si discute del calo delle nascite in Italia (12mila in meno nel 2016 rispetto al 2015 e quasi 100mila in meno negli ultimi otto anni secondo l’Istat) e delle possibili cause, esiste una realtà altrettanto importante, costituita da coloro che ricorrono ai trattamenti di Pma (Procreazione medicalmente assistita) per potere avere un figlio. Se da un lato circa l’1,8% delle donne italiane senza figli dichiara di non volerne avere, dall’altro migliaia di coppie ritengono solo più opportuno posticipare una gravidanza per attendere la stabilità familiare, economica e professionale. Un dato che si scontra, però, con il fattore biologico: il tasso di fertilità mensile nelle donne di 30 anni con rapporti regolari è del 20% per ciclo, mentre nelle donne oltre i 40 anni è del 5% per ciclo.
A questo si aggiungono le lungaggini che entrano in gioco nel momento in cui si decide di affidarsi ad un aiuto medico: le coppie che cercano una gravidanza in Italia intraprendono un autentico percorso a ostacoli. L’attesa arriva fino a otto anni, soprattutto per l’eterologa. Spesso la causa è da imputare a meccanismi normativi e burocratici polverosi, altre volte alla scarsa disponibilità di strutture, ma in molti altri casi è soprattutto la mancanza di informazione a vanificare i tentativi di genitorialità.
“Le difficoltà che le coppie incontrano non dipendono sempre o solo dall’età in cui iniziano a desiderare un bambino- spiega Federica Moffa, specialista in Riproduzione Assistita . Nel moderno contesto socioculturale, soprattutto nel nostro Paese, non deve stupire che una donna inizi a cercare un figlio a 34 anni. Altro discorso è se, tra dubbi e confusioni, pellegrinaggi tra diversi specialisti e liste d’attesa infinite, si finisce con l’arrivare al trattamento alla soglia dei 40“. Il ‘tempo per un figlio’ stimato dal Censis nell’indagine sulla fertilità/infertilità in Italia, restituisce uno spaccato gravoso ma parziale: 3,9 sono solo gli anni che intercorrono tra i primi dubbi sulla difficoltà di ottenere una gravidanza e l’arrivo in un centro di Procreazione Assistita. Ma il percorso non termina qui. La media degli italiani matura una sterilità di lunga evoluzione passando dai 4 agli 8 anni per cercare una gravidanza dentro e fuori dal loro Paese, arrivando a realizzare fino a 6 cicli previ.
Nei casi più critici, l’attesa va dagli 8 ai 16 anni con 15 trattamenti previ. Un fenomeno che si traduce nei numeri che il ministero della Salute ha diffuso nella Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 40/2004: le coppie italiane che si sono affidate alla Pma nel 2015 erano 74.292, per un totale di 95.110 cicli avviati ma solo 12.836 portati con successo fino alla nascita, il 2,6% delle nascite totali del 2015. Si stima che solo la metà delle donne che non raggiungono una gravidanza naturalmente chieda aiuto e solo il 22% riceva cure mediche. Le ragioni principali di questa situazione sono economiche, morali e religiose. Per questi motivi, spesso, la tendenza generale è accettare la situazione e rifiutare i trattamenti medici.
Tra i fattori che influiscono su questa scelta c’è anche la mancanza dell’appoggio familiare o, più semplicemente, il desiderio di nascondere il problema. Uno studio dimostra infatti che più del 70% delle italiane considera che la sterilità nel Belpaese sia un tabù e la vive in un contesto avverso. Il 2018 sarà il 40esimo anniversario dalla nascita di Louise Brown, la prima bambina nata grazie alla Pma. Oggi le conoscenze mediche e l’expertise dei centri hanno raggiunto un livello che solo pochi anni fa sarebbe sembrato fantascienza ma, paradossalmente, ciò che fatica a crescere è il grado di conoscenza e di consapevolezza su questi trattamenti: il percorso verso la Pma risulta meno impervio rispetto al passato, ma persiste una resistenza frutto di scarsa informazione e molti luoghi comuni sulla questione.
Fonte http://www.dire.it/15-12-2017/160495-fecondazione-assistita-ci-si-arriva-tardi-donna-2-rinuncia-perche-la-considera-un-tabu/
A questo si aggiungono le lungaggini che entrano in gioco nel momento in cui si decide di affidarsi ad un aiuto medico: le coppie che cercano una gravidanza in Italia intraprendono un autentico percorso a ostacoli. L’attesa arriva fino a otto anni, soprattutto per l’eterologa. Spesso la causa è da imputare a meccanismi normativi e burocratici polverosi, altre volte alla scarsa disponibilità di strutture, ma in molti altri casi è soprattutto la mancanza di informazione a vanificare i tentativi di genitorialità.
“Le difficoltà che le coppie incontrano non dipendono sempre o solo dall’età in cui iniziano a desiderare un bambino- spiega Federica Moffa, specialista in Riproduzione Assistita . Nel moderno contesto socioculturale, soprattutto nel nostro Paese, non deve stupire che una donna inizi a cercare un figlio a 34 anni. Altro discorso è se, tra dubbi e confusioni, pellegrinaggi tra diversi specialisti e liste d’attesa infinite, si finisce con l’arrivare al trattamento alla soglia dei 40“. Il ‘tempo per un figlio’ stimato dal Censis nell’indagine sulla fertilità/infertilità in Italia, restituisce uno spaccato gravoso ma parziale: 3,9 sono solo gli anni che intercorrono tra i primi dubbi sulla difficoltà di ottenere una gravidanza e l’arrivo in un centro di Procreazione Assistita. Ma il percorso non termina qui. La media degli italiani matura una sterilità di lunga evoluzione passando dai 4 agli 8 anni per cercare una gravidanza dentro e fuori dal loro Paese, arrivando a realizzare fino a 6 cicli previ.
Nei casi più critici, l’attesa va dagli 8 ai 16 anni con 15 trattamenti previ. Un fenomeno che si traduce nei numeri che il ministero della Salute ha diffuso nella Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 40/2004: le coppie italiane che si sono affidate alla Pma nel 2015 erano 74.292, per un totale di 95.110 cicli avviati ma solo 12.836 portati con successo fino alla nascita, il 2,6% delle nascite totali del 2015. Si stima che solo la metà delle donne che non raggiungono una gravidanza naturalmente chieda aiuto e solo il 22% riceva cure mediche. Le ragioni principali di questa situazione sono economiche, morali e religiose. Per questi motivi, spesso, la tendenza generale è accettare la situazione e rifiutare i trattamenti medici.
Tra i fattori che influiscono su questa scelta c’è anche la mancanza dell’appoggio familiare o, più semplicemente, il desiderio di nascondere il problema. Uno studio dimostra infatti che più del 70% delle italiane considera che la sterilità nel Belpaese sia un tabù e la vive in un contesto avverso. Il 2018 sarà il 40esimo anniversario dalla nascita di Louise Brown, la prima bambina nata grazie alla Pma. Oggi le conoscenze mediche e l’expertise dei centri hanno raggiunto un livello che solo pochi anni fa sarebbe sembrato fantascienza ma, paradossalmente, ciò che fatica a crescere è il grado di conoscenza e di consapevolezza su questi trattamenti: il percorso verso la Pma risulta meno impervio rispetto al passato, ma persiste una resistenza frutto di scarsa informazione e molti luoghi comuni sulla questione.
Fonte http://www.dire.it/15-12-2017/160495-fecondazione-assistita-ci-si-arriva-tardi-donna-2-rinuncia-perche-la-considera-un-tabu/
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