sabato 14 novembre 2020

Emma Roberts, la gravidanza difficile e i problemi di fertilità

 L'attrice americana in attesa del primo figlio: «Mi sentivo come se avessi fatto qualcosa di sbagliato, il confronto con altre donne è stato fondamentale. Poi sono rimasta incinta quando ho smesso di pensarci»

Dall’endometriosi mai diagnosticata al congelamento degli ovociti. Emma Roberts, prima donna incinta sulla copertina di Cosmopolitan US, sorride e abbraccia il suo pancione, consapevole di quanto sia stato faticoso il viaggio per arrivare fino lì. L’attrice americana, nipote della più celebre Julia, quando ha deciso di diventare madre è stata infatti costretta ad interfacciarsi con una malattia ginecologica che conosceva poco.

«Sono entrata in un nuovo mondo fatto di conversazioni sull’endometriosi, sull’infertilità, sugli aborti spontanei e sulla paura di avere figli», racconta Emma, 29 anni, che è stata aiutata proprio dal confronto con le altre donne. «In un primo momento mi sentivo come se avessi fatto qualcosa di “sbagliato”, ma poi è passato quando ho scoperto di non essere da sola. Alcune donne con l’endometriosi possono non avere alcun sintomo».

Inoltre, quando le hanno diagnosticato la patologia, ha seguito il consiglio del suo medico e ha congelato gli ovociti, nel caso – appunto – di voler pianificare una gravidanza: «Da ragazzina ero convinta che a 24 anni avrei avuto un marito e dei figli e sarebbe stato super. Poi sono arrivata a 24 anni e ho ripensato a quando credevo che quest’ora sarei stata una mamma sposata», scherza Emma. Che a breve finalmente avrà un figlio.

Nonostante, appunto, i problemi di fertilità: «Sembra banale, ma sono rimasta incinta quando ho smesso di pensarci», annuncia la star di Hollywood, che è in attesa di un maschietto insieme al collega Garrett Hedlund, suo compagno dal 2019 e sette anni più grande. «Per i primi mesi abbiamo voluto tenere la notizia per noi», conclude, «dicendolo solo alle nostre famiglie e senza fare grandi progetti nel caso non avesse funzionato».

Fonte https://www.vanityfair.it/people/mondo/2020/11/14/emma-roberts-gravidanza-difficile-problemi-di-fertilita-foto

Gravidanza e Coronavirus: la dottoressa Siviero spiega come la Santa Famiglia protegge le mamme

 In questo momento complesso, la gravidanza, e in particolare il parto, rappresentano un fonte di ansia e preoccupazione per le future mamme. La dottoressa Maria Cristina Siviero, neonatologa e infettivologa della Casa di Cura Santa Famiglia, ci ha spiegato tutti i protocolli di sicurezza messi in atto all’interno della clinica per tutelare in ogni aspetto la salute delle mamme e dei bambini.

La Casa di Cura Santa Famiglia accompagna la donna durante tutto il percorso della gravidanza

La clinica Santa Famiglia offre assistenza e supporto completo alle future mamme: “Accompagniamo le donne con dei corsi di preparazione al parto, di allattamento e di svezzamento – racconta la dottoressa Siviero –  In questo momento storico in cui non è possibile fare gli incontri di persona, abbiamo creato dei video-corsi in streaming tenuti dagli stessi operatori che li tenevano in presenza, per mantenere quel rapporto fiduciario che da sempre coltiviamo con le coppie”.

L’obiettivo primario della Casa di Cura Santa Famiglia è quello di essere di conforto alle donne nel momento delicato del parto: “Anche ai tempi della pandemia, svolgendo tutte le analisi necessarie, diamo la possibilità ai papà di entrare in sala parto – dice la dottoressa – Sappiamo quanto è importante per una donna che sta partorendo avere vicino una persona cara”.

Il parto è un momento unico e il rapporto che si instaura tra madre e figlio appartiene solo a loro. Come racconta la dottoressa Siviero: “Nella clinica viene promosso lo skin to skin in sala parto: incoraggiamo la mamma a tenere il proprio bambino appena nato sulla pancia, a contatto con la pelle, e suggeriamo l’allattamento al seno molto precoce, a due ore dal parto, anche in caso di cesareo”.

Le misure di sicurezza della clinica Santa Famiglia per la tutela delle mamme e dei neonati

La Casa di Cura Santa Famiglia è una struttura protetta: gli operatori sono regolarmente controllati e l’ingresso nella clinica è permesso solo alle donne e a un accompagnatore. “Ogni donna prima di essere ricoverata viene sottoposta a test sierologico e/o tampone rapido – spiega la dottoressa Siviero – All’interno della struttura sono stati creati dei percorsi interamente dedicati alle mamme e nessun estraneo può salire nei reparti di degenza”.

Per tutelare al meglio la salute delle donne e dei neonati, i parenti non possono accedere alla clinica. Questa misura poco piacevole ma necessaria ha dato luogo ad episodi che strappano un tenero sorriso, come racconta la dottoressa: “Quando capita un parto al primo o al secondo piano, se ci affacciamo alla finestra, possiamo vedere i familiari in strada che festeggiano, applaudono e fanno sentire la loro vicinanza anche da lontano”.

I test vengono fatti a tutte le donne che entrano nella struttura, alle future mamme e alle pazienti ginecologiche che devono sottoporsi ad un intervento, entro 58 ore dal ricovero. La clinica ha un protocollo chiaro e definito anche nel caso in cui una donna entri in travaglio prima di aver eseguito il test. Come spiega la Dott.ssa Siviero: “Se una donna entra in travaglio senza aver eseguito il test sierologico, lo facciamo noi prima del ricovero. In caso di positività attiviamo due diversi protocolli sulla base dello stato del travaglio – continua – Se la donna è nella fase iniziale e risulta positiva, viene trasferita in una struttura covid protetta. Se invece il travaglio è troppo avanzato e non è possibile spostare la futura mamma, abbiamo previsto un percorso dedicato in sala parto e d’isolamento in stanza”.

Anche in questo caso è possibile tenere il proprio bambino in stanza, a distanza di sicurezza e, come spiega la dottoressa: “Consigliamo sempre l’allattamento al seno, basta tenere presente alcuni semplici accorgimenti, come l’utilizzo della mascherina e il lavarsi le mani prima di prendere in braccio il bambino”. Diversi studi hanno evidenziato che le particelle di virus presenti nel latte materno sono pressoché nulle e non c‘è quindi alcun rischio per il bambino.

Fonte https://romah24.com/flaminio-parioli/news/gravidanza-e-coronavirus-la-dottoressa-siviero-spiega-come-la-santa-famiglia-protegge-le-mamme-2/

I super food della gravidanza

 Il consiglio per le donne in gravidanza è sempre quello di avere un'alimentazione corretta e completa con il giusto apporto di vitamine, minerali, proteine, carboidrati e grassi essenziali. Sapendo che il ferro e l'acido folico, insieme alle fibre, sono elementi indispensabili per il corretto sviluppo del feto, può essere comodo ricordare gli alimenti che contengono il maggior quantitativo di nutrienti utili, i cosiddetti super food per la gravidanza. Prima di tutto ci sono i fichi, ricchi di calcio, ma anche di fosforo, magnesio e potassio, indispensabili per la formazione di ossa e denti del piccolo. 

L'erba cipollina è ricca di acido folico, ferro, vitamine
Ce B6 e fibre, ed i porri contengono calcio utile a contrastare insonnia, mal di schiena ed irritabilità, disturbi tipici della gravidanza. I carciofi contengono acido folico e fibre, i fagioli borlotti sono ricchi di rame, ferro e fosforo importanti per garantire la formazione delle cellule del sangue, ed il basilico ricco di vitamine e sali minerali. Semi di zucca e di girasole contengono, rispettivamente, potassio, zinco e magnesio utili per l'impiego dei grassi nell'organismo, ed omega 3 e 6, e vitamine K e D necessarie per lo sviluppo del bambino.

Fonte https://www.tio.ch/rubriche/ti-mamme/1473522/gravidanza-food-sviluppo-utili-vitamine

Covid-19, le risposte della pediatra su gravidanza, parto e allattamento

 In tempo di Covid-19 la sicurezza in fatto di gravidanza, parto e salute del neonato non è mai abbastanza. Ecco perché avere delle risposte chiare e precise risulta essenziale per il benessere del bambino e la serenità della mamma.

Poche e semplici domande a cui daremo risposta
per tranquillizzare i futuri genitori e i loro pargoli. In un periodo storico difficile come quello che stiamo vivendo, una donna in stato interessante come deve comportarsi per la propria salvaguardia e quella del suo bambino? Come avviene il parto in queste circostanze?  E dopo il parto, quando si rientra a casa per la prima volta con il neonato, quali sono le misure precauzionali da adottare?

Le domande sono molte specie se in famiglia si hanno dei casi di infezione da Coronavirus, oppure se è la mamma stessa a risultare positiva al Covid-19. Fare chiarezza su come proteggere il bimbo in questo periodo è un tema molto richiesto ed è fondamentale per i genitori, sapere come agire per la sicurezza di una nuova vita.

Fonte https://www.gravidanzaonline.it/salute/covid-19-gravidanza-parto-allattamento.htm

venerdì 13 novembre 2020

L’importanza di una corretta idratazione durante la gravidanza

 La gravidanza è un momento speciale nella vita di ogni donna, fatto di attesa, gioia ma anche di cambiamento. Il corpo si adatta per permettere la crescita del bambino e questo processo necessita anche di un’adeguata idratazione. L'acqua è fondamentale per eliminare le tossine, aiutare la digestione e garantire il naturale assorbimento delle sostanze nutritive essenziali provenienti dalla nostra alimentazione. Durante la gravidanza queste funzioni acquistano ancora più importanza in quanto un corpo in continuo cambiamento e la crescita di un bambino necessitano di condizioni fisiche ottimali.

Idratazione e gravidanza

L'acqua è inoltre necessaria per produrre il fluido che circonda il bambino e per aiutare ad aumentare il volume del sangue. Il plasma, la fase liquida del sangue, rappresenta circa 3 litri negli adulti. In gravidanza il volume plasmatico aumenta fino al 40-50% al di sopra del valore pre-gravidanza. Questo aumento del volume sanguigno è necessario per la vascolarizzazione della placenta che consente lo scambio materno-fetale di sostanze nutritive e altri composti.

Quanta acqua bere in gravidanza?

“Le donne incinte hanno bisogno di una maggiore assunzione di liquidi a causa di cambiamenti fisiologici nella madre e per la crescita fetale” afferma la Dottoressa Elisabetta Bernardi, Biologa specialista in Scienza dell’Alimentazione e membro dell’Osservatorio Sanpellegrino. “Secondo la SINU – la Società Italiana Nutrizione Umana – l’assunzione adeguata di acqua (ml/die) in gravidanza è di 2350 ml/die circa 10 bicchieri al giorno.

Durante l’allattamento, l’assunzione giornaliera dovrebbe aumentare fino a tredici bicchieri al giorno. Inoltre, se si soffre di nausea mattutina, si perdono dei liquidi extra, quindi è importante cercare di bere un po' di più per rimediare anche a questo inconveniente.” Conclude la Dottoressa Bernardi.

L’idratazione prima del parto

Un recente studio ha analizzato l’impatto di una corretta idratazione sull’ultima fase della gravidanza e il parto. Differenze significative nei livelli di idratazione erano correlate alla differenza di peso e lunghezza del nascituro. Nel gruppo con i livelli più bassi di idratazione erano inferiori al gruppo correttamente idratato rispettivamente di 596,1 g e 1,8 cm.

Una corretta assunzione di acqua aiuta quindi a mantenere efficienti tutti i sistemi fisiologici dell’organismo. Idratandosi correttamente si alleggeriscono le funzioni renali ed è possibile ridurre eventuali infezioni alle vie urinarie. Inoltre, bere molta acqua aiuta la donna a favorire la regolarità intestinale e a combattere la ritenzione idrica.


Fonte https://www.inabottle.it/it/benessere/importanza-corretta-idratazione-durante-gravidanza

Covid e gravidanza: più neonati morti e meno parti prematuri

 La «prima ondata» della pandemia ha causato un forte aumento, fino a tre volte, dei bambini nati morti, probabilmente a causa del fatto che le donne hanno saltato le visite durante la gravidanza, mentre sono calati i parti prematuri, forse per effetto del riposo forzato dovuto al lockdown. Lo afferma uno studio coordinato da Mario De Curtis dell'università Sapienza di Roma e pubblicato da Archives Disease in Childhood, condotto sui dati della della regione Lazio, dove vivono circa 5,8 milioni di persone e nascono circa il 10% di tutti i nati italiani.

L'indagine, ha preso in considerazione tutti i nati dei centri nascita del Lazio nei mesi di Marzo, Aprile e Maggio 2020, paragonando i dati agli stessi osservati nello stesso periodo del 2019. Sono state esaminate tutte le caratteristiche, dalla durata della gestazione al tipo di parto. «Si è osservato - scrivono gli autori - un aumento di tre volte dei nati morti. Questo dato sembrerebbe essere non l'effetto dell'infezione da Covid-19, anche perché l'incidenza della malattia nelle donne in gravidanza nell'Italia centrale, secondo l'Istituto Superiore di Sanità, è molto bassa (circa 1 per 1000). Sembrerebbe essere la conseguenza del fatto che molte donne, per paura di contrarre l'infezione in Ospedale, non hanno effettuato adeguati controlli in gravidanza».

Lo studio, condotto con Leonardo Villani della Cattolica di Roma e Arianna Polo della Direzione Salute e Integrazione Sociosanitaria della Regione, ha anche verificato una diminuzione dei parti moderatamente pretermine, che rappresentano la gran parte dei nati pretermine. «Il dato può essere interpretato come effetto del riposo forzato, della sospensione del lavoro fuori casa, della ridotta attività fisica a cui sono state costrette anche le donne in gravidanza durante il lockdown - concludono gli autori -. La prevenzione della natimortalità è un dato che dovrebbe essere tenuto presente nei prossimi lockdown che vengono annunciati.

Fonte https://www.giornaledibrescia.it/italia-ed-estero/covid-e-gravidanza-più-neonati-morti-e-meno-parti-prematuri-1.3524195

giovedì 12 novembre 2020

I rischi legati al consumo di caffè in gravidanza

 Durante la gravidanza è normale prestare la massima attenzione all'alimentazione e quindi anche il caffè rientra tra le bevande che bisogna quantomeno ridurre. Procedendo con un consumo moderato (pari circa a 200/300 mg/giorno, 1-3 tazzine di caffè), anche le donne incinta potranno togliersi lo sfizio di bere una bella tazzina di caffè. Le gestanti, inoltre, dovrebbero bere anche una quantità sufficiente di acqua, per contrastare al meglio l'effetto della caffeina che va ed eliminare i liquidi.

Posto che in queste quantità il caffè non risulta dannoso per il feto, la futura mamma potrebbe osservare

un aumento della pressione sanguigna e la frequenza cardiaca leggermente alterata; in alcuni casi può manifestarsi anche un blando effetto diuretico, ma di solito si tratta di nulla di preoccupante.

Alcuni studi stanno cercando di capire se ci sia una relazione tra caffeina ed aborto spontaneo. In generale, i risultati ottenuti sino ad ora, hanno evidenziato che un consumo basso o moderato di caffeina non ne aumenti il rischio. al contrario, ci potrebbe essere un maggior rischio di aborto spontaneo o morte del feto a seguito dell’assunzione di alte quantità di caffeina, soprattutto se in combinazione con fumo o l’alcol.

Una cosa è certa: la caffeina è però in grado di attraversare la placenta, quindi grandi quantità di caffeina sono dannose tanto per il feto quanto per la mamma. Gli esperti hanno evidenziato come i figli di donne che consumano più di 500 mg/dì di caffeina al giorno, abbiano maggiori probabilità di avere una frequenza cardiaca e respiratoria alta, di soffrire di tremori e di rimanere svegli più a lungo nei primi giorni di vita.

Infine, bere caffè o bevande che contengono caffeina, sarebbe deleterio per il peso alla nascita del neonato: per ogni ogni 100 mg di caffeina assunti quotidianamente nel primo trimestre si rilevano neonati che alla nascita pesano mediamente 72 g in meno.


Fonte https://www.alfemminile.com/gravidanza/caffe-in-gravidanza-s4019560.html

Covid, triplicato numero dei bambini nati morti/ “Per visite saltate in gravidanza”

 Uno degli effetti più gravi dell’emergenza coronavirus è l’aumento dei bambini nati morti. D’altra parte, sono calati i parti prematuri, forse a causa del “riposo forzato” causato dal lockdown. È quanto emerge da uno studio coordinato da Mario De Curtis dell’università Sapienza di Roma, pubblicato su Archives Disease in Childhood, condotto sui dati della Regione Lazio. La ricerca ha preso in considerazione i nati dei centri di nascita del Lazio nei mesi di marzo, aprile e maggio 2020, confrontando i dati agli stessi osservati nello stesso periodo dell’anno scorso. Nella Regione Lazio vivono circa 5,8 milioni di persone e nascono il 10% circa di tutti i nati italiani. Secondo lo studio, riportato da Repubblica, l’aumento fino a tre volte dei bambini nati morti potrebbe essere causato dal fatto che le donne hanno saltato le visite durante la gravidanza. Un altro aspetto che conferma l’impatto devastante che ha avuto il coronavirus a livello sanitario anche su altri ambiti.

NEL LAZIO TRIPLICATO NUMERO DEI BAMBINI NATI MORTI

I ricercatori hanno esaminato tutte le caratteristiche, a partire dalla durata della gestione fino al tipo di parto. Quindi, hanno osservato un aumento di tre volte dei nati morti. Ma non per un effetto diretto dell’infezione da covid, anche perché l’incidenza della malattia nelle donne incinte nell’Italia centrale, secondo l’Istituto superiore di sanità (Iss), è molto bassa, di circa 1 per mille. Dunque, scrivono gli autori, «sembrerebbe essere la conseguenza del fatto che molte donne, per paura di contrarre l’infezione in Ospedale, non hanno effettuato adeguati controlli in gravidanza». Lo studio, condotto da Leonardo Villani (Cattolica di Roma) e Arianna Polo (Direzione Salute e Integrazione Sociosanitaria della Regione) hanno verificato un calo di parti moderatamente pretermine. «Il dato può essere interpretato come effetto del riposo forzato, della sospensione del lavoro fuori casa, della ridotta attività fisica a cui sono state costrette anche le donne in gravidanza durante il lockdown», hanno spiegato gli autori, come riportato da Repubblica.

Fonte https://www.ilsussidiario.net/news/covid-triplicato-numero-dei-bambini-nati-morti-per-visite-saltate-in-gravidanza/2092144/

mercoledì 11 novembre 2020

Endometriosi: il dott. Carlo Alboni, Policlinico di Modena, risponde ai dubbi in una diretta

 Cos’è l’endometriosi? Una ferita nel corpo, nella psiche e nell’identità femminile. Una patologia cronica dolorosa e invalidante, che colpisce in Italia 1 donna su 10, quindi circa 3 milioni nei vari stadi clinici e si verifica tra i 25 e i 35 anni, ma può comparire anche in fasce d’età più basse. Non esistono percorsi di prevenzione né cure definitive, ha costi altissimi e non solo in senso economico, con sofferenze continue e gravi ripercussioni psicologiche, nella vita privata e lavorativa.

Se ne parla live mercoledì 11 novembre alle ore 21.30 durante una diretta Facebook organizzata da A.P.E. ODV (Associazione Progetto Endometriosi) con il dott. Carlo Alboni, Responsabile dell’Ambulatorio endometriosi e dolore pelvico cronico dell’Azienda Ospedaliera-Universitaria Policlinico di Modena, e Jessica Fiorini, vicepresidente di A.P.E., che risponderanno a tutti i dubbi sull’endometriosi e affronteranno vari temi, dalla diagnosi ai percorsi da seguire, dalle tutele al trattamento della malattia, dall’alimentazione consapevole al supporto psicologico.

Dopo mesi di silenzio dovuto alla situazione sanitaria globale, in cui non è stato possibile
organizzare conferenze pubbliche, convegni, tavole rotonde e nell’attesa di poter uscire presto dal lockdown e tornare a incontrarsi dal vivo, A.P.E., un gruppo di donne che si basa sul reciproco sostegno e conforto, continua a fare formazione e informazione per creare consapevolezza e migliorare la qualità di vita di chi ne soffre.

Uno degli obiettivi più importanti è quello di creare legami basati sull’empatia. Tutte le donne affette da endometriosi possono darsi coraggio e condividere conoscenza attraverso la propria esperienza. Sono tante le storie che raccontano di medici che non riconoscono la malattia e di ritardi diagnostici che superano i 10 anni.

L’Endometriosi può manifestarsi attraverso sintomi ben precisi. La dismenorrea (dolore acuto e lancinante durante il ciclo e l’ovulazione, che può irradiarsi alle gambe, mal di testa, nausea, stipsi o diarrea, mal di schiena) è uno di questi e potrebbe essere un campanello d’allarme e poi cistiti ricorrenti, perdite intermestruali e colon irritabile, dolore pelvico cronico. Il dolore può essere tale da diventare per molte donne invalidante, con ripercussioni negative sulla sfera lavorativa, familiare e sociale. Inoltre, l’endometriosi può essere causa di infertilità (30-35%), di disfunzioni sessuali legate al dolore che si prova durante il rapporto, di sindrome da affaticamento cronico e, in generale, di riduzione della qualità della vita.

Il dolore delle donne viene molto spesso sottovalutato, normalizzato, confuso. Altrettanto spesso le donne credono di più ai giudizi esterni che ai segnali del proprio corpo. Solo ascoltandosi si ha la possibilità di agire tempestivamente e prevenire le conseguenze più gravi della malattia.


Fonte https://www.insalutenews.it/in-salute/endometriosi-il-dott-carlo-alboni-policlinico-di-modena-risponde-ai-dubbi-in-una-diretta-facebook/


Visite saltate in gravidanza per paura del Covid: triplicato il numero dei bambini nati morti

 Forte aumento, fino a tre volte, dei bambini nati morti nel Lazio nella prima fase della pandemia. Sono i dati emersi da uno studio coordinato dal professor Mario De Curtis dell'Università La Sapienza di Roma e pubblicato da Archives Disease in Childhood. La ricerca ha preso come riferimento i dati riconducibili ai nati nei centri della Regione Lazio. Considerando il periodo che va da marzo a maggio 2020 e paragonandoli agli stessi mesi del 2019 è emerso che durante la prima ondata dell'emergenza coronavirus il numero dei bambini nati morti è triplicato. Il motivo sarebbe da ricercare nel fatto che probabilmente  le donne hanno saltato le visite di controllo della gestazione durante la gravidanza. Di contro sono invece calati i parti prematuri, la causa sarebbe nel maggior riposo durante la gravidanza dovuto proprio al lockdown.

Triplicati i bambini nati morti

Gli elementi presi in considerazione all'interno dello studio coordinato da Mario De Curtis prendono in considerazione tutte le caratteristiche, dall'andamento della gestazione al tipo di parto effettuato sulla madre. L'aumento dei decessi non sarebbe provocato dal coronavirus contratto dalle madri, di cui l'incidenza risulta molto bassa, ossia di circa 1 su 1000 donne incinte (dati dell'Istituto Superiore di Sanità), ma perché le gestanti, avrebbero evitato di sottoporsi alle visite ginecologiche proprio per la paura di contrarre il virus recandosi negli ospedali ed entrando in contatto con il personale sanitario.

Diminuiti i parti prematuri

Considerando sempre gli stessi mesi, durante la prima ondata della pandemia, dallo studio condotto con Leonardo Villani della Cattolica di Roma e Arianna Polo della Direzione Salute e Integrazione Sociosanitaria della Regione, è emerso invece come ci sia stata di contro una diminuzione dei parti moderatamente pretermine, che rappresentano la gran parte dei nati pretermine, dovuto appunto, ad uno stile di vita più tranquillo. "Il dato può essere interpretato come effetto del riposo forzato, della sospensione del lavoro fuori casa, della ridotta attività fisica a cui sono state costrette anche le donne in gravidanza durante il lockdown – scrivono gli autori – La prevenzione della natimortalità è un dato che dovrebbe essere tenuto presente nei prossimi lockdown che vengono annunciati".

Fonte : https://www.fanpage.it/roma/visite-saltate-in-gravidanza-per-covid-triplicato-il-numero-dei-bambini-nati-morti/


Caffè in gravidanza: tutto quello che devi sapere

 Uno dei problemi principali legati al consumo di caffè in gravidanza è la quantità di caffeina che si mette in circolo all'interno dell'organismo. Si tratta di una sostanza stimolante presente in diversi alimenti e bevande, oltre che in alcuni farmaci.

Anche se è un'informazione poco nota, la caffeina si trova anche in natura nelle foglie, nei semi e nei frutti di più di 60 piante (es. guaranà e ginseng), per questo motivo spesso le tisane, considerate innocue, possono avere tra i principi attivi proprio la caffeina, che ad esempio nel tè, prende il nome di teina.

La caffeina agisce stimolando il sistema nervoso centrale e facendoci sentire subito più attivi e pieni di energia, ecco il motivo per cui milioni di persone ogni giorno cominciano la giornata con un buon caffè che li aiuti ad affrontare la routine quotidina, sconfiggendo stanchezza e sonnolenza.

Di solito passano 45/60 minuti dopo l'assunzione del caffè o di un'altra bevanda contenente caffeina, per sentire gli effetti, ma c'è da sottolineare che quest'abitudine prolungata nel tempo, può portare ad una riduzione della sua efficacia, come se l'organismo dopo un po', ne fosse assuefatto.

La caffeina ha anche effetti negativi: stimola la produzione di acidi gastrici e a volte può causare nausea o mal di stomaco; inoltre, favorisce l’eliminazione dei liquidi dall’organismo, impoverendo le scorte di acqua e di calcio. Viene eliminata dopo alcune trasformazioni metaboliche attraverso l’urina.

Ecco gli effetti collaterali principali a cui si va incontro eccedendo con la dose giornaliera raccomandata di caffeina:

  • nervosismo
  • palpitazioni
  • irritabilità
  • mal di testa
  • agitazione
  • insonnia.
Fonte https://www.alfemminile.com/gravidanza/caffe-in-gravidanza-s4019560.html

Identikit ed età media delle coppie per la PMA

 In genere, quando una coppia si rivolge alla scienza per provare ad avere un figlio, c’è una motivazione specifica: la presa di coscienza e di consapevolezza dell’incapacità di procreare in modo naturale.

Secondo i medici, infatti, si può iniziare a parlare di infertilità quando una coppia prova ad avere un figlio per un anno consecutivo (con rapporti mirati e non protetti) senza riuscita. A quel punto, quindi, può iniziare ad essere utile rivolgersi ad un centro per comprendere il da farsi.

Qual è l’identikit di chi decide di rivolgersi alla PMA per avere un figlio e qual è l’età media delle coppie?

Per rispondere a questa domanda, occorre prima di tutto ricordare che vi sono, prima di tutto, i naturali limiti dell’età della donna oltre i quali sarebbe impossibile procedere ad una tecnica per la fecondazione assistita. In molte regioni, per esempio (parlando dei centri pubblici e convenzionati con il sistema sanitario nazionale) è possibile l’accesso alla procreazione medicalmente assistita entro i 43 anni per la donna, con un limite massimo di tre tentativi: questo limite vale per tute le tecniche (I, II e III livello) sia che si ricorra a gameti propri, sia che si decida di ricorrere a gameti donati.

Detto questo limite, l’età media delle pazienti che si affidano alla scienza per provare ad avere un figlio è di circa 34 anni: un’età in cui, probabilmente, si inizia a temere anche per la propria riserva ovarica e si decide quindi di accedere ad una possibilità che solo la scienza sembra in grado di dare. In linea di massima, quindi, l’identikit delle coppie che si rivolgono alla PMA è quello di persone di età media, che hanno già provato ad avere figli in modo naturale.

Fonte https://www.fecondazioneeterologaitalia.it/identikit-ed-eta-media-delle-coppie-per-la-pma/

Rucola fa bene agli spermatozoi: contrasta l'effetto degli additivi chimici che li rallentano

 La rucola protegge le cellule spermatiche dagli additivi chimici di alimenti e bevande. La scoperta arriva da uno studio congiunto tra il gruppo del professor Carlo Foresta dell'Università di Padova e quello del professor Kais Rtibi dell'Università di Jendouba (Tunisia). Lo studio riguarda il bisfenolo-A (BPA), un additivo chimico di origine sintetica che migliora le caratteristiche meccaniche dei materiali impiegati per le bottigliette di plastica, le capsule da caffè e i rivestimenti per alimenti. Il BPA influenza negativamente le funzioni cellulari, facendo incrementare la produzione di radicali liberi.

Quindi la presenza di BPA nel cibo può compromettere la vitalità degli spermatozoi e rallentare la loro motilità. La ricerca sulla rucola ha dimostrato che questa pianta contiene quantità molto elevate di antiossidanti capaci di inattivare i radicali liberi. Le analisi sugli spermatozoi inoltre hanno dimostrato che la rucola può contrastare gli effetti tossici del BPA sulle cellule spermatiche, proprio attraverso l'azione antiossidante. Secondo gli studiosi, «l'estratto di rucola può rappresentare un vero e proprio presidio nutraceutico per il trattamento dell'infertilità maschile o nella preparazione degli spermatozoi durante le tecniche di procreazione medicalmente assistita».

Fonte https://www.ilmessaggero.it/salute/ricerca/rucola_fa_bene_spermatozoi-4330677.html

martedì 10 novembre 2020

Donne con sclerosi multipla e gravidanza

 La Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, organizza una giornata dedicata alle donne con sclerosi multipla, incentrata in particolare su fertilità, gravidanza e post partum, che si terrà giovedì 12 novembre presso gli ospedali segnalati dalla Fondazione col “Bollino rosa” (cioè che offrono servizi dedicati alla prevenzione, diagnosi e cura delle principali patologie femminili) e i Centri sclerosi multipla aderenti.

L’Asl Cn1 e l’azienda ospedaliera Santa Croce e Carle hanno realizzato un video social per rispondere ad alcuni quesiti di interesse per le donne con sclerosi multipla che intendono affrontare o stanno affrontando una gravidanza.

Nell’Asl Cn1 le Neurologie di Savigliano e Mondovì hanno aderito attivando consulenze telefoniche. Giovedì 12 sarà possibile chiamare dalle 14 alle 16 il numero 0172.719332 (Savigliano) oppure 0174.677320 (Mondovi).

Sul sito www.bollinirosa.it è possibile visualizzare l’elenco dei centri aderenti, con indicazioni su date, orari e modalità di prenotazione.

Fonte https://www.laguida.it/2020/11/10/donne-con-sclerosi-multipla-e-gravidanza/

Il Coronavirus fa aumentare l'infertilità maschile?

 Il coronavirus potrebbe aumentare il rischio infertilità maschile, danneggiando le cellule testicolari che producono il liquido seminale. L'allarmante ipotesi è stata formulata dagli esperti dello Sheba Medical Center di Tel Aviv, e riportata dal Jerusalem Post, in cui si legge che la ricerca è stata pubblicata su Fertility and Sterility, ma la rivista dichiara di non aver ricevuto il documento finale, per cui lo studio deve essere ancora sottoposto a peer review.

"Anche una forma lieve della malattia - sostiene Dan Aderka dello Sheba Medical Center di Tel Aviv - sembra in grado di provocare danni all'apparato riproduttore, riducendo la motilità degli spermatozoi e il numero delle cellule gametiche, ma non sappiamo ancora se tali problemi siano permanenti".

Il team israeliano, che non ha specificato quanti siano stati i partecipanti coinvolti nello studio, sostiene che il numero di spermatozoi negli uomini contagiati risultava dimezzato dopo 30 giorni dalla diagnosi di Covid-19, anche in caso di infezione lieve.

"Non mi sorprenderebbe scoprire che il coronavirus è in grado di ridurre temporaneamente la produzione di liquido seminale - spiega al Daily Mail Allan Pacey, andrologo dell'Università di Sheffield ed ex presidente della British Fertility Society - la febbre, uno dei sintomi rivelatori del nuovo coronavirus, provoca infatti effetti all'apparato riproduttore, ma la capacità di produrre spermatozoi risulta ripristinata a seguito dell'infezione. Dobbiamo indagare per scoprire se Covid-19 può avere effetti a lungo termine in questo senso". 

Lo scienziato cita studi precedenti che sembrano supportare tali eventualità, ma precisa che i dati dei ricercatori israeliani potrebbero non essere del tutto accurati. "Secondo l'articolo sul Jerusalem Post - osserva Pacey - il team di Aderka avrebbe analizzato l'organismo di uomini deceduti a causa del nuovo coronavirus, le cui condizioni sono sicuramente peggiori rispetto alla media degli infetti. Inoltre, dobbiamo considerare l'età dei soggetti considerati, ci sono diversi aspetti della ricerca su cui sarà opportuno porre l'accento".

L'esperto aggiunge che sarà necessario proseguire gli studi e verificare se e come il virus possa essere trasmesso attraverso il liquido seminale. "I coronavirus generalmente non viaggiano nel sangue - precisa Ian Jones, virologo dell'Università di Reading - non abbiamo ancora un quadro chiaro di come il virus possa infettare le cellule dell'organismo, ma stando alla letteratura esistente e alla precedente conoscenza dei coronavirus è altamente probabile che sia coinvolto il tratto respiratorio".

"Siamo ancora in fase di test - conclude Pacey - non credo che il coronavirus possa essere trasmesso attraverso il sangue, ma potrei sbagliarmi, siamo in presenza di un virus nuovo, dobbiamo proseguire gli studi e cercare di comprendere meglio i meccanismi di infezione e l'epidemiologia di Sars-CoV-2".


Fonte https://www.globalist.it/ricerca/2020/11/10/il-coronavirus-fa-aumentare-l-infertilita-maschile-2067889.html

Come riconoscere la nausea da gravidanza

 Più della metà delle donne incinte soffre di nausea e vomito, soprattutto durante il primo trimestre e soprattutto al mattino. Ma come possiamo riconoscere la nausea in gravidanza? Quando possiamo capire che si tratta del più classico dei sintomi della gravidanza e non un disturbo gastrointestinale?

Quando iniziano le nausee dopo il concepimento?

La nausea in gravidanza è causata dall'aumento degli ormoni che vengono interessati proprio dopo il concepimento: Beta Hcg ed estrogeni soprattutto, ma anche progesterone che rallenta il processo digestivo.

Di solito si tratta di una nausea mite e leggera che scompare dopo il primo trimestre, proprio perché le Beta Hcg cominciano a calare e poi stabilizzarsi dopo il terzo mese. La nausea non provoca alcun problema al bambino e non vuol dire che il feto abbia dei problemi.

Anzi, secondo alcuni studi la nausea sarebbe addirittura un buon segno.

La ricerca, infatti, ha dimostrato che le donne con nausea e vomito durante il primo trimestre hanno un minor rischio di aborto rispetto alle donne che non hanno sintomi. È possibile che la nausea indichi che si sta verificando l'aumento degli ormoni necessari per far andare avanti la gravidanza in modo sano, soprattutto la gonadotropina corionica umana (HCG), prodotta dalla placenta all'inizio della gravidanza.

Il corpo comincia a produrre le Beta Hcg subito dopo l'attecchimento dell'ovulo fecondato alle pareti uterine. I valori delle Beta salgono in maniera esponenziale giorno dopo giorno nelle prime settimane di gravidanza e questo aumento può essere responsabile della nausea. I livelli di Beta Hcg poi si stabilizzano intorno al terzo mese di gestazione ed è perciò la nausea sparisce pian piano.

I sintomi più comuni della nausea da gravidanza includono:

  • Nausea con o senza vomito durante il primo trimestre che assomiglia alla cinetosi (mal d'auto)
  • Nausea che si manifesta al mattino ma può riemergere in qualsiasi momento o anche continuare tutto il giorno
  • Sensazione di malessere causato dall'odore di determinati cibi
  • Nausea dopo aver mangiato, soprattutto cibi piccanti
  • Ipersalivazione

Cosa fare

Ecco alcuni consigli per tenere sotto controllo la nausea durante i nove mesi.

  • Fai cinque o sei pasti piccoli invece di tre grandi;
  • Assumi regolarmente un multivitaminico, come prescritto dal medico;
  • Non assumere le vitamine a stomaco vuoto;
  • Evita gli odori che ti danno fastidio allo stomaco;
  • Mangia cracker salati o un biscotto secco prima di alzarti dal letto la mattina;
  • Mangia cibi leggeri e facili da digerire seguendo la cosiddetta dieta BRAT: bananas, rice, applesauce, dry toast;
  • Assumi molti liquidi;
  • Quando ti senti nauseata succhia un cubetto di ghiaccio o sorseggia un tè leggero o una tisana allo zenzero;
  • Vai all'aperto e fai una passeggiata, o apri semplicemente una finestra per respirare aria fresca;

Fonte https://www.nostrofiglio.it/gravidanza/salute-e-benessere/riconoscere-la-nausea-da-gravidanza

Coronavirus: al Misericordia torna il percorso assistenziale dedicato alle future mamme positive

 Alla luce della seconda ondata Covid, l’Uoc Ostetricia e Ginecologia del Misericordia riattiva il percorso assistenziale dedicato alle donne in gravidanza positive al Covid.

Il progetto, ideato e già attuato nei mesi di emergenza sanitaria della scorsa primavera, è diretto alle future mamme positive che potranno continuare a effettuare visite ed esami previsti dal percorso nascita nella più totale sicurezza per loro e il loro bambino. Oltre all’aspetto clinico, il servizio punta a garantire un supporto anche psicologico per rassicurare le mamme che in questo contesto pandemico di difficile lettura potrebbero presentare stati di ansia e preoccupazione.

Per usufruire del percorso, la futura mamma positiva deve contattare il servizio della Sala Tulipano del Misericordia che gestisce le prestazioni ambulatoriali del percorso nascita. Da qui si organizza l’accompagnamento in ospedale con il 118 e tutta la programmazione delle visite per la mamma e il nascituro presso l’ala Covid, dove è stato predisposto un locale dedicato alle donne positive in gravidanza.

Contestualmente, viene riattivato anche il servizio di esecuzione dei tamponi molecolari in modalità drive through per le donne a termine di gravidanza ubicato, questa volta, davanti alla camera iperbarica, accedendo dalla sbarra accanto alla Risonanza magnetica. Organizzato dal gruppo delle ostetriche del Misericordia, il servizio è rivolto alle pazienti, seguite dal reparto di Ostetricia e Ginecologia grossetano, alla 38esima, 39esima, 40esima e 41esima settimana di gravidanza e proseguirà ogni 7 giorni, fino al momento del parto ed anche per le donne con intervento programmato. Le ostetriche contattano la paziente e nel giorno indicato, le pazienti si recano nel luogo in cui è stata predisposta una postazione temporanea dedicata e direttamente dall’auto viene fatto loro il tampone naso-faringeo.

Sono state anche introdotte delle novità per mariti e accompagnatori che possono eseguire gratuitamente il tampone in drive through insieme alle donne, previo appuntamento concordato per lo stesso giorno ed hanno la possibilità di accedere al reparto previa autorizzazione.

Importante è anche rispettare i percorsi di accesso al Pronto Soccorso in caso di emergenze: le donne che sanno di essere positive al Covid in caso di bisogno devono attivare il servizio 118, informando gli operatori della positività. All’arrivo al Pronto Soccorso vengono prese in carico dal personale della tenda pre-triage.

“L’emergenza Covid torna a far preoccupare – afferma il dottor Tamburro attualmente direttore f.f della UOC – Voglio però rassicurare le donne in gravidanza e tutte le pazienti in cura da noi perchè ancora una volta abbiamo ripensato i percorsi assistenziali facilitando l’accesso alle prestazioni e rendendo il sistema ancora più sicuro. Proprio per garantire il massimo livello di sicurezza, per pazienti e operatori, è bene rispettare sempre l’uso dei dispositivi di protezione e le indicazioni igieniche suggerite. Tutto il personale del reparto che ringrazio per l’abnegazione costante, è a disposizione delle pazienti e delle gestanti Covid positive, sempre con il massimo impegno umano e professionale”.

Fonte https://www.ilgiunco.net/2020/11/10/coronavirus-al-misericordia-torna-il-percorso-assistenziale-dedicato-alle-future-mamme-positive/

Infertilità sine causa: mi sono rialzata più forte di prima

 Mai avrei pensato che dopo 3 anni questo percorso si sarebbe chiuso senza avere il mio miracolo tra le braccia. la pma ti segna tantissimo nell'anima e nel fisico. Però una cosa la posso dire a gran voce: sono orgogliosa della Donna che sono diventata.

Sono sposata da 11 anni e ho una bimba di 9 anni arrivata naturalmente.

Da quando mia figlia ha 3 anni abbiamo iniziato a cercare un fratellino o una sorellina con scarsi risultati, ogni mese era una tragedia con l'arrivo delle mestruazioni.

Abbiamo pensato che fosse normali e anche la mia ginecologa diceva che prima dei 2 anni di rapporti mirati non c'era bisogno di allarmarsi. Intanto il tempo passava, gli anni pure ma nulla, entrambi avevamo fatto visite ed esami e nulla di preoccupante ci era stato detto anzi... a maggio del 2017 una mia amica che aveva avuto una bambina con la pma mi "consiglia" di chiamare il centro dove era stata seguita lei e di  mettermi in lista perché essendo pubblico bisognava aspettare un po', così feci.

Mi inviarono una e-mail con tutte le analisi da fare per me e mio marito e basta. A dicembre dello stesso anno facemmo il primo colloquio, tutto okey se non per lo spermiogramma di mio marito: "astenospermia".

La mia avventura con la pma

Da lì il primario decise di partire con la fivet-icsi direttamente senza neanche passare per la IUI.

A giugno il 1° tentativo non arrivo al transfer, tutti degenerati.

Ottobre dello stesso anno 2° tentativo ma beta negative

Marzo 2019 3° tentativo, anche lì beta negative.

Agosto 2019 4° tentativo non arrivo al transfer.

Dopo questa escalation di fallimenti non solo fisici ma anche mentali ci decidiamo di chiedere spiegazioni al primario. Dopo vari "bho, mah, se", la risposta decisiva è stata "sine causa". 

Dall'ultimo tentativo è passato un anno, tra l'attesa che mi richiamassero loro, il lockdown e altri intoppi non siamo andati avanti.

A settembre decidiamo di chiudere con la pma, inutile dire che ne sono uscita piegata in due, col cuore a pezzi e le braccia vuote, mai avrei pensato che dopo 3 anni questo percorso si sarebbe chiuso senza avere il mio miracolo tra le braccia.

La pma ti segna tantissimo nell anima e nel fisico, ti cambia e ti lascia segni indelebili. Quante volte ho sognato il mio bambino (quasi sempre femmina) tra le mie braccia, riuscivo a sentire il suo profumo e il suo tepore, una sensazione bellissima. Quando abbiamo fatto il primo colloquio ci era stato detto che la pma ha il 70% di non riuscita e il restante 30% di riuscita, mai avrei pensato di far parte del 70%... 

Però una cosa la posso dire a gran voce, sono orgogliosa della Donna che sono diventata perché ho affrontato questo percorso con coraggio e forza d'animo, ho pianto tanto ma mi sono sempre rialzata più forte di prima, non ho rimpianti e so di aver fatto tutto quello che si poteva umanamente fare... 

Una mamma

lunedì 9 novembre 2020

Seroxat: indicazioni, effetti collaterali e uso in gravidanza della Paroxetina

 Che cos’è il seroxat?

Il seroxat è un medicinale appartenente alla famiglia dei SSRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina). Il suo principio attivo infatti è la paroxetina cloridrato emiidratato.

Indicazioni:

Il seroxat è un medicinale il cui uso è indicato in caso di:

  • ansia;
  • attacchi di panico;
  • depressione da stress post-traumatico;
  • depressione.

Controindicazioni:

Questo farmaco non deve esser assunto in caso:

  • Di assunzione di altri farmaci inibitori della monoaminoossidasi;
  • Associato ad anti-psicotici quali tioridazina o pimozide;
  • In caso di allergia al principio attivo o agli eccipienti.

In caso di gravidanza, allattamento e fertilità:

L’assunzione in gravidanza deve essere segnalato al proprio medico curante e all’ostetrica che vi segue, in quanto i farmaci quali il Seroxat possono comportare in alcuni casi malformazioni al bambino a livello cardio-polmonare.

Tale farmaco può passare attraverso il latte materno da madre a figlio, concordi con il suo medico l’uso di tale farmaco in caso di allattamento al seno.

L’assunzione di Seroxat incide sulla fertilità?

Sul sito my-personaltrainer.it viene riportato che la paroxetina ha mostrato di ridurre la qualità dello sperma negli studi nell’animale. Teoricamente, questo potrebbe avere effetti sulla fertilità, ma non è stato finora osservato un impatto sulla fertilità umana.

Il famaco nelle sue dosi e modalità di somministrazione deve essere prescritto dal vostro medico di fiducia.


Fonte https://www.assocarenews.it/primo-piano/pazienti/farmaci/seroxat-indicazioni-effetti-collaterali-e-uso-in-gravidanza-della-paroxetina

Quanto bere in gravidanza?

 La gravidanza è un periodo di notevole cambiamento nel corpo di una donna, il quale si adatta alla crescita del bambino.

Tra i fabbisogni che sopraggiungono vi è quello di un’adeguata idratazione, in quanto l'acqua è un elemento essenziale durante la gravidanza ed è per questo che durante la gestazione e ancora di più in allattamento è importante bere di più. 

D’estate, quando fa molto caldo, bisogna sforzarsi di introdurre ancora un po’ più di liquidi.

«Le donne incinte hanno bisogno di una maggiore assunzione di liquidi a causa di cambiamenti fisiologici nella madre e per la crescita fetale» ha chiarito la dottoressa Elisabetta Bernardi, Biologa specialista in Scienza dell'Alimentazione e membro dell'Osservatorio Sanpellegrino. 

«Secondo la SINU, la Società Italiana Nutrizione Umana - ha poi aggiunto - l'assunzione adeguata di acqua (ml/die) per le donne incinte è oltre 2 litri al giorno, circa 10 bicchieri. Durante l'allattamento, l'assunzione giornaliera dovrebbe aumentare fino a tredici bicchieri al giorno. Inoltre, se si soffre di nausea mattutina, si perdono dei liquidi extra, quindi è importante cercare di bere un po' di più per rimediare anche a questo inconveniente».

In quest’ultimo caso non è sempre facile l’assunzione di acqua, si consiglia pertanto di berne a piccoli sorsi e non tutto d’un fiato. Inoltre, il liquido non deve essere necessariamente acqua, si può introdurre sotto forma di succhi, zuppe, latte, frutta, ortaggi.

Un recente studio ha valutato l'impatto di una adeguata idratazione sull'ultima fase della gravidanza e il parto, notando che vi erano differenze significative nei livelli di idratazione correlate alla differenza di peso e lunghezza del nascituro. 

Inoltre, idratandosi correttamente si alleggeriscono le funzioni renali riducendo la possibilità di eventuali infezioni alle vie urinarie, si favorisce la regolarità intestinale e si combatte la ritenzione idrica.

È consigliabile un’acqua a media mineralizzazione, che si può alternare con acque oligominerali a basso contenuto di sodio, per combattere i problemi legati alla ritenzione idrica o ai gonfiori. È bene inoltre favorire un sufficiente apporto di calcio ai due organismi, e per questo può essere utile scegliere un'acqua bicarbonato-calcica, naturale o frizzante come si preferisce.


Fonte http://salute.ilgiornale.it/news/30543/-acqua-gravidanza--assunzione/1.html

Procedure omologa I, II e III livello: come si effettuano

 Nel caso della fecondazione omologa con procedura di I livello, possiamo dire che questa metodologia è senza dubbio la più semplice di tutte, in quanto prevede che il seme dell’uomo, dopo essere stato adeguatamente trattato, venga impiantato direttamente all’interno dell’utero: questa è la procedura senza dubbio più semplice, anche perché è quella che si utilizza nel caso di situazioni di infertilità minori.

La tecnica di II livello è invece tendenzialmente più invasiva: infatti, gli ovociti della donna devono essere asportati dopo un periodo di stimolazione ovocitaria (in questo periodo si effettuano delle iniezioni sottocute per stimolare la produzione di ovociti) e successivamente vengono fecondati in laboratorio. Dopo la fecondazione in laboratorio, avviene la produzione degli embrioni che vengono fatti crescere all’interno di una sorta di incubatrice che ha le stesse caratteristiche dell’utero materno e, dopo un periodo massimo di 5 giorni, essi vengono trasferiti nell’utero.

La tecnica di III livello prevede una collaborazione più partecipativa da parte dell’uomo che dovrà sottoporsi ad un intervento di biopsia testicolare per il prelievo degli spermatozoi: tutta la parte restante è identica alla tecnica di II livello. In questo caso, tuttavia, la tecnica risulta essere più invasiva non solo per la donna ma anche per l’uomo ed è necessaria quanto vi è una incapacità dell’uomo di produrre spermatozoi attraverso eiaculazione.


Fonte https://www.fecondazioneeterologaitalia.it/procedure-omologa-i-ii-e-iii-livello-come-si-effettuano/

La gravidanza in premenopausa è possibile (anche con ciclo irregolare)

 Gravidanza o premenopausa? Alcune persone presumono che non sia possibile concepire una volta che compaiono i sintomi della premenopausa, come le classiche vampate di calore e i periodi di ciclo irregolari ma non sempre è così.

La letteratura è piena di casi di donne prossime alla menopausa che, invece, si ritrovano ad aspettare un figlio, confondendo quindi, i sintomi di una menopausa con quelli di una gravidanza. Scopriamo insieme come differenziarli e se è possibile, davvero, rimanere incinta anche durante la premenopausa.

Gravidanza o premenopausa? I sintomi

Per ogni donna, il passaggio verso l’età non fertile non è improvviso né lineare. In tal caso può esserci molta confusione sulla possibilità di un concepimento. Comprendere se c’è questa possibilità poco prima, durante o dopo la menopausa, è estremamente importante per prendere decisioni sull’eventuale assunzione di un contraccettivo o se si vuole ancora tentare di allargare la famiglia.

È vero che con l’avvicinarsi della menopausa, può essere più difficile rimanere incinta naturalmente ma non è escluso che ciò possa avvenire. La donna può iniziare la sua entrata in menopausa dai 45 ai 58 anni, con 52 anni come età media.

In questi casi, i sintomi legati ad una premenopausa, cioè la fase che precede l’entrata effettiva nella menopausa, possono risultare fuorvianti per la donna che, pensando di non essere più in età fertile, si ritrova ad affrontare, invece, una gravidanza.

Nello specifico, quali sono i sintomi legati alla menopausa che possono risultare simili ad una gravidanza?

A livello fisico e psicologico si possono leggere in entrambi i casi:

  • senso generale di stanchezza;
  • gonfiore addominale;
  • sbalzi d’umore;
  • vampate di calore;
  • eccessiva sudorazione;
  • aumento dell’appetito.

Le differenze dei sintomi tra gravidanza e premonopausa

Se i sintomi che legano i due stati – gravidanza e premenopausa – sono diversi, bisogna anche distinguere i sintomi legati alla menopausa da quelli tipici della gravidanza.

Nel primo caso, i segnali che fanno capire che si sta entrando in menopausa e che non riguardano un’ipotetica gravidanza saranno:


  • disturbi del sonno;
  • irritabilità;
  • rallentamento del metabolismo;
  • indebolimento delle ossa.

Nel secondo caso, quindi i sintomi legati esclusivamente ad un inizio di gravidanza sono principalmente due:


  • tensione mammaria;
  • nausee mattutine.

Gravidanza in premenopausa, è possibile?

La menopausa può iniziare anche in giovane età nelle persone che hanno condizioni di salute specifiche o hanno subito determinati tipi di cure mediche o interventi chirurgici.

Tuttavia, un buon medico o un ginecologo non escluderà la possibilità di gravidanza fino a quando i cicli mestruali di una donna non saranno stati assenti per 12 mesi consecutivi.

Per la maggior parte delle donne, i livelli di estrogeni iniziano a diminuire gradualmente dopo i 40 anni d’età. Una donna, dunque, continuerà a ovulare e ad avere il ciclo mestruale, ma tali cicli così come i periodi che intercorrono tra l’uno e l’altro, possono diventare irregolari o meno frequenti.

È altamente possibile che per talune donne, le mestruazioni possono interrompersi per diversi mesi per poi ricomparire. La ragione di ciò è che l’ovulazione può continuare, anche se non si verificano periodi di cicli.

Ma, con l’avanzare dell’età, la diminuzione sia degli ormoni sessuali che del numero e della qualità delle uova ridurrà le possibilità, per la donna, di rimanere incinta. Secondo quando riportato dall’American Society for Reproductive Medicine

La fertilità di solito termina 5-10 anni prima della menopausa.

Tuttavia, non è sempre così. Per alcune, la gravidanza è ancora possibile fino alla menopausa. Quindi, la risposta definitiva alla domanda iniziale è sì, si può rimanere incinta anche se questo è più difficile.

Gravidanza o premenopausa: le statistiche della fertilità

Secondo uno studio, all’età di 25 anni, le statistiche mostrano che il 4,5% delle donne non è in grado di concepire naturalmente.

Questo dato sale notevolmente dopo i 38 anni d’età con una percentuale che arriva al 20% e che sale al 50% a 41 anni.

Dai 45 anni in poi tale percentuale sfiora quasi il 90% per arrivare al 100% superati i 50 anni di vita.

Queste statistiche sono state basate dai ricercatori su un campione di oltre 58.000 donne. 

Questo aumento dell’infertilità si verifica perché la qualità delle uova e la possibilità di una gravidanza sana diminuiscono con l’età. Ma questo non preclude, come già accennato, la possibilità di concepire finché l’ovulazione continua. Se le ovaie producono anche un solo uovo vitale e questo viene fecondato, può avere luogo il concepimento.


Fonte https://www.gravidanzaonline.it/news/gravidanza-in-premenopausa

Endometriosi, come aumentare le possibilità di concepimento

 In occasione della “Giornata Nazionale di informazione e formazione sulla fertilità” IVI, la prima istituzione medica in Spagna completamente specializzata nella Fecondazione Assistita, si rivolge alle giovani donne affette da endometriosi, consigliando loro di preservare la propria fertilità attraverso la vitrificazione degli ovociti.

Sulla base di uno studio presentato in aprile, in cui veniva dimostrata l’idoneità della vitrificazione degli ovociti in pazienti affette da endometriosi, lo studio IVI, Oocyte survival and clinical outcome is impaired in young endometriosis patients after fertility preservation (FP), condotto dalla dott.ssa Ana Cobo e presentato alla 36ª edizione del Congresso ESHRE, è partito da una domanda: “la sopravvivenza degli ovociti e i risultati clinici saranno compromessi nelle pazienti giovani con endometriosi che hanno preservato la propria fertilità, se messi a confronto con i risultati di donne senza endometriosi che abbiano anch’esse scelto di preservare la propria fertilità?”

“I risultati di questo studio segnalano indici di successo simili a quelli di pazienti di età superiore ai 35 anni”, ha affermato la dott.ssa Daniela Galliano, medico, chirurgo, ginecologo, direttrice del centro IVI Roma. “Nel gruppo di età inferiore ai 35 anni tutti i parametri analizzati sono stati statisticamente più bassi in donne affette da endometriosi. Se da una parte questo è dovuto al fatto che le pazienti con endometriosi dispongono di meno ovociti, dall’altra lo studio ha confermato che tale malattia può compromettere anche la qualità degli stessi, come dimostrato dai valori degli indici di impianto – indipendente dal numero di ovociti – e di sopravvivenza degli ovociti, nettamente inferiori nelle pazienti affette da endometriosi, rispetto alle altre che praticano la preservazione per motivazioni sociali”. “Tesi ulteriormente confermata”, ha continuato la dottoressa Galliano, “dagli autori che hanno osservato le alterazioni morfo-cinetiche negli embrioni di pazienti con endometriosi”

“Nonostante l’elevata incidenza dell’endometriosi e il crescente numero di donne affette da questa malattia che dispongono di ovociti vitrificati come salvaguardia della loro fertilità, si sa ancora poco dell’efficacia della strategia in questi casi.” Ha sottolineato il prof. Antonio Pellicer, Presidente IVI.

“Ad ogni modo, noi di IVI, consigliamo alle giovani donne affette da endometriosi di preservare la loro fertilità per aumentare le possibilità di concepimento.” “In più, ha aggiunto la dott.ssa Cobo, “dal momento che l’endometriosi non costituisce una minaccia alla riserva ovarica solo per le lesioni provocate dall’operazione chirurgica, ma anche per le possibili alterazioni qualitative della stessa, è bene tener presente che prima si procede alla conservazione degli ovuli e maggiori saranno le probabilità di successo.”

“In generale, è estremamente importante che le giovani donne, e non solo, vengano maggiormente informate circa l’impatto che alcune patologie e abitudini di vita possono avere sulla fertilità. Di prevenzione dell’infertilità e di preservazione della stessa si parla ancora molto poco. Sarebbe importante che questo argomento, ancora così tabù nel nostro Paese, venga approfondito e che circolassero maggiori informazioni a riguardo”, ha concluso la dott.ssa Galliano.

Fonte https://dilei.it/salute/endometriosi-come-e-possibile-aumentare-le-possibilita-di-concepimento/745362/

domenica 8 novembre 2020

4 motivi per cui mangiare kiwi Zespri in gravidanza

 La gravidanza è un momento entusiasmante. Quando c'è un bebè in arrivo, fervono i preparativi: dagli abitini alla cameretta, i genitori non hanno che l'imbarazzo della scelta! Ma con tutte le energie rivolte alla preparazione, a volte potremmo non avere il tempo di leggere l'enorme quantità di informazioni presente su Internet per le future mamme (dopotutto, non per niente lo hanno chiamato World Wide Web). Per aiutarti, il nostro suggerimento è semplice e diretto: i kiwi Zespri sono un'ottima scelta quando aspetti un bambino. Niente di più facile!

1. I kiwi sono una fonte naturale di folato

Se aspetti un bambino, o stai pensando di averne uno, è molto probabile che abbia sentito parlare del folato e/o dell'acido folico (ossia la sintesi chimica del folato), un nutriente assolutamente essenziale sia per la mamma che per il nascituro. Il tuo bimbo ne ha bisogno per crescere e svilupparsi al meglio all'interno del grembo materno1,2, ed entrambi ne avete bisogno per garantire che l'ossigeno raggiunga tutte le cellule dell'organismo, dei tessuti e degli organi2. Per questa ragione molti medici consigliano alle donne in gravidanza di assumere un quantitativo supplementare di folato attraverso la dieta, in particolare nel primo trimestre2. Inoltre, le donne in gravidanza dovrebbero assumere un'integrazione giornaliera di 400 µg di acido folico1. Un solo kiwi Zespri contiene 31-38 μg/100 g di folato, cosa che lo rende un buon alimento complementare da abbinare agli integratori di acido folico2,3.

Lo sapevi?

La cottura distrugge il folato, quindi integrare della frutta fresca come il kiwi Zespri nella tua dieta quotidiana è un modo perfetto e naturale di assumere questa importante sostanza nutritiva

2. I kiwi ti aiutano a mantenere la tua regolarità

La stipsi è un problema frequente tra le donne in gravidanza ed è dovuta alle modificazioni ormonali dell'organismo4. Consumare alimenti ricchi di fibre, come i kiwi Zespri Green, aiuta a dare sollievo dalla stipsi. Quindi, se aspetti un bambino, prova a integrare la tua dieta con due kiwi Zespri Green al giorno, per mantenerti regolare e migliorare il tuo benessere digestivo!

3. I kiwi sono ricchissimi di sostanze nutritive!

Vantando alcuni tra i più elevati valori nutrizionali di tutti i frutti, i kiwi Zespri contengono oltre 17 vitamine e minerali essenziali, più di quelli presenti in tutto il resto della frutta comune5! Inoltre, il kiwi Zespri SunGold ha livelli eccezionalmente alti dell'antiossidante vitamina C, nonché di altri elementi nutritivi fondamentali come fibre e potassio5, cosa che rende il kiwi uno dei frutti più deliziosi e nutrienti presenti oggi sul mercato, sia per la mamma che per il bambino.

4. I kiwi Zespri sono disponibili in due gustosissime varietà

Preferiresti un maschietto o una femminuccia? Un kiwi SunGold o un kiwi Green? Per noi è impossibile scegliere! I kiwi Zespri Green sono ricchissimi di sapore e rinfrescanti, mentre la varietà Zespri SunGold è caratterizzata da un'incredibile dolcezza. Il nostro consiglio è di fare scorta di entrambe le varietà, visto che con le "voglie" della gravidanza non si può mai sapere quale sarà la preferita del momento!

Ci sono tantissime deliziose insalate estive da provare, ideali per quando iniziano ad aumentare le temperature. Perché non provare il Mix Mediterraneo Zespri è una combinazione, tutt'altro che noiosa, di lenticchie, spinaci, baccalà e zucchine, il tutto completato da un tocco di colore dato dal kiwi Zespri Green o Zespri SunGold. Non riesci a decidere quali dei due usare? Abbiamo sentito dire che un sacco di gente ne sceglie uno di ciascun tipo!

Fonti

Fondazione Britannica di Nutrizione (British Nutrition Foundation). Nutrition and supplements during pregnancy. Disponibile alla pagina web: https://www.nutrition.org.uk/healthyliving/nutritionforpregnancy/nutrition-and-supplements-during-pregnancy.html?limit=1 (visitato il 9 gennaio 2017).

Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare. Scientific opinion on dietary reference values for folate. EFSA Journal, 2014;12:3893.

Ministero della Salute della Nuova Zelanda. New Zealand FOOD files 2014 Version 01. Disponibile alla pagina web: www.foodcomposition.co.nz/ (visitato il 9 gennaio 2017).

Servizio Sanitario Nazionale del Regno Unito (National Health Service UK). Common health problems in pregnancy. Disponibile alla pagina web: nhs.uk/conditions/pregnancy-and-baby/pages/common-pregnancy-problems.aspx#Constipation (visitato l'8 maggio 2017).

USDA Database nazionale dei nutrienti per gli standard di riferimento (comunicato 28) 2015. Disponibile alla pagina web: https://ndb.nal.usda.gov/ndb/(visitato il 9 gennaio 2017).

Rischi e precauzioni in gravidanza contro il coronavirus

 Dai dati disponibili relativi all’impatto del nuovo coronavirus sulla gravidanza è emerso in maniera piuttosto univoca che il virus Sars-Cov-2 non si trasmette al feto durante la gravidanza e neppure il parto sembra essere un momento critico.

Quali precauzioni da adottare in gravidanza?

Secondo le disposizioni emanate dal Ministero della Salute, le donne in gravidanza devono adottare le misure di prevenzione e contenimento del contagio allo stesso modo di tutta la popolazione generale. Nello specifico, le precauzioni indispensabili riguardano:

  • l’uso di mascherine usa e getta e dei guanti monouso;
  • lavaggi frequenti delle mani con acqua e sapone per almeno 60 secondi, o in mancanza, con gel disinfettanti;
  • in caso di visite e controlli non posticipabili, evitare al minimo i contatti e osservare il distanziamento sociale;
  • per le donne lavoratrici in gravidanza, preferire la modalità di lavoro agile a domicilio.

I possibili rischi in gravidanza
La gravidanza è in generale un percorso molto delicato per la donna e anche in questo periodo di emergenza sanitaria è importante prestare attenzione a tutti i sintomi influenzali anche più lievi come raffreddore, tosse e piccole difficoltà respiratorie.

Questo perché molte malattie virali (influenza o varicella) vedono nella gravidanza un periodo di maggior rischio per lo sviluppo di infezioni respiratorie severe, dovute al sostanziale cambiamento del sistema immunitario della gestante. Tuttavia si può affermare che contrarre il Covid-19 non comporta di per sé il rischio di una prognosi peggiore per mamma e bambino.

Bisogna invece considerare la presenza di altre patologie concomitanti, come diabete gestazionale, obesità o ipertensione, noti fattori di rischio che pertanto richiedono un confronto con il medico curante.

In caso di sospetto contagio da nuovo coronavirus saranno sottoposte a tampone naso-faringeo:

  • le gestanti che presentano sindrome respiratoria acuta con provenienza geografica a rischio;
  • le gestanti con qualsiasi infezione respiratoria acuta e con pregresso contatto stretto con un caso probabile o confermato di Covid-19;
  • tutte le donne gravide con febbre, tosse, sintomi respiratori associati a dispnea, che necessitano di ricovero ospedaliero.
  • In caso di gestante con positività al Covid-19
  • A seconda delle condizioni di salute della donna incinta, verranno attivate dal personale sanitario le misure idonee per gestire l’infezione, che contempleranno il follow-up domiciliare o il ricovero ospedaliero.

I dati disponibili (seppur limitati) relativi ai casi di donne in gravidanza positive al Covid-19 sono rassicuranti: il nuovo coronavirus non attraversa la placenta, quindi la mamma - seppure con sintomi - non trasmette l’infezione al bambino, né durante la gravidanza né durante il parto.

Il fatto che non avvenga la trasmissione verticale madre/figlio è confermato anche da analoghi casi di epidemie da coronavirus come la SARS, in cui i bambini nati da madri positive non riscontravano la presenza del virus nel cordone ombelicale e nemmeno nel liquido amniotico.

Anche il latte materno non trasmette di per sé il contagio madre/figlio. La donna con sintomi lievi potrà allattare al seno adottando tutte le precauzioni possibili (indossare la mascherina e lavarsi accuratamente le mani). Invece, in caso di infezione respiratoria acuta madre e neonato saranno temporaneamente divisi in via precauzionale.     

Per quanto riguarda la modalità del parto, andrà valutata caso per caso insieme al proprio medico, ma è ragionevole affermare che sia preferibile eseguire il parto naturale piuttosto che il parto cesareo per la componente di rischio che quest’ultima comporta per mamma e bambino, indipendentemente da una positività al coronavirus.

Fonte https://www.paginemediche.it/benessere/mamma-e-bambino/rischi-e-precauzioni-in-gravidanza-contro-il-coronavirus

Infertilità maschile e disfunzione erettile. Come stanno le cose

 Di recente è apparso su Nature Reviews Urology, un articolo a firma di due ricercatori italiani dell’Università di Firenze – il dottor Francesco Lotti e il professor Mario Maggi – sull’infertilità maschile e sulla disfunzione erettile. Un articolo che fa il punto sui dati a livello mondiale in merito a questi due problemi e alla loro correlazione. L’infertilità colpisce il 7-12% degli uomini e, fra chi ha problemi di infertilità, la percentuale di persone che soffre di disfunzioni sessuali (quali problemi di erezione, eiaculazione e scarso desiderio sessuale) è elevata. Ne abbiamo parlato con Francesco Lotti, endocrinologo e andrologo.

Iniziamo con qualche numero: quanto è diffusa l’ infertilità maschile e quali sono le cause?

L’infertilità affligge circa una coppia su dieci e nel 50% dei casi l’uomo ha una certa responsabilità, da solo o come concausa. Tuttavia, solo nella metà dei casi siamo in grado di individuare la causa dell’infertilità maschile. Nel resto degli uomini l’origine può essere pre-testicolare (15% dei casi), testicolare (75%) e post-testicolare (10%); nel 15% dei casi è attribuibile ad anomalie genetiche. Le cause pre-testicolari comprendono il cosiddetto ipogonadismo ipogonadotropo o disfunzioni sessuali severe. L’ipogonadismo ipogonadotropo, congenito o acquisito, si caratterizza per la presenza di bassi livelli di testosterone plasmatico secondari e alterazioni dell’ipotalamo e/o dell’ipofisi, la ghiandola del cervello assimilabile ad una “centralina di controllo” che secerne ormoni di regolazione per altri organi endocrini periferici. Le disfunzioni sessuali che si associano a infertilità maschile invece sono quelle caratterizzate da un difetto nella deposizione del seme in vagina, quali l’aneiaculazione, ovvero l’assenza patologica di emissione del liquido seminale, e le forme più severe di disfunzione sessuale, come l’inabilità alla penetrazione e l’eiaculazione precoce ante portam, cioè prima di entrare in vagina.

Le cause testicolari invece comprendono qualsiasi affezione del testicolo associata a una compromissione della spermatogenesi e includono quelle congenite, quali anomalie del cariotipo e microdelezioni del cromosoma Y, e quelle acquisite come orchite, torsione e trauma testicolare, chemio e radioterapia. Infine, le cause post-testicolari comprendono cause congenite quale l’agenesia bilaterale dei dotti deferenti, che spesso dipende da una mutazione del gene della fibrosi cistica, e cause acquisite, quali l’ostruzione dei dotti eiaculatori post-infezione o infiammazione o associata a cisti prostatica mediana, la vasectomia e gli anticorpi anti-spermatozoi.

E per quanto riguarda fattori esterni come l’inquinamento?

Sebbene la relazione tra fattori ambientali e fertilità maschile non sia ancora chiara, l’inquinamento ambientale (agenti chimici, distruttori endocrini e miscele di sostanze diverse), in particolare dell’aria, sembra giocare un ruolo negativo sulla spermatogenesi e sui cambiamenti epigenetici degli spermatozoi.

Come si studia l’infertilità maschile?

Ci si basa sulla valutazione dello spermiogramma, che quando molto alterato può sottendere anomalie genetiche, e sull’indagine delle possibili cause mediante un’anamnesi mirata e un accurato esame obiettivo andrologico. Questi consentono di ottenere utili informazioni cliniche ai fini della diagnosi e della terapia, ma anche di fare prevenzione. La sola visita dei testicoli, oltre a dare informazioni cliniche rilevanti, può salvare molte vite: il tumore del testicolo è il primo tumore per frequenza nei soggetti di età tra i 15 e i 40 anni.

Che terapia proponete per chi soffre di questo problema?

La terapia dell’infertilità maschile si basa prevalentemente su presidi farmacologici (terapia ormonale) e chirurgici (estrazione chirurgica degli spermatozoi da testicolo) e spesso si avvale di tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Passiamo invece alla disfunzione erettile (DE). Quali sono le cause?

La DE presenta in Italia una prevalenza del 13-20%, che cresce con l’età fino a raggiungere il 38% nei soggetti anziani. Le cause sono tradizionalmente distinte in tre categorie: organiche, psicogene e relazionali. Le cause organiche comprendono malattie cardiovascolari, metaboliche, endocrine, neurologiche e fattori iatrogeni (cioè correlati a una terapia) quali chirurgia pelvica, radioterapia e impiego di alcuni farmaci. Le cause psicogene includono problemi psicologici e malattie psichiatriche come disturbi d’ansia e depressione. Con cause relazionali si intendono principalmente i problemi all’interno della coppia.

In questo caso che terapia proponete?

Non dimentichiamo che queste cause possono coesistere nella stessa persona e proprio la presenza e il peso relativo delle tre devono orientare il medico nell’impostare la terapia più adeguata. Laddove prevalgano le cause psicogene deve essere considerato un approccio psicologico o psichiatrico, mentre in presenza di cause relazionali può essere indicato un percorso di psicoterapia di coppia. Quando prevalgono le cause organiche è necessario correggere stile di vita, fattori di rischio cardiovascolari ed eventuali alterazioni ormonali e glico-metaboliche con terapia specifica, si può considerare una terapia farmacologica, fino a ricorrere a presidi chirurgici come il posizionamento di protesi peniene nei casi più severi

Ci sono studi sulla prevalenza della DE nei maschi infertili in Italia?

Sebbene infertilità di coppia e DE presentino un’elevata frequenza nella popolazione generale, fino al 2012 la prevalenza della DE nei maschi infertili è stata poco studiata, spesso senza impiegare strumenti validati. Nel 2012 con il professor Maggi abbiamo pubblicato per la prima volta uno studio condotto con strumenti validati in maschi di coppie infertili, seguito da uno studio analogo nel 2014, riportando una prevalenza di DE nei maschi infertili in Italia pari a 18%, ovvero di un maschio infertile su sei.

Tale dato suggerisce la necessità di indagare la presenza di DE nei pazienti che si rivolgono al medico per un problema di infertilità, spesso relativamente giovani e maggiormente concentrati sulla ricerca di gravidanza che sulla sessualità.

Ci sono delle correlazioni fra la disfunzione erettile e la salute generale dell’individuo?

È noto che la DE rappresenta un campanello d’allarme per lo sviluppo di malattie cardiovascolari e metaboliche in pazienti apparentemente sani, perché la sua comparsa si associa spesso ad alterazioni glico-metaboliche, sottendendo ad esempio la presenza di diabete mellito di cui il paziente non era a conoscenza, e può precedere di qualche anno l’insorgenza di ictus cerebrale o infarto del miocardio. Il meccanismo alla base di queste associazioni risiede nel fatto che la comparsa di placche ateromasiche che ostruiscono il flusso sanguigno nelle piccole arterie del pene – e che determinano la DE – può precedere l’ostruzione di vasi di dimensioni maggiori, quali le coronarie, che irrorano il tessuto cardiaco, e le carotidi, che portano sangue al cervello. Inoltre è stato riportato che la presenza di malattie sistemiche si associa a una maggiore prevalenza non solo di DE, ma anche di infertilità.

Più recentemente è emerso il concetto che l’infertilità maschile rappresenta un indice di scarsa salute generale, associandosi a un più alto rischio di malattie neoplastiche e non. Nel 2016 sempre con il prof. Maggi abbiamo dimostrato che nei soggetti infertili si osserva un incremento della prevalenza di DE al peggiorare delle caratteristiche spermatiche, raggiungendo frequenza massima nei soggetti azoospermici, ovvero privi di spermatozoi nel liquido seminale. Questi dati, nel complesso, hanno spostato l’attenzione sullo studio della correlazione tra infertilità, DE, stato di salute generale e problemi psicologici dei maschi infertili. Ciò ha portato, all’inizio del 2018, alla nostra pubblicazione su Nature Reviews Urology di una revisione sistematica sul tema “disturbo della sessualità e infertilità maschile”, concludendo che è necessario indagare la funzione sessuale e lo stato di salute generale e psicologico dei maschi infertili per migliorare non soltanto la salute riproduttiva, ma anche quella generale e sessuale.

Quali sono dunque le nuove sfide che vi preparate ad affrontare?

Le nuove sfide nel campo dell’infertilità sono rappresentate dalla ricerca delle sue cause (ancora oggi oscure nella metà dei casi), mediante l’impiego sempre maggiore di tecniche di imaging e studi di genetica, affiancate dalla ricerca di terapie più efficaci e dalla caratterizzazione del paziente infertile in relazione al rischio nella salute generale e sessuale. D’altra parte le nuove sfide nel campo della sessualità sono orientate a trovare farmaci per l’erezione sempre più efficaci e scevri di effetti collaterali, oltre a indagare il rischio cardiovascolare dei pazienti più giovani e apparentemente sani.

Fonte https://oggiscienza.it/2018/04/05/infertilita-maschile-disfunzione-erettile/

Infertilità maschile: gli esami da fare

 La definizione esatta di infertilità, in una coppia, è la seguente: «Mancanza di concepimento dopo 12-24 mesi di rapporti regolari non protetti». Quando accade e si desidera un figlio, è necessario che la coppia sia presa in esame da due specialisti: il ginecologo per lei e l’andrologo per lui.

Per scoprire gli eventuali problemi dell’uomo, il primo passo è la visita obiettiva, che a volte può già far capire molto. Poi sono necessari alcuni accertamenti clinici. Ecco quali.

SPERMIOGRAMMA

È l’analisi del liquido seminale. L’eiaculato deve essere portato in laboratorio entro breve tempo dall’eiaculazione. Per questo spesso viene chiesto di prelevarlo (tramite masturbazione, non c’è altro modo) in un locale attiguo al laboratorio stesso.

Dopo questo imbarazzante passaggio, l’analisi del liquido seminale rivela diverse cose. La più importante è se ci sono spermatozoi oppure no. Se non se ne trovano la causa di tale assenza può essere ostruttiva (qualcosa impedisce loro di percorrere le vie seminali, come accade nel 40% dei casi) o secretoria (i testicoli non ne producono). La presenza di altre sostanze nel liquido seminale fa spesso capire quale delle due ipotesi sia quella giusta.

Quando gli spermatozoi si trovano, l’esame chiarisce se sono in quantità sufficiente, di forma e motilità normali oppure no. Qualora l’esame evidenzi anomalie, seguono altri accertamenti, tra quelli elencati di seguito.

DOSAGGI ORMONALI NEL SANGUE

Per vedere se l’assetto degli ormoni sessuali è corretto.

ECOGRAFIA SCROTALE

È utile per scoprire eventuali malformazioni congenite.

ECOCOLORDOPPLER

Con questo strumento si esamina il funicolo spermatico quando si sospetta un varicocele: rilevando direzione e velocità dei flussi di sangue si può evidenziare se c’è un ristagno (stasi venosa).

BIOPSIA TESTICOLARE

Serve per capire se il testicolo produce spermatozoi: si fa l’esame istologico di una piccola quantità di tessuto, prelevato con un ago o chirurgicamente.

Fonte https://www.ok-salute.it/salute/infertilita-maschile-gli-esami-da-fare/

Pandemia e PMA: come le coppie affrontano questo momento

 Questo aumento è in qualche modo stato giustificato in due modi: da un lato, la pandemia ha generato nelle persone la voglia di cogliere l’attimo e di non rimandare al domani ciò che è possibile fare oggi, con un’evidente preoccupazione per il futuro; dall’altro lato, le coppie che, prima della prima ondata, si erano rivolte ad un centro per la PMA (ma non avevano iniziato il percorso) hanno dovuto attendere fino al primo momento utile, che è stato quello che tutti conosciamo.

La seconda ondata ha nuovamente messo in crisi le coppie infertili, che oggi si trovano ancora una volta costrette a rivedere le loro priorità e che devono affrontare un momento già di suo delicato (come quello del ricorso alla scienza per provare ad avere un figlio) con una preoccupazione in più dovuta al clima di incertezza e di paura che sembra aleggiare ovunque.

Quali sono, quindi, i modi più comuni con cui le coppie affrontano questo percorso?

Possiamo dire che, per forza di cose, il Covid abbia creato un rallentamento. È però anche vero che, nella prima ondata, molte coppie infertili sine causa (cioè senza una causa conclamata) hanno concepito naturalmente durante il periodo del lockdown: segno, probabilmente, che anche la tranquillità di una vita più casalinga e più racchiusa tra le quattro mura domestiche ha reso possibile in molti casi una maggiore intimità tra le coppie stesse. In questa seconda ondata, invece, pare vi sia una maggior preoccupazione delle coppie riguardo alla possibilità che le restrizioni disposte dal governo rendano ancor più lontano il momento in cui potranno affacciarsi finalmente al mondo della PMA. Una preoccupazione tutt’altro che incomprensibile.


Fonte https://www.fecondazioneeterologaitalia.it/pandemia-e-pma-come-le-coppie-affrontano-questo-momento/

sabato 7 novembre 2020

Coronavirus: il virus può portare all’infertilità nei maschi

 Uno studio portato avanti da febbraio nella città di Wuhan, la città dell’epicentro di questa pandemia di coronavirus, ha scoperto un aspetto particolare del contagio. Apparentemente, il Covid-19 andrebbe a interferire con la fertilità nei pazienti maschi. Esiste la possibilità che chi contrae il virus potrebbe subire danni alla salute riproduttiva.

I ricercatori dell’ospedale di Tonjii hanno notato come l’infezione che si crea a causa del virus causa la rottura dell’omeostasi immunitaria nei testicoli. Un danno del genere può aggravarsi e a sua volta dare origine a una orchite. Si tratta di un’infiammazione stessa dei testicoli in grado di danneggiare la produzione di spermatozoi. Lo scenario peggiore è l’infertilità.

Coronavirus e infertilità maschile

Nello specifico, gli scienziati il Covid-19 penetra nelle cellule combinandosi con un particolare enzima, l’Ace2. Questo enzima è presente in grandi quantità proprio nei genitali maschili, i testicoli, rendendoli un bersaglio prediletto per il virus.

I ricercatori che lo hanno scoperto hanno invitato tutti i pazienti già guariti, in Cina ovviamente, a farsi controllare per cercare di capire se hanno subito danni alla possibilità di riprodursi. Attualmente il sistema sanitario italiano deve pensare ad altro, ma una volta che il peggio sarà passato, anche nel nostro paese tutti i guariti maschi dovrebbe farsi controllare, perlomeno se hanno intenzione di avere figli.

Se al momento non sembra essere l’aspetto più preoccupante del contagio, dopo potrebbe diventarlo. Non è chiara la percentuale con cui questa eventualità possa accadere, ma non sembra bassa, ma visto il numero di casi, l’incidenza potrebbe essere alta.

Fonte https://focustech.it/2020/03/14/coronavirus-virus-infertilita-maschi-276475