Le cause
Già si è parlato nel primo capitolo degli effetti negativi sulla fertilità prodotti da scorrette
abitudini di vita. Ci sono anche patologie femminili che sono responsabili di infertilità.
Le più comuni sono:
- Squilibri ormonali (sindrome dell’ovaio policistico, patologie tiroidee, iperprolattinemia,
obesità, anoressia nervosa)
- Infezioni pelviche, acute o subacute (spesso trasmesse per via sessuale!)
- Fibromi uterini (in relazione alle dimensioni, al numero ed alla collocazione anatomica)
- Endometriosi
Tra le citate patologie, particolare attenzione meritano la sindrome dell’ovaio policistico
e l’endometriosi, in considerazione dell’impatto sulla fertilità e sulla qualità di vita delle
donne che ne sono affette.
La sindrome dell’ovaio policistico è un disturbo ormonale, su base ereditaria, caratterizzato
dalla formazione di molteplici cisti ovariche e da cicli mestruali irregolari talvolta
anovulatori (cioè senza la formazione di una cellula uovo matura). Si accompagna
a un’aumentata produzione di ormoni maschili (iperandrogenismo) con conseguenti
problemi estetici, rappresentati principalmente da acne, ipertricosi (aumento dei peli in
sedi femminili) e irsutismo (comparsa di peli in sedi maschili, come viso, torace, addome).
La malattia è inoltre responsabile di alterazioni metaboliche che frequentemente
si traducono in sovrappeso, diabete mellito/insulino-resistenza, ipercolesterolemia e
ipertensione arteriosa.
L’endometriosi consiste nella presenza di endometrio al di fuori dell’utero, tipicamente
in sede pelvico-addominale. L’ovaio è la sede più colpita; altre possibili localizzazioni
sono tube, vescica, retto, peritoneo e intestino. Questo tessuto, dislocato in sedi anomale,
risponde agli stimoli ormonali che periodicamente accompagnano l’ovulazione
durante l’età fertile, comportandosi come l’endometrio “normale”: cresce, s’ispessisce e si sfalda, causando infiammazione cronica e formazione di tessuto cicatriziale e aderenze
che danneggiano gli organi colpiti. Il dolore rappresenta il sintomo principale, ma
possono manifestarsi anche altri disturbi, come affaticamento cronico, dolore durante
il rapporto sessuale, la minzione e/o la defecazione, alternanza diarrea/stitichezza. La
diagnosi purtroppo è spesso molto tardiva, stimandosi un ritardo diagnostico medio
di nove/dieci anni con il rischio che si instaurino gravi e irreparabili danni all’apparato
riproduttivo.
Gli esami diagnostici
Nella pratica clinica si considera giustificato iniziare gli accertamenti per determinare la
presenza di uno o più ostacoli al concepimento dopo almeno 12 mesi di rapporti liberi
e non protetti. Questo limite si riduce a 6 mesi per le donne di età superiore a 35 anni
e in presenza di fattori di rischio (pregressi interventi in sede pelvica, endometriosi,
pregresse gravi infezioni utero-ovariche ...).
Per prima cosa è necessario verificare i dosaggi ormonali, accertare la presenza dell’ovulazione
nella donna e di un adeguato numero di spermatozoi mobili nel partner ed
escludere eventuali infezioni.
Si passa successivamente ad esami più complessi e approfonditi (dunque maggiormente
invasivi) per indagare le cause che impediscono ai gameti, femminile e maschile,
di incontrarsi.
Gli esami devono essere eseguiti in un periodo di tempo ragionevolmente breve sia
perché “fotografano” le condizioni attuali della coppia sia perché più passa il tempo e
più le condizioni potrebbero cambiare.
Fonte https://www.ondaosservatorio.it
Già si è parlato nel primo capitolo degli effetti negativi sulla fertilità prodotti da scorrette
abitudini di vita. Ci sono anche patologie femminili che sono responsabili di infertilità.
Le più comuni sono:
- Squilibri ormonali (sindrome dell’ovaio policistico, patologie tiroidee, iperprolattinemia,
obesità, anoressia nervosa)
- Infezioni pelviche, acute o subacute (spesso trasmesse per via sessuale!)
- Fibromi uterini (in relazione alle dimensioni, al numero ed alla collocazione anatomica)
- Endometriosi
Tra le citate patologie, particolare attenzione meritano la sindrome dell’ovaio policistico
e l’endometriosi, in considerazione dell’impatto sulla fertilità e sulla qualità di vita delle
donne che ne sono affette.
La sindrome dell’ovaio policistico è un disturbo ormonale, su base ereditaria, caratterizzato
dalla formazione di molteplici cisti ovariche e da cicli mestruali irregolari talvolta
anovulatori (cioè senza la formazione di una cellula uovo matura). Si accompagna
a un’aumentata produzione di ormoni maschili (iperandrogenismo) con conseguenti
problemi estetici, rappresentati principalmente da acne, ipertricosi (aumento dei peli in
sedi femminili) e irsutismo (comparsa di peli in sedi maschili, come viso, torace, addome).
La malattia è inoltre responsabile di alterazioni metaboliche che frequentemente
si traducono in sovrappeso, diabete mellito/insulino-resistenza, ipercolesterolemia e
ipertensione arteriosa.
L’endometriosi consiste nella presenza di endometrio al di fuori dell’utero, tipicamente
in sede pelvico-addominale. L’ovaio è la sede più colpita; altre possibili localizzazioni
sono tube, vescica, retto, peritoneo e intestino. Questo tessuto, dislocato in sedi anomale,
risponde agli stimoli ormonali che periodicamente accompagnano l’ovulazione
durante l’età fertile, comportandosi come l’endometrio “normale”: cresce, s’ispessisce e si sfalda, causando infiammazione cronica e formazione di tessuto cicatriziale e aderenze
che danneggiano gli organi colpiti. Il dolore rappresenta il sintomo principale, ma
possono manifestarsi anche altri disturbi, come affaticamento cronico, dolore durante
il rapporto sessuale, la minzione e/o la defecazione, alternanza diarrea/stitichezza. La
diagnosi purtroppo è spesso molto tardiva, stimandosi un ritardo diagnostico medio
di nove/dieci anni con il rischio che si instaurino gravi e irreparabili danni all’apparato
riproduttivo.
Gli esami diagnostici
Nella pratica clinica si considera giustificato iniziare gli accertamenti per determinare la
presenza di uno o più ostacoli al concepimento dopo almeno 12 mesi di rapporti liberi
e non protetti. Questo limite si riduce a 6 mesi per le donne di età superiore a 35 anni
e in presenza di fattori di rischio (pregressi interventi in sede pelvica, endometriosi,
pregresse gravi infezioni utero-ovariche ...).
Per prima cosa è necessario verificare i dosaggi ormonali, accertare la presenza dell’ovulazione
nella donna e di un adeguato numero di spermatozoi mobili nel partner ed
escludere eventuali infezioni.
Si passa successivamente ad esami più complessi e approfonditi (dunque maggiormente
invasivi) per indagare le cause che impediscono ai gameti, femminile e maschile,
di incontrarsi.
Gli esami devono essere eseguiti in un periodo di tempo ragionevolmente breve sia
perché “fotografano” le condizioni attuali della coppia sia perché più passa il tempo e
più le condizioni potrebbero cambiare.
Il fattore tempo è determinante!
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