ROMA – Non è reato far nascere un bimbo all’estero, con l’utero (in affitto) di un’altra donna. E’ questa la sentenza della quinta sezione penale che ha assolto una coppia milanese che aveva fatto nascere un bambino in Ucraina:
“Nel caso in esame — osserva il Tribunale — l’atto di nascita è stato formato nel rispetto della legge del luogo ove il bambino è nato, all’esito di una procreazione medicalmente assistita conforme alla lex loci”.
L’articolo di Emilio Randacio per Repubblica:
Hanno provato in tutti i modi ad avere un figlio. La moglie si è prima sottoposta a cicli di «stimolazione ormonale», rischiose per una donna affetta da una «patologia autoimmune ». Poi, hanno provato con un ginecologo naturopata (esperto in medicina complementare). Niente ancora. Per A. C. e S. B., coppia milanese, non rimaneva che provare tecniche di procreazione «medicalmente assistite», praticabili solo all’estero. E così si sono rivolti prima a un centro statunitense, e dall’ottobre del 2009 presso la clinica Biotexcom di Kiev, dove dopo diversi incontri, i coniugi hanno sottoscritto «un contratto di maternità surrogata con ovodonazione». Un accordo per ottenere un «utero inaffitto».A una donna è stato così impiantato il seme del futuro padre. La scelta è ricaduta su una «volontaria, maggiorenne, con piena capacità giuridica». Alla madre prescelta — individuata anche dopo diversi colloqui — , sono stati poi corrisposti, «oltre ai costi della clinica, il rimborso delle spese sostenute per un costo complessivo di 30 mila euro». Opportunità «pienamente conforme alla legge ucraina», ma vietata nel nostro paese. E qui sono iniziati i guai con la giustizia italiana. Perché la coppia, per non destare sospetti, ha anche simulato una vera gravidanza, con la signora che ha iniziato a indossare «un cuscino addominale in gommapiuma».Tutto è stato studiato nei dettagli. Fino al 2010, quando il piccolo è nato in una clinica di Kiev, e i genitori hanno provato a trasferirlo in Italia. Pur avendo tutti i documenti ucraini in ordine, all’ambasciata italiana è stato dichiaratoche il neonato era frutto di un parto naturale, avvenuto in terra ucraina per puro caso, al termine di un viaggio turistico. Agli attenti funzionari, vista anche l’età della neo mamma, sorge più di un sospetto, e segnalano l’anomalia alla procura milanese. I genitori, nel giro di pochi mesi, vengono prima indagati e poi rinviati a processo. L’accusa è quella di «alterazione di stato di un atto di nascita». Non proprio bruscolini. Rischiano da 5 a 15 anni di carcere, e soprattuttodi perdere l’affidamento del piccolo. La legge vuole essere severa, sul tema, per combattere il traffico di minori. Il 15 ottobre scorso è arrivato il verdetto. Nonostante la procura avesse chiesto due anni e 3 mesi di carcere per entrambi, la quinta sezione penale li ha assolti (difensori i legali Francesco e Luigi Isolabella). «Nel caso in esame — osserva il Tribunale — l’atto di nascita è stato formato nel rispetto della legge del luogo ove il bambino è nato, all’esito di una procreazione medicalmente assistita conforme alla lex loci».Anziché alterazione di stato — è scritto nelle motivazioni da poco depositate, con giudice estensore Giuseppe Cernuto — , il reato commesso è «quello di false dichiarazioni ai funzionari dell’ambasciata ». Reato minore e perseguibile solo con querela del Ministerodegli Esteri. In questo casoassente: da qui l’assoluzione.Una decisione non facile quella dei giudici milanesi. Il tribunale dei minori di Brescia, tre mesi fa, in un caso praticamente identico, ha invece tolto il minore ai genitori e li ha rinviati a giudizio per lo stesso reato del caso milanese. La coppia di un paesino vicino a Crema, questa volta, per riuscire ad avere un figlio si era fatta seguire dalla medesima clinica specializzata di Kiev. Stesso iter, stessa denuncia all’anagrafe falsa. In questo caso, però, i magistrati hanno effettuato un test del Dna che ha anche dimostrato come non ci fosse compatibilità conquello del padre.
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